Desertificazione della fantasia e profitto sulla pelle dei ragazzi.
Mai avremmo immaginato che il calcio sarebbe diventato la tomba della fantasia. Chi avesse avanzato, soltanto venti o trent’anni fa, l’ipotesi di una simile catastrofe antropologica sarebbe stato ritenuto folle. Ma lo sviluppo di quello che una volta si chiamava movimento calcistico ha portato proprio alla desertificazione dell’inventiva. Il mercatismo ha avvolto come una gigantesca piovra il mondo del football. E nei suoi tentacoli sono finiti i sogni dei ragazzini che vorrebbero diventare Messi o Ronaldo, come quelli di una volta Maradona o Platini e prima ancora Rivera o Mazzola, Garrincha o Pelé, Piola o Meazza.
O come quelli della giovanissima anglo-indiana, Parminder Nagra, protagonista di Sognando Beckham (Bend It Like Beckham), un film-culto del 2002 diretto da Gurinder Chadha, interpretato, tra gli altri, da Keira Knightley e Jonathan Rhys Meyers: fu il primo film occidentale trasmesso dalla televisione nordcoreana. Tutto è profitto, gli spazi dell’irreale si sono ristretti.
Al bazar dello sport non c’è una sola bancarella sulla quale storie esemplari, gli esercizi di ammirazione, l’entusiasmo gratuito, le passioni innocenti vengano esposte come accadeva una volta.
Al tempo in cui, per esempio, correndo dietro ad un pallone, in strada, nei parchi o negli oratori, si poteva immaginare di diventare se non proprio un campione, quanto meno un onesto calciatore. E la fantasia accompagnava progetti di gloria, piccoli o grandi poco importava, che crescevano fino a quando la palla rotolava negli improvvisati spazi nei quali ci si alimentava di leggende che domenica dopo domenica prendevano forma sui campi di calcio veri. Tutto è cambiato negli ultimi decenni.
Il football è diventato un’altra cosa. Raccoglie comunque sterminate masse di appassionati, soprattutto fruitori di spettacoli televisivi finanziati dai diritti miliardari che segnano avventure e disavventure di società calcistiche, ma i giovanissimi soprattutto non si formano più come possibili protagonisti in quelle palestre di spontaneità che erano rettangoli o quadrati sbilenchi, segnati da poche cose raccolte qua e là per delimitare le porte e qualche volta gli angoli. Nell’improvvisazione nascevano gli “eroi” che occupavano le menti ed i cuori di fanciulli ed adulti.
L’essenza del calcio, prima di sognare Beckham
Adesso le scuole calcio imperiosamente impongono, a genitori perlopiù abbacinati dal mito di un successo a portata di mano per i propri figli, regole e comportamenti che il mondo dei bambini non capisce e mal sopporta. Si fa credere, dall’alto di un business dalle dimensioni inimmaginabili fino a pochi anni fa, che basta frequentare una di queste scuole (che spuntano come funghi soprattutto nelle grandi città) per avere concrete possibilità di affermazione. All’esoso prezzo della sottrazione della felicità ad adolescenti che vorrebbero guadagnarsi il loro effimero, ma quanto radioso, momento di gloria, come accadeva prima che il calcio diventasse un’industria, divertendosi, dispiegando il naturale entusiasmo.
Costretti, come se fossero adulti in miniatura, a studiare schemi e tattiche, li si fa rinunciare alla gioia di rincorrere un pallone da mettere in rete perché prigionieri di regole che non formano, ma intristiscono.
Osservateli nelle patetiche competizioni a cui danno vita: non hanno la gioia dipinta sui volti, lanciano sguardi preoccupati a manipolatori di coscienze, ma anche di membra in formazione, cercando approvazione o schivando plateali disapprovazioni che finiscono per condizionarli. Macchinette inceppate avvolte in improbabili divise copiate dai grandi club… Non ci sembra che da quando le scuole calcio spopolano siano venuti fuori campioni del livello di quelli ricordati, e neppure minori di loro.
Ed infatti, se avremo dei nuovi Maradona o dei “replicanti” di Falcao e Platini, quasi certamente non usciranno dalle scuole di calcio, come sostiene con convinzione ed argomentazioni assolutamente fondate un padre ravveduto, Stefano Benedetti: in un libretto eloquentemente intitolato Sognando Messi. La verità sulle scuole di calcio (Edizioni Dissensi), quest’ultimo ha messo il dito nella piaga dell’origine del malcostume calcistico la cui dilatazione economico-politica è destinata a costruire leggendarie ambizioni nel governo calcistico – e molte illusioni nelle squadrette che cercano di mantenersi in vita con poco o niente.
La domanda è se i ragazzi imiteranno più questo stop o invece la capigliatura biondo platino
Le scuole calcio sono un segmento dello sport curiosamente poco indagato dai media. Esse hanno pressoché tutte gli stessi dominatori comuni: inadeguatezza del personale tecnico, improvvisazione nei metodi di allenamento quasi sempre copiati da quelli di allenatori affermati, profitto economico quale fine da perseguire. Criticare un metodo o uno strumento non vuol dire che non bisogna promuovere lo sport e segnatamente il calcio dove, come in Italia, è la passione nazionale primaria. Ci mancherebbe altro.
Ma servirebbe aver riguardo di quelle che dovrebbero essere le aspettative comuni di ciascuno, e non soltanto di chi se lo può permettere, nel favorire l’espansione del movimento calcistico: in questo senso la funzione dello Stato dovrebbe essere centrale, mentre le società, che siano di professionisti o di dilettanti, si dovrebbero attrezzare per immettere nei loro ranghi ragazzi che dimostrino di avere attitudini e talenti da far valere. Come accadeva una volta, quando osservatori attenti li prelevavano dalla strada o dagli oratori o dalle palestre pubbliche e private e gli facevano fare il classico “provino”.
In anni lontani, quelli dei babyboomers, allorché nei paeselli del Mezzogiorno, ma anche nel nord agricolo del Paese, qualcuno veniva adocchiato da società le cui squadre militavano in Serie D o nell‘Eccellenza o in Promozione, diventando un personaggio da imitare o invidiare.
L’oscura situazione dei ragazzi di tutto il mondo prima che arrivassero le scuole calcio
Le cose sono cambiate, come si sa. Alle scuole calcio viene demandata, pagando profumatamente, la formazione di “campioni” che difficilmente diventeranno tali. È la strada più breve, o almeno ritenuta tale, da genitori condizionati da un imponente apparato pubblicitario che non guardano più alla possibilità del gioco praticato gratuitamente, esaltazione ludica per eccellenza, e pur di innamorarsi del miraggio coltivato a fini di realizzazione sociale (quale scandalosa perversione!) si fanno volentieri spennare nella certezza, malriposta, che prima o poi saranno ripagati.
Ma i bambini possono farsi incantare dal 4-3-3 o dal 4-2-3-1 o da altre diavolerie del genere? I ruoli sono fatti per le competizioni a cui partecipano squadre strutturate in formazione; il gioco non può essere ingabbiato in logiche per adulti insomma. È quantomeno diseducativo. Oltretutto, aver a che fare con i bambini implica una severa pratica pedagogica, non può essere un’attività improvvisata. Il citato Benedetti ha osservato:
“Uno degli effetti più ricorrenti è l’allontanamento progressivo dall’attività sportiva da parte dell’adolescente che identifica tale attività esclusivamente con quella fin lì svolta, fatta di regole assurde, pareri poco autorevoli sulle sue performance, esclusioni, mortificazioni della sua fantasia, invadenza spropositata dei genitori”
Un quadro desolante e preoccupante. Sarebbe bene chiedersi, dunque, quali sono i risultati utili o almeno positivi prodotti dalle numerose scuole calcio. E non sarebbe male se si censissero i campioni o almeno i talenti che da esse sono usciti negli ultimi anni. Dovrebbero domandarselo le strutture pubbliche, a cominciare dalla Figc, ma anche quelle più generalmente formative come la scuola: da qui dovrebbero venire fuori progetti educativi finalizzati all’affermazione nel campo sportivo piuttosto che continuare a tenere in vita quell’esile, quando non dannosa, ora di educazione fisica settimanale. Ma l’orizzonte pubblico è talmente affollato di problemi che, quelli connessi al rapporto tra sport e giovani generazioni, non crediamo ci sia qualcuno che voglia prenderli seriamente in considerazione.
Del resto, i tanti ministri dello sport e della gioventù che abbiamo visto succedersi dagli anni Settanta in poi non sembra abbiano lasciato molto in eredità. Le scuole calcio, imprese ad alto reddito, suppliscono a deficienze politiche. Dovremmo gioirne? Non è vietato sognare Messi, ma ci piacerebbe che i bambini di oggi lo facessero come noi sognavamo Sivori e Charles correndo dietro ad un pallone nelle sconnesse aree della nostra felicità, un paradiso – diciamocelo francamente – perduto per sempre.