Il tecnico toscano ha bisogno di più tempo e meno retorica.
È proprio perché il linguaggio è ambiguo che già Platone imponeva ai sofisti – e in un certo senso alla filosofia in generale – l’ordine di un metodo in grado di discernere il vero dal falso. Lo definiva “diairetico/dicotomico”, in grado cioè di stringere in una “rete” (vedi Sofista, 235b-d) di rapporti di comunanza e differenza un concetto fino a ricavarne, cesura dopo cesura, una definizione finale. Comprendere, in effetti, significa “definire, limitare”. Diremmo oggi etichettare.
Prendete quindi il sarrismo. Se cercate il termine su Google, qualcosa troverete. La Treccani, in modo particolare, gli ha dedicato una voce all’interno del proprio dizionario:
La concezione del gioco del calcio propugnata dall’allenatore Maurizio Sarri, fondata sulla velocità e la propensione offensiva; anche, il modo diretto e poco diplomatico di parlare e di comportarsi che sarebbe tipico di Sarri.
Inebriata e obnubilata dalla magia del linguaggio, la S.S. Lazio, presentando l’allenatore toscano a stampa e tifosi il 9 giugno scorso, si lasciava trasportare da un’ingenuità retorica e linguistica della peggior specie: il video di presentazione di Maurizio Sarri iniziava proprio con un’inquadratura sul dizionario alla voce “sarrismo”, seguita da uno stacco e dall’ombra di Sarri, per poi accogliere addirittura Mahatma Ghandi: «è l’idea contro il potere», si legge e si sente nel video di cui sopra. Può bastare così, gustatevi il resto qui sotto.
Mitomania allo stato brado
Nell’entusiasmo generale dei tifosi della Lazio, confusi ma inorgogliti da tanto clamore mediatico – soprattutto alla luce dell’ingombrante figura di José Mourinho sull’altra sponda del Tevere –, Maurizio Sarri parlava con grande schiettezza:
«Vorrei che […] Ho intravisto in questa società le possibilità per […]». E ancora: «Mettere insieme 25 cervelli e sposare una filosofia non è facile. Spero che vedremo il calcio divertente, quello che mi fa andare a casa contento a prescindere dal risultato. Obiettivo numero uno: divertirsi».
Maurizio Sarri, 9 luglio 2021
Vedete, una cosa è la comunicazione, un’altra è la realtà dei fatti. Sarri è stato molto chiaro fin dall’inizio, altro che sarrismo. Vorrei, potrei, non è facile, speriamo, sono tutti indicatori verbali di una potenzialità, non di un’attualità, che Sarri ha appunto solo «intravisto» nell’ambiente Lazio e nella società guidata dal presidente Lotito. Ad agosto Sarri aveva detto che «la Lazio ha finito il campionato al sesto posto, vedremo se saliremo o scenderemo da questa posizione». Sarrismo sì, ma in un senso tutt’altro che utopico e rivoluzionario, anzi molto schietto, diretto.
Appena due settimane fa, il 17 dicembre, l’allenatore toscano rincarava la dose: «la Champions? Non esageriamo, questa squadra l’ha giocata un solo anno e in un momento storico in cui per 6-7 anni non c’erano né Inter né Milan in corsa. Direi di non esagerare nel parlare di obiettivi simili. Se rapportate la situazione a ciò che è successo negli ultimi due anni è nettamente più complicata». Sarri ha ragione perché parla numeri e dati alla mano. Che questo poi non possa essere un alibi ai risultati della squadra sotto la sua gestione è un altro discorso.
In questo articolo attendevamo da un’ora all’altra il rinnovo di contratto di Simone Inzaghi, mai arrivato.
Ma il senso dell’articolo rimane, a meno che Lotito decida di cambiare marcia.
Sta comunque al patron biancoceleste al di là delle grandi chiacchiere e delle splendide abbuffate post cenone di Natale con la squadra (o parte di essa…), far seguire alle parole i fatti. Lotito, così dice almeno, si è innamorato dell’allenatore toscano, cui lo accomuna la totale mancanza di freno dialettico e compostezza nelle dichiarazioni – tanto alla stampa quanto ai giocatori:
«Penso di aver incontrato un uomo che può fare la differenza nel mondo del calcio: mister Sarri. […] Se qualcuno può pensare che il mister sia precario, il mister non è precario. Anzi vi dico subito che ho dato mandato al segretario di rinnovargli per altri due anni il contratto».
Claudio Lotito, 15 dicembre 2021
Al di là del tono, di moschiana memoria, Lotito nell’ultimo mese ha dato un segnale forte. L’annuncio del rinnovo di Sarri, arrivato nel peggior momento stagionale della Lazio (dopo la sconfitta per 2-1 col Sassuolo a Reggio Emilia), mette a tacere una stampa – e parte della piazza – che da inizio stagione piange bambinescamente l’afflitto – si fa per dire – Simone Inzaghi (il quale però, con un Correa e un Caicedo in più e dopo cinque anni vissuti fiato a fiato con lo stesso gruppo squadra, a questo punto della stagione lo scorso anno aveva gli stessi punti di Maurizio Sarri).
Tutta la tristezza di Luis Alberto nell’ultima sfida dell’anno a Venezia
Se neanche una piazza come quella di Roma, sponda biancoceleste, è in grado di aspettare un allenatore che fa del lavoro quotidiano e della progettualità l’essenza del proprio essere, allora per Sarri è meglio fare una scelta à la Baldini (cosa che tra parentesi lui stesso ha ribadito e confermato più di una volta quest’anno).
Sarri non è il messia, ma non può essere il problema. Semmai, è la soluzione al problema. E il problema in casa Lazio non è semplicemente nella rosa – la stessa (quindi piatta) da ormai cinque anni, la più vecchia del campionato con 29 anni e 72 giorni di età media –, quanto nell’organigramma societario. A differenza di quasi tutte le società di Serie A – figuriamoci quelle ai piani alti della classifica – la Lazio non mette a bilancio la voce scouting. Non ce l’ha proprio, la Lazio, uno scouting. Semmai ha un DS (Tare) che, un po’ per difetti caratteriali un po’ perché lasciato in balìa di se stesso, si è limitato negli anni a vivere di occasioni, assecondando più le voci dei procuratori suoi conoscenti che non il proprio occhio e gusto calcistico.
«Tu non conti niente perché contano loro due. Io voglio un bene dell’anima alla Lazio, tornerei alle condizioni che dico io. Nel mio campo dovevo muovermi senza che nessuno mi intralciasse il lavoro. Non te lo fanno spudoratamente, ma ti isolano».
Angelo Peruzzi a Quelli della Libertà, 20.12.2021
La Lazio, che si è vantata di aver ristrutturato il centro sportivo – inaccessibile ai tifosi ormai da anni –, ha dovuto ricostruire da zero la primavera dopo la retrocessione dei piccoli in Serie B lo scorso anno. Indovinate un po’ chi gestisce la primavera della Lazio? Proprio lui, Igli Tare. E chi parla prima o dopo le partite, davanti a telecamere e radiofrequenze, quando Sarri è impegnato ad allenare i suoi ragazzi? Sempre lui, Igli Tare.
Lotito, nel celebre discorso di Natale, ha più volte ribadito il concetto di famiglia, e lo stesso Inzaghi (vedi qui, o qui) parlava della Lazio come di una famiglia. Il che è bellissimo se le cose vanno bene, ed è meraviglioso quando si tratta di tirare fuori da un gruppo spremuto risorse inattese. Ma che diventa anche un alibi – tanto per la presidenza e la società quanto per i giocatori – se poi le cose vanno male. L’addio di Inzaghi, in questo senso, ha lasciato una ferita profonda nello spogliatoio della Lazio, e gli atteggiamenti di Luis Alberto e Acerbi ne sono la testimonianza.
Che fare? Lotito ha certamente dato un segnale. E forse le due vittorie per 3-1 contro Genoa e Venezia – squadre di certo non imbattibili – qualcosa in questo senso possono voler dire. D’altronde, fino a prova contraria, il campo delle possibilità, in campo, cade sempre. Questo è calcio, per fortuna, mica filosofia. E Sarri lo sa benissimo, al di là di ogni sarrismo.
Oggi il Bar dello Sport si trasferisce nella Capitale, e il tema all'ordine del giorno non può che essere il derby appena giocato. La Roma lo ha vinto due volte: la prima in campo, la seconda sugli spalti.