Muovere per primo il bianco è un chiaro segno di discriminazione.
Come abbiamo potuto non pensarci prima? In fondo era talmente evidente! Tra statue da abbattere, film da mettere all’indice, termini razzisti da bandire nei cosmetici, cioccolatini con nomi scorretti da rimuovere dagli scaffali, quasi ci sfuggiva lo strutturale suprematismo bianco negli scacchi. Speravamo in realtà con la nuova veste nera della Mercedes di aver risolto la grana ““razzismo”” nello sport, invece ci sbagliavamo di grosso.
Si perché a sentire una delle principali stazioni radiofoniche australiane, la ABC di Sydney, la prima mossa riservata al bianco negli scacchi sarebbe un’implicita ammissione di razzismo. Su questo tema decisivo per l’emancipazione umana è stato interrogato dall’emittente australiana il buon John Adams, portavoce della federazione australiana degli scacchi nel 2015: così quest’ultimo, esterrefatto, ha pubblicato un tweet diventato immediatamente virale e che ha attirato le attenzioni di alcuni tra i più importanti scacchisti mondiali.
La leggenda russa e ancor prima sovietica Anatoly Karpov ha parlato di un periodo di totale follia – «A period of total insanity has begun» – chiedendosi come si possa legare il razzismo ad un gioco secolare come quello degli scacchi. Ma anche Garry Kasparov, altro gigante della disciplina ed ex campione del mondo, è intervenuto sulla vicenda consigliando agli investigatori del razzismo inesistente di cambiare oggetto delle indagini:
«Se siete preoccupati che gli scacchi possano essere razzisti, per favore passare a “Go” dove il nero muove per primo, invece di “investigare” sembrando stupidi e sprecando i soldi dei contribuenti di una emittente statale»
Tutto ciò non rappresenta tuttavia una novità nel mondo degli scacchi: l’anno scorso è toccato all’attuale campione mondiale, il norvegese Magnus Carlsen, prendere posizione contro il razzismo sistemico degli scacchi. In un video pubblicato sulla sua pagina ha iniziato una partita muovendo per prima la pedina nera, affermando subito dopo:
«Oggi rompiamo una regola, ma il sogno di avere una parità razziale è ancora molto lontano dal diventare realtà».
Insomma, è proprio vero che per capire il “razzismo” contemporaneo dobbiamo stravolgere il nostro ordine di idee; e magari, già che ci siamo, rinunciare anche al buon senso.