Maggio 1915, l'Italia entra in guerra: il campionato viene interrotto e poi assegnato al Genoa.
È la domenica del 23 maggio del 1915. L’ultima giornata di campionato più intensa e drammatica nella storia del calcio italiano, mentre il Parlamento aveva appena concesso pieni poteri al governo per la dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria e agli ex-alleati della Triplice. Il Genoa era in lizza per vincere il suo settimo campionato dopo dieci anni di digiuno, contrassegnati dai primi trionfi del Milan, della Juventus e dell’Inter, nonché dalla scia di successi della grande Pro Vercelli e, infine, dal trionfo del Casale nel 1914.
La formula prevista per quel campionato era estremamente articolata. Fa sorridere pensare all’attuale dibattito sulla riduzione del numero di squadre in massima serie da 20 a 18, giacché nel 1914 ai nastri di partenza del campionato vi erano qualcosa come 52 squadre. Di queste facevano parte compagini che oggi – come allora – sono probabilmente sconosciute al pubblico: dall’Acqui Club e la Valenzana, in provincia di Alessandria, passando per la Veloces Biella e il Savoia Milano (quest’ultima disputante le proprie partite al campo Portello, presso il garage dell’Alfa); dall’Audax di Modena fino ad arrivare ai Ticinesi del Chiasso.
Cinquantadue squadre, quando ancora il girone unico non era previsto e si attribuiva una pari dignità tanto alle compagini più celebrate, quanto alle realtà meno iridate. Le trentasei squadre della Lega Nord e delle città settentrionali furono suddivise in sei gironi; a qualificarsi per il torneo nazionale le prime due per ogni girone, più le quattro migliori terze. Le qualificate sarebbero state a loro volta distribuite in quattro ulteriori gironi da quattro. La migliore di ogni gruppo poi avrebbe avuto accesso al terzo (e penultimo!) livello del torneo, un ulteriore girone all’italiana. Un sistema piuttosto contorto, per usare un eufemismo.
Non andava meglio al raggruppamento meridionale e centro-meridionale del campionato: sedici squadre (otto toscane, sei laziali e due campane) suddivise in due gironi, uno per la Toscana e uno per il Lazio, e una partita di andata e ritorno per le due campane. Le due di testa dei tornei si sarebbero qualificate per una seconda fase a gironi, la cui vincitrice avrebbe sfidato la vincente tra le due campane (Internazionale Napoli e Naples), per aggiudicarsi il titolo di campione della Lega Sud. Al termine di entrambe le competizioni, le vincitrici del Nord e del Sud avrebbero infine disputato la finale valida per il titolo nazionale.
In lizza per la vittoria a nord, oltre al Genoa, c’erano le solite Inter, Milan e Juventus, cui seguivano la Pro Vercelli, il Casale e il Torino. A Sud invece la Lazio rappresentava forse l’incognita principale nella corsa al titolo. Tutto sembrò andare secondo i pronostici: nel girone A settentrionale uscirono vincenti Genoa ed Alessandria, con l’Andrea Doria (destinata a formare la Sampdoria unendosi alla Sampierdanese di lì a qualche anno) migliore terza.
Nel girone B il Torino, la Juventus e un sorprendente Vigor Torino strapparono il passaggio di turno; nel raggruppamento C emersero la solita e solidissima Pro Vercelli, il Casale e come terza il Novara. Nel girone D dominò il Milan che vinse nove partite, pareggiandone una sola, qualificandosi insieme ad un’altra Juventus: la Juventus Italia, maglia rossoverde e calzoncini bianchi, una delle tante compagini milanesi del periodo. Ne uscì invece eliminato il Bologna, finito terzo ma troppo distante dalle altre terze classificate.
Nel girone E l’Inter di Virgilio Fossati e dei fratelli Aldo e Luigi Cevenini dominò al pari dei cugini rossoneri, segnando in media sei gol a partita. Seguirono il Como, qualificato come seconda, e l’Unione Sportiva Milanese, altra gloriosa compagine meneghina, che tuttavia non riuscì ad essere ripescata tra le migliori terze. Nell’ultimo girone settentrionale, infine, emersero il Vicenza e l’Hellas, mentre si qualificò come migliore terza il Venezia.
Sedici squadre qualificate: sette piemontesi, quattro lombarde, tre venete e due genovesi. All’inizio del 1915 iniziò la seconda fase del torneo, con quattro raggruppamenti da quattro. Nel primo girone il Genoa si sbarazzò piuttosto facilmente delle sue concorrenti, strapazzando per 4-0 la Juventus, per 3-0 gli assi di Casale Monferrato, addirittura per 9-1 il Venezia.
Nel secondo gruppo passò il Milan, regolando i conti con le tre squadre piemontesi dell’Alessandria, della Vigor e del Novara. Nel terzo gruppo era invece una questione tra Pro Vercelli e Torino, ben più pronte rispetto a Hellas e Como: entrambe vinsero le rispettive partite, ma negli scontri diretti furono i Granata ad avere la meglio (3-0 e 0-1) sui Leoni, vincitori di cinque campionati tra il 1908 e il 1913.
Nell’ultimo raggruppamento, infine, l’Inter era la super favorita soprattutto dopo la vittoria inaugurale per sedici a zero contro il Vicenza. Poi però una brutta sconfitta con l’Andrea Doria, un successo contro i cugini della Juventus Italia (4-1) e ancora un altro stop con un clamoroso pareggio a Vicenza; la partita decisiva fu il ritorno contro l’Andrea Doria a Milano, vinto per 3-0, che spalancò ai nerazzurri le porte della finale settentrionale.
Le migliori quattro squadre del Nord erano dunque Inter, Milan, Torino e Genoa, che si sarebbero sfidate tra il 18 aprile e il 23 maggio per chiudere in contemporanea con la Lega Sud.
Il girone finale settentrionale con Genoa, Milan, Inter e Torino prometteva spettacolo, e all’ultima delle sei giornate la classifica recitava così: 7 Genoa; 5 Inter; 5 Torino, 2 Milan, fuori dai giochi.
A sud dell’Appennino, nel girone laziale si qualificarono la Lazio e il Roman, impegnate in scontri mitologici (4-0 per i Biancocelesti e 5-2 per i Giallorossi del Roman), dei veri e propri “protoderby” che anticiparono i successivi confronti tra la stessa Lazio e la Roma (nata dalla fusione del Roman con l’Alba e la Fortitudo). In Toscana invece trionfarono il Pisa e il Lucca. Nel girone centro-meridionale finale fu quindi la Lazio a guadagnarsi il primato davanti al Roman e al Pisa, quando mancava ormai una sola giornata per decidere la sfidante dell’Internazionale Napoli, uscito vincente nel doppio confronto con il Naples.
Il girone finale settentrionale con Genoa, Milan, Inter e Torino prometteva spettacolo, e all’ultima delle sei giornate la classifica recitava così: 7 Genoa; 5 Inter; 5 Torino, 2 Milan, fuori dai giochi. Tutto si sarebbe deciso, come nel girone centro-meridionale, all’ultima giornata. Il 23 maggio del 1915, dunque, il Genoa avrebbe ospitato il Torino e il Milan avrebbe giocato in casa con l’Inter. A sud invece si sarebbero giocate Lazio-Lucca, Pisa-Roman e in teoria la finale tutta napoletana tra il Naples e l’Internazionale Napoli, da ripetere per alcune irregolarità di tesseramento nell’atto I: cinque partite che promettevano spettacolo.
Ma era il 23 di maggio, ripetiamo. Il 22 era già stata proclamata la mobilitazione generale. Improvvisamente, nel clima di festa generale, tra gli stadi pieni e i giocatori pronti a scendere in campo, gli arbitri presero parola all’unisono dichiarando, a nome della Federazione Italiana Giuoco Calcio, la sospensione immediata dei tornei di ogni ordine e grado. Fu un fulmine a ciel sereno.
I calciatori quel giorno rientrarono negli spogliatoi per non uscirne più. Quegli stessi calciatori, dal capitano dell’Inter Virgilio Fossati caduto in battaglia sul Carso, passando per l’allenatore del Torino e futuro CT della Nazionale italiana Vittorio Pozzo, furono impegnati in prima linea al grido di “Avanti Savoia” contro l’esercito austro-ungarico. Scrive Enrico Brizzi, autore del Meraviglioso Giuoco. Pionieri ed eroi del calcio italiano (1887-1926):
«Se c’è da combattere si combatte, ma alla fine a quale logica rispondevano le borracce di cognac tracannate prima dell’assalto, gli “Avanti, Savoia!” gridati con voce strozzata, le baionette puntate in avanti nell’assalto a occhi chiusi, le maschere antigas, gli atti di autolesionismo dei codardi, le minacce di deferimento alla corte marziale, gli occhi senza luce dei mutilati di diciott’anni, le colonne di sfollati ridotti alla disperazione, e tutto quell’immane massacro? Cos’era la guerra? Metodo o sistema? Igiene del mondo o ira degli Dei? Rivoluzione o Apocalisse?»
Con la sospensione del campionato del 1915 all’ultima giornata, prima di conoscere i verdetti e chi tra la vincente settentrionale e meridionale si sarebbe laureata campione d’Italia, rimasero solo rimpianti e reclami. Fu per la sostanziale noncuranza della FIGC nel 1919, con il Paese a pezzi e le squadre decimate dei propri migliori campioni, che il Genoa venne proclamato frettolosamente campione d’Italia, senza tener conto dell’ultima giornata ed ignorando completamente il girone meridionale (ritenuto “meno competitivo” di quello settentrionale).
Il Torino di Pozzo rimase convinto fino all’ultimo di poter scavalcare il Genoa in classifica. La Lazio lamentò invece l’assegnazione del titolo nazionale al Genoa, decretata prima di conoscere il risultato dello scontro diretto tra la vincente del Nord e quella del Sud. Una disputa che permane tutt’oggi, se si pensa al fatto che un gruppo di studiosi coordinati dalla Fondazione “Museo del Calcio” stanno valutando l’idea di attribuire il campionato del 1914-1915 tanto al Genoa quanto alla Lazio (alimentando in questo modo le lamentele del Torino e dell’Inter).
Per uno strano scherzo del destino, proprio la Lazio rischia oggi di vedere annullato il campionato in un contesto radicalmente diverso, quello dell’attuale emergenza sanitaria nazionale. Aspettando gli sviluppi – ipotesi uno eventuale slittamento dell’europeo e recupero dei campionati/playoff in estate, ipotesi due annullamento totale -, il rischio è un altro esito incerto in grado di scontentare quasi tutti, esattamente come avvenuto nel 1914-1915.
Historia magistra vitae, recita un vecchio moto sempre attuale, anche per la FIGC: certamente oggi l’assegnazione del titolo è l’ultimo dei nostri pensieri, con la stessa Juventus colpita in queste ore dal coronavirus e una situazione sempre più grave, ma per il futuro (calcistico) meglio non ricadere nella fretta e negli errori del passato.
Il progetto di Preziosi al Genoa sta naufragando: bilanci disastrosi, debiti vertiginosi e tasse non pagate, in una inquietante girandola di giocatori e allenatori.