A tutto c'è un limite, anche alle plusvalenze.
Criticare il Sassuolo, oltre che naturale per ogni calciofilo un po’ tradizionalista/boomer come noi, è anche facile: nessuno ti dirà mai niente eccezion fatta per una manciata di nerd improvvisati manager ed economisti sportivi, amanti dei business plan nel pallone e dei progetti in lattina stile Red Bull, fautori di una efficacissima logica aziendale tradotta nel calcio – che estirpa pressoché del tutto i suoi significati simbolici, identitari, territoriali etc. etc.. Dicevamo è facile perché il Sassuolo sostanzialmente non ha tifosi, a parte una platea di simpatizzanti più o meno sradicati e un gruppo di spontaneisti “Pochi ma sbronzi”, i quali frequentano le gradinate del Mapei e i settori ospiti di mezza Italia con invidiabile mentalità. Dunque nessuno ti dirà mai niente, a parte qualche dirigente neroverde che, giustamente, rivendicherà il suo ottimo operato.
Ma oggi non vogliamo parlare tanto dei limiti “culturali” del modello Sassuolo, quanto invece lanciare un appello su un suo effetto: basta comprare i “gioielli” (?) del Sassuolo. È alterazione del mercato, frutto di prezzi gonfiati e fuori dal mercato (almeno quello italiano). Lo aveva capito per primo Igor Tudor, quando curando un po’ il suo orto scaligero sulla sponda dell’Adige aveva tuonato (esprimendo una grande verità): «Ogni giorno sento parlare dei giocatori del Sassuolo che valgono 50-100 milioni, ma noi siamo tre punti sopra di loro». Il senso, al di là della classifica e anzi forse proprio per la classifica, era chiaro: le cifre per i giocatori del Sassuolo sono decisamente esagerate. Più o meno la stessa idea di un vecchio conoscitore di calcio come Mario Sconcerti:
«Credo che il Sassuolo parta da valutazioni alte, ed è abbastanza strano che abbia sei giocatori da 30 milioni ma sia undicesimo. Onestamente non ricordo grandi giocatori usciti dal Sassuolo».
D’altronde sono molti i casi di calciatori del Sassuolo, bottega carissima, valutati fin troppo: da quelli già venduti accumulando un tesoretto – gli ultimi Locatelli, 35 milioni, e Boga, 22 milioni dopo una stagione a dir poco deludente, («il problema di Boga è il costo, fosse costato quanto l’ha pagato il Sassuolo, tutti saremmo contenti. È stato pagato come un campione decisivo ma al momento è un giocatore individuale e basta», per citare Gasperini) – ai calciatori sul mercato, che lì resteranno continuando a sparare simili cifre. Pensiamo a Berardi, rimasto a Sassuolo per anni oltre che per questioni “caratteriali” anche per il prezzo richiesto, e ai vari Maxime Lopez, Traoré, Raspadori, a cui basta una buona stagione – ma neanche strepitosa – affinché i prezzi dei cartellini schizzino alle stelle; per non parlare dei veri e propri uomini mercato, Frattesi e Scamacca (ceduto sì quest’ultimo, ma non a caso all’unico mercato possibile per le richieste, quello di Albione).
Ma per quale motivo, ad esempio, Frattesi merita una valutazione di 34 milioni di euro? Certo un ragazzo dalle grandi prospettive, centrocampista moderno con doti indiscutibili, ma pur sempre un quasi 23enne che ha giocato una stagione in Serie A da 4 gol (tutti arrivati nelle prime giornate) e 3 assist. Per non parlare delle altissime richieste per Scamacca, anche lui giovane e dalle grandi qualità, tecniche e fisiche, ma valutato ad un prezzo (50 milioni, poi abbassati a circa 45) considerato fuori mercato anche dallo stesso Paris Saint-Germain e accessibile solo alle tasche della plutocratica Premier League – lo ha infine chiuso il West Ham per 42 milioni complessivi, bonus compresi, più il 10% sulla rivendita. In Italia non ci ha pensato nessuno neanche per sbaglio ma a questo punto, se dopo una discreta stagione un attaccante viene valutato 50 milioni, non ci si può neanche lamentare che i club nazionali guardino altrove e non puntino sugli italiani.
L’errore sta nel lasciare andare Verratti a 10 milioni, non nel mollare Scamacca a 50.
Dal canto suo il club neroverde approfitta del particolarismo ambientale per coltivare i talenti, sparare determinate cifre e vivere di succulente plusvalenze. Per un giovane calciatore si tratta del luogo ideale per affermarsi, un formidabile trampolino di lancio per poi andare altrove (mercato permettendo), con degli indiscutibili vantaggi che ne “facilitano” il rendimento. Il Sassuolo non ha infatti le pressioni, anche ambientali, di una grande piazza, né quelle impellenti e dettate dalla classifica (merito dei suoi dirigenti, se non lotta mai per la retrocessione); fatto sta che un calciatore qui può essere molto più libero di esprimersi che altrove.
Il fatto che ci siano meno pressioni aiuta poi il Sassuolo a giocare in modo più libero, a proporre un calcio più tecnico, offensivo, che riesce ad esaltare le doti dei suoi giovani e spesso sfrontati interpreti. Tutto ciò è una spia dell’ottimo lavoro fatto ma non toglie che altrove le condizioni saranno ben più pesanti e complicate (una valutazione che i club acquirenti devono fare: come quando prelevano un giocatore dall’Atalanta o dal Verona e devono fare i conti con l’identità tattica e fisica di queste squadre, così dovranno considerare il particolarismo tecnico-tattico-ambientale del Sassuolo).
Ma al di là di queste analisi, che lasciano il tempo che trovano, il nostro appello è di ingolfare il meccanismo gonfiato di un’azienda basata su plusvalenze esagerate; almeno fino a quando non riveda le sue posizioni e torni a più miti consigli – e prezzi.
Un accordo tacito o meglio inconsapevole che sta già nei fatti tra le società di Serie A, motivo per cui non è in piedi nessuna concreta trattativa per gli “uomini mercato” neroverdi, decisamente troppo cari alle nostre latitudini: l’unica possibile è (era?) quella della Roma per Frattesi, ma solo perché la società giallorossa ha diritto al 30% sulla rivendita del centrocampista, e dunque a uno sconto di circa un terzo sul cartellino qualora decidesse di prenderlo (e comunque sono cifre troppo alte, si tratterebbe di più di 20 milioni). Insomma, blocchiamo certe sparate prima che qualcun altro segua l’esempio “virtuoso” del Sassuolo: certamente un modello di business invidiabile, per cui c’è solo da fare i complimenti ai suoi dirigenti, ma una concorrenza sleale (al contrario) che mette in difficoltà un mercato già zoppicante, e che per monetizzare guarda ormai all’export di lusso.