Calcio
01 Aprile 2019

Perché nessuno parla (male) del Sassuolo?

Mentre tutti, in realtà, ne parlano malissimo?

Il giornalismo sportivo nostrano è schiavo dell’evidenza. Un fatto è evidente quando si mostra agli occhi di ognuno di noi, ma il campo dell’evidenza cambia a seconda del terreno sul quale riposa. Il Sassuolo è una delle grandi vergogne (non) evidenti del calcio italiano. Il “non” che un discorso “serio” ci obbliga ad anteporre a quest’evidenza, se spaventa le grandi testate giornalistiche, non può e non deve spaventare la penna eversiva della nostra Rivista.

 

C’è davvero bisogno di salvare il Sassuolo dietro il freddo calcolo dei “conti in verde”, come già (e altrove) è stato fatto, o è forse proprio in questa immotivata voglia (pena, anzi pietà?) di inserire ciò che non esiste nel campo dell’esistenza storica (la sacra Serie A) la prima e più importante spia dell’assoluto nulla che caratterizza, in quanto tale, l’Unione Sportiva Sassuolo Calcio? Fondato nel 1920, il Sasòl sarebbe anche una bella storia da raccontare ai posteri. Dalla promozione in A (la prima nella sua storia) nel 2013 all’incredibile sesto piazzamento nel 2015-2016. Ma cosa succede ad una squadra senza tifosi quando, anziché lottare per il proprio essere, struttura il proprio campionato su quello degli altri?

 

Il Mapei Stadium, pieno (di tifosi ospiti) (foto Alessandro Sabattini/Getty Images)

 

Satellite un po’ a stagioni alterne di Roma, Milan, ma soprattutto Juventus, allo stato attuale delle cose il Sassuolo non ha ragion d’essere. Se anche non ci fosse il problema “magnetico” che la rende schiava di altre società, è il disastroso picco “tecnico-calcistico” di quest’ultima stagione a donare un’ulteriore motivazione al nostro sfogo. Attenzione, dunque. L’evidenza non è solo quella della chiacchiera da bar – alla quale, pure, dobbiamo dirlo, siamo legati originariamente. Qui intervengono i fatti e le dichiarazioni. Berardi: simbolo di chi vuole diventare grande e che, anche da capitano, mai lo diventerà. De Zerbi, le cui parole (post Samp) tuonerebbero in qualsiasi piazza (se solo il Sassuolo fosse una piazza):

«Non sappiamo ancora chi siamo, la fregatura che vedo è in questa condotta indecifrabile perché si passa da un estremo positivo a uno negativo. La responsabilità è la mia, bisogna che mi faccia capire meglio dai giocatori. La discontinuità nell’atteggiamento non mi piace e ce la stiamo portando dietro dall’inizio».

Condotta “indecifrabile”. Manco troppo, aggiungiamo noi. La cosa davvero inquietante, ed è questo che vorremmo sottolineare, è che, almeno da fuori, è tutto incredibilmente normale. Il Sassuolo ha perso 3-5 con la Sampdoria in casa. “Ma è salvo?”, “Sì”, “Allora tutto nella norma”. È un problema che già altre volte, e in contesti diversi, avevamo cercato di sollevare (per altre realtà). In situazioni di questo tipo, è la Storia a venirti incontro. E non basta essere nati nel 1920 per averne. Non basta avere uno stadio di proprietà, per rifugiarsi ancora una volta dietro il mitico velame dello sterile progresso. Non è facile, certo, vivere nel Limbo. Ma è forse un caso se Dante ha posto gli ignavi proprio nell’Antinferno?

 

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