Interviste
17 Novembre 2022

Sébastien Frey: il Buddismo, il calcio, il fato

Sfide su sfide, sempre controcorrente.

Il Sutra del Loto, uno dei testi più importanti del corpus della letteratura del Buddismo Mahāyāna, afferma che gli esseri umani – indipendentemente dal genere, dalle capacità individuali e dalla condizione sociale – sono tutti potenzialmente Budda, dotati di compassione, saggezza e coraggio. Secondo le scuole sino-giapponesi che fanno riferimento a questo Sutra, ciò significa imparare ad incrociare la propria esistenza con la realtà assoluta. Per Sebastien Frey, ex portiere, il Buddismo è stato il punto di svolta per una sua personale rinascita in un momento di grande difficoltà. Come un’araba fenice risorge dalle ceneri, attraverso tale dottrina filosofica Frey è riuscito a rialzarsi e a vincere il dolore, le proprie paure, e ad imporsi come uno dei portieri più forti della sua generazione.

Sébastien Frey: una grande carriera, quinto tra i calciatori stranieri con più gettoni nel massimo campionato italiano, alle spalle di Javier Zanetti, Samir Handanovič, Goran Pandev e José Altafini. Gioie, dolori, cadute ed infortuni. Ad un passo dal baratro, fino alla rinascita personale grazie ad un nuovo modo di pensare, di essere: il Buddismo.

Ho deciso di avvicinarmi al Buddismo nel gennaio del 2006, quando mi ruppi il ginocchio sinistro contro la Juventus. Fu un infortunio drammatico, perché mi ha impedito di partecipare al Mondiale e – oltretutto – la mia carriera era a rischio: per diverse settimane ho convissuto con questo atroce dubbio, vista l’entità dell’infortunio. Psicologicamente ero devastato, non riuscivo a reagire, né a darmi una spiegazione. Per fortuna mi sono ripreso: ho cominciato una faticosa riabilitazione, mentre nella stagione successiva tornai ad allenarmi. Fisicamente stavo bene ma in ritiro avevo paura, avevo il terrore di cadere di nuovo. Non riuscivo a spingere, andai in profonda crisi.

In quei momenti complicati la mia mente tornò ai tempi dell’Inter, quando Roberto Baggio mi parlò del Buddismo e di come questa dottrina gli avesse cambiato la vita. L’approccio al dolore, la gestione dello stress, la razionalità nell’affrontare determinate situazioni. Gli spiegai il mio problema, mi disse che avevamo un percorso simile e che il Buddismo poteva essere la chiave giusta per risorgere dalle ceneri. Rimasi affascinato dalla chiave di lettura e dalla soluzione che ha trovato per venirne fuori, ancora più forte. In maniera graduale mi sono avvicinato a questa filosofia, ho parlato con un esperto e da lì è iniziato il mio percorso. Umanamente mi ha aiutato tanto: combattere lo stress, contrastare il dolore, evitare di somatizzare i problemi. Non tutti i problemi sono problemi, ma nonostante questo c’è sempre una soluzione. Mi ha cambiato l’approccio, sono tornato in campo sereno, al mio livello.

È stato un cammino complicato da affrontare?

Non è stato facile: arrivo da una famiglia cattolica, anche se non ho mai praticato. Nonostante questo, non ho mai mancato di rispetto alla religione, finché uno non cade nell’estremismo bisogna. Rispetto ogni religione ed ogni punto di vista. La mia filosofia è questa: credo a quello che vedo. Raccontarmi di una divinità è affascinante, ma resto sulle mie perché non ho certezze. Nessuno le ha. Questo percorso con il Buddismo è diverso, non c’è una divinità, ma una sanscrittura giapponese: devi essere in sintonia con te stesso, di conseguenza sarai in perfetta sintonia con tutto il mondo. Cerco di stare bene con me stesso, stimolando la mia psiche: così facendo starò bene con le persone che mi circondano. Bisogna lavorare sul proprio carattere, sul mio “Io interiore” e – partendo da questo – cerco di far star bene i miei cari. Quando credi in qualcosa noti dei benefici, bisogna soltanto liberarsi dalle paure.

Un giovanissimo Sebastien Frey ai tempi dell’Hellas Verona, stagione ’99-2000. (Foto via Wikipedia, Mandatory Credit: Claudio Villa /Allsport)

Entrare in contatto con una nuova religione è stato complicato?

È una filosofia di vita, più che una religione. Ho studiato, ho letto e ho pregato. Recitare, più che pregare. Non diventi buddista da un giorno all’altro, non è una moda da seguire ma un orientamento da conoscere: ho dovuto impegnarmi per capire bene questa dottrina, non c’è nulla di automatico. Recitare per recuperare le energie che senti di aver smarrito. È stato interessante e piacevole cambiare opinione, vivere nuove esperienze ed entrare in contatto con una nuova realtà.

Dopo quanto tempo ha notato i primi benefici?

Ho avuto benefici mentali dopo poco tempo, ed è quello che mi ha spinto ad andare avanti. I benefici fisici sono stati la conseguenza di quelli mentali, parte tutto dalla testa. Ho eliminato le paure, le incertezze. Ho cercato di spingere il fisico al limite cercando di superarlo, senza eccedere, senza andare troppo oltre. Ho giocato quasi dieci anni con un ginocchio completamente ricostruito e nonostante questo ho raggiunto un livello molto importante: non mi dava problemi, ho imparato a convivere con il dolore anche se è stato complicato. Il mio allenamento iniziava tre ore prima rispetto a quello degli altri, tra massaggi, palestra: era necessario per allenarmi nel miglior modo possibile. È stato un brutto periodo ma ne sono uscito più forte, fisicamente e umanamente, grazie a questa filosofia di vita.

E il suo rapporto con il dolore, com’è mutato?

Il dolore lo sento ancora oggi, ma impari a conviverci. Il corpo umano è talmente complesso, parte tutto dalla testa: il nostro cervello ha una memoria, il dolore all’inizio è forte, lo senti e fa male perché il cervello deve avere il tempo di memorizzare e metabolizzare il dolore. Con il tempo viene memorizzato, il dolore resta ma lo gestisci. Quando c’è umidità mi tira dentro, ma non soffro quasi più: la testa vince sul corpo, la fatica viene annullata. 

Tutto è cominciato da Roberto Baggio: senza i suoi consigli la sua vita che direzione avrebbe preso?

Non lo so, ma ci ho pensato molto. Ho fatto una scelta, credo di aver fatto una scelta giusta. Guardando il mio percorso credo mi abbia aiutato molto, senza il Buddismo sarebbe stato più complicato resistere ai miei livelli: forse non ci sarei tornato., avrei smesso. I dubbi e le incertezze avrebbero preso il sopravvento. Sicuramente questa scelta mi ha consentito di disputare stagioni ad alto livello, e ne vado fiero. Tra i 26 e i 28 anni un portiere raggiunge la maturità, sia di esperienza sia di gioco: a quell’epoca ero considerato uno dei portieri più forti e ho dovuto modificare il mio stile di gioco per adattarmi alla mia nuova forma fisica.



Dovevo analizzare meglio le situazioni, non potevo uscire in maniera irruenta e mi sono concentrato sull’istinto, sull’esplosività sulla linea di porta: questo cambio di registro mi ha consentito di allungare la mia carriera. Il chirurgo me lo disse: con una nuova frattura la mia carriera sarebbe finita ma avrei anche rischiato di dover mettere delle protesi. La mia vita sarebbe cambiata. Non è poco, per questo penso di avere molti meriti. Giocare sui miei punti deboli, sopportare la fatica, superare i miei limiti: una partita dentro la partita.

Questa dottrina come ha cambiato il suo modo di essere nella quotidianità?

La mia vita è cambiata, mi ha permesso di canalizzare e gestire la mia rabbia. Sono una persona istintiva, se una cosa non mi piace te lo dico: magari succede ancora oggi ma molto meno. Canalizzare, analizzare prima di giudicare. Non esagero, cerco di trovare un dialogo prima di agire. Non spreco energie inutilmente.

Sfide su sfide, la vita l’ha messa alla prova diverse volte. Il 14 luglio 2016, ad esempio, quando ha evitato l’attentato di Nizza. Si è salvato per una coincidenza, un ritardo.

Avrei potuto rischiare. Voglio prima chiarire una cosa: dopo l’accaduto la stampa mi chiamò, gli spiegai la reale versione dei fatti ma hanno completamente distorto le mie parole. Ho letto che il camion mi ha schivato, che ho salvato delle persone. Niente di reale. Il 14 luglio in Francia è festa nazionale: a Nizza abbiamo la fortuna di avere un mare fantastico, un panorama immenso. Di solito quel giorno chiudono il lungomare e le strade si popolano a festa. Il 12 e 13 luglio del 2016 ero impegnato a Pescara in un evento con il Principe di Monaco e con gli ex piloti di Formula Uno. Terminato l’incontro, sarei dovuto tornare a Nizza da Roma: dovevo atterrare in Francia alle 19. Avvertii i miei amici: saremmo passati per casa prima di arrivare sul lungomare per goderci lo spettacolo dei fuochi d’artificio. Non li vedevo da quando ero bambino.

L’aereo da Roma a Nizza fece due ore di ritardo, di conseguenza arrivai tardi a casa e decisi di godermi lo spettacolo direttamente da casa. Terminata la festa andai a dormire dopo una giornata stancante. A notte fonda il mio cellulare comincia a vibrare. All’inizio non ci feci caso, poi il rumore divenne insistente, quasi urtante. Credevo che il cellulare si fosse rotto. Mi trovai tantissime chiamate e messaggi, l’ultima chiamata era di un mio amico. Lo richiamai, arrabbiandomi. Sentivo il suo respiro affannato. “Dove sei?“, mi chiese. “Dimmi che stai bene“, insistette. Poi le parole che mi fecero rabbrividire: C’è stato un attentato – esclamò – ci sono degli ostaggi“. Non ci credetti. Il mio amico, però, mi convinse ad accendere la tv.



Attentato in centro a Nizza“. Aprii le finestre, vidi un’infinita striscia blu di pattuglie della polizia. Lì realizzai il tutto. Chiamai subito i miei genitori, li svegliai; mi misi in contatto con i miei amici, su Facebook dovevi premere l’avviso di emergenza per far sapere che eri al sicuro. Per fortuna non ci sono state vittime tra i miei amici, anche se alcuni di loro erano accanto al camion. È stato devastante, per quattro mesi non sono più andato in centro: avevano macchiato di sangue la città. Nelle settimane successive abbiamo cercato di aiutare le persone ma mentalmente era complicato, era difficile anche aiutare le altre persone perché il trauma era forte e lo sentivi sulla pelle, lo percepivi negli sguardi assenti di chi era stato ad un passo dal baratro.

Nei giorni successivi all’attentato la sua mente verso quale direzione vagava?

Non mi sentivo più al sicuro. Era successo qualcosa di simile anche a Parigi, che però dista mille chilometri da Nizza. Ti dispiace comunque, ma è un qualcosa che vedi lontano da te. Quando succede a casa tua è diverso, anche ora non porto la mia famiglia al mercato natalizio, ho paura che possa accadere qualcosa. Non sai mai cosa può succedere, vedi quanto successo ad Assago: tu sei lì, felice, e in un attimo può cambiarti la vita. Senza preavviso. Non abbiamo smesso di vivere, ma oggi ci sono luoghi che evito per proteggere la mia famiglia.

Quel ritardo di due ore, chissà cosa sarebbe successo se quell’aereo fosse arrivato in orario.

Mi sono posto questa domanda chissà quante volte, proprio quel volo lì era in ritardo. Dove sarei stato nel momento dell’attentato? Perché poi le ore successive le avrei vissute in un altro modo. Cosa sarebbe successo? Mi sono ritenuto fortunato.

Prima ha parlato di estremismo: è facile, molto spesso, far coincidere gli estremisti con i musulmani.

Torniamo al discorso di prima. Cristiani, musulmani, ebrei: le religioni sono tutte da ammirare e rispettare, ma non bisogna cadere nell’estremismo che ti porta a questo. Non bisogna però incentrarsi solo sui musulmani: possiamo trovare gli estremisti in qualsiasi religione. Come nella politica, non c’è un partito perfetto ma l’estremismo bisogna condannarlo sempre. A prescindere da un’ideologia, da un credo. Questa gente vuole comandare il mondo al costo della morte: tutto ciò non rappresenta me e chi rispetta qualsiasi tipo di fede.



L’ennesima sfida l’ha vissuta nel 2019, quando ha rischiato di morire a causa di un’infezione. È stata la prima volta in cui ha realmente avuto paura della morte?

Ho avuto paura, in alcuni momenti ti rendi conto di come siamo appesi ad un filo. Verso febbraio mi ammalai, febbre e raffreddore. Andai dal dottore che però mi confermò la mia diagnosi e mi prescrisse una cura di antibiotici. Dopo una decina di giorni la febbre non scese, la stanchezza aumentò e iniziai anche ad avere convulsioni. “Un raffreddore non ti riduce in queste condizioni“, disse mia moglie. Una mattina mi svegliai e mi accorsi di essere paralizzato, riuscivo a muovere soltanto la testa. Chiamai mia moglie, non ero in grado di muovermi. Una sensazione di impotenza. Mi portarono in ospedale e mi fecero diversi prelievi di sangue. Io, intanto, continuavo a sudare ma volevo una coperta, avevo freddo. Dopo un’ora mi misero in quarantena, non sapevano cosa avessi. Inizialmente sospettavano una meningite: appena sentii questa parola iniziai ad agitarmi, la meningite può ucciderti in qualche ora. Parlavano anche di epatite, in poche ore sentii tante diagnosi diverse, tutte spaventose.

Restai in quella stanza per una settimana, tra i miei pensieri e le mie angosce perché ancora non avevano trovato una diagnosi. Pensarono anche al prelievo per il midollo spinale, mi fecero quattro prelievi al giorno. Nessuna risposta. Mandarono i prelievi a Lione, dove c’era un laboratorio specializzato in virus. Dopo una settimana, finalmente, è arrivato l’esito degli esami: mi riscontrarono un virus autoimmune. Dovevo creare gli anticorpi ma poteva volerci tempo. Volevo tornare a casa, mia figlia era piccola, volevo stare con lei e la mia compagna. Niente da fare, pensavo però che nei giorni successivi sarei stato meglio. Invece no. Dopo qualche giorno, persi l’uso delle gambe. Sprofondai in un vortice, una discesa senza fine. Non sapevo a cosa aggrapparmi, stavo sprofondando in un tunnel e non c’era nessuna corda a tirarmi su. Stetti un mese a letto, il dottore mi disse che dovevo ritenermi fortunato perché il virus mi stava mangiando ma si fermò nelle parti basse del mio corpo: se fosse arrivato al cervello sarei morto.

Lì c’è stato un vuoto, mi fermai a pensare. A pensare sul serio. Ero un atleta di alto livello, controllato quotidianamente. Non fumavo, non ho mai assunto droghe: com’è possibile tutto questo? Chiesi al dottore. “La vita è così, oggi ci sei e domani chissà”. Queste parole mi toccarono molto, partì una riflessione interiore importante. Per la prima volta ebbi paura e acquisii un altro tipo di consapevolezza. Partendo da questo, chiamai il mio notaio: feci il mio testamento. Gli spiegai la situazione, non sapevo cosa sarebbe successo e volevo tutelare la mia famiglia. Feci tutto questo con grande lucidità, senza piangere, senza disperazione. Oggi magari non riuscirei a farlo, in quel momento era diverso: avevo raggiunto una tale lucidità tanto da dire, pensare e fare certe cose. Mia moglie ha dovuto organizzare il matrimonio da sola, per un po’ venne messo in standby, non avrei voluto sposarmi in quelle condizioni. Per fortuna alla fine mi ripresi: un’altra prova che ho superato, se ne parliamo con tranquillità vuol dire che va tutto bene ma ho avuto davvero paura.

Dopo questi eventi ha cambiato modo e percezione nel godersi la vita?

Da quando ho smesso di giocare ho sempre cercato di godermi la vita. Oggi sicuramente penso molto prima di prendere qualsiasi decisione: da calciatore era facile farsi ingannare, fare qualche investimento. Ora rifletto. I beni materiali non sono la cosa più importante: i figli, la famiglia, tramandare loro i veri valori. Questa è la vera felicità, la mia vittoria più grande.



L’atteggiamento di una persona cambia molto da quando sei calciatore a quando appendi gli scarpini al chiodo. Crede che un calciatore sia portato in automatico ad avere certi atteggiamenti frenetici?

Non so se siano frenetici, sicuramente qualcosa cambia. Quando sei calciatore hai tante amicizie tossiche che cercano di sfruttarti, me ne sono reso conto quando mi infortunai seriamente: sparirono quasi tutti, restarono soltanto i miei veri amici. Il calciatore è un attore, quando appendi gli scarpini al chiodo il sipario non si chiude ma passi un po’ in secondo piano. Oggi sono prevenuto, se mi presentano una persona mi metto sulla difensiva: la fiducia va guadagnata, cerco di inquadrare il carattere di qualcuno. Prima parlavo di investimenti, da calciatore era un qualcosa che ti dava adrenalina, ora è cambiato. Se non conosco una persona non mi muovo: spesso mi chiedono di investire, non lo faccio mai per evitare truffe. È successo anche a me. Vuoi propormi una collaborazione? Ne parliamo e vediamo, c’è sempre gente che vuole approfittarsi di te.

Il suo carattere quanto l’ha aiutata nel corso della carriera?

Mi ha aiutato tanto, ho sempre avuto un carattere forte. Sono sempre stato consapevole e soprattutto leale: le cose le ho sempre dette in faccia. Il mondo del calcio è strano, non sempre devi dire quello che pensi e spesso devi adattarti al sistema: non l’ho mai fatto, sono sempre stato controcorrente. Questo sono io, sono sempre stato così: sono arrivato ad alti livelli grazie ai miei sacrifici senza chiedere favori. A casa ho organizzato una stanza con le mie maglie, i miei trofei e riconoscimenti: quando vado lì mi fermo a pensare, ho costruito tutto questo da solo e ne vado fiero. Certo, ci sono state persone che mi hanno aiutato, allenato e fatto migliorare: sarò sempre riconoscente verso di loro. Calcisticamente non mi ha mai pubblicizzato nessuno, non sono mai stato protetto da un allenatore. Il contrario: da francese ho giocato per vent’anni in Italia, non mi hanno mai perdonato nulla. Nonostante questo, mi sono imposto. Con il mio carattere, con le mie cicatrici.

Spesso la stampa ma anche i suoi colleghi l’hanno elogiata e, soprattutto agli inizi della carriera, l’hanno inserita tra i portieri più forti e con grandi margini di miglioramento. È stato un bene tutta questa fiducia oppure in alcuni casi l’ha trovata controproducente?

È stata un’arma a doppio taglio: quando raggiungi un certo livello l’errore non ti è più concesso. Tutti sbagliano, più sei forte e più non accettano i tuoi sbagli. Può capitare, ma al top non lo capiscono, non possono concepirlo. Questo sì che è tossico, l’errore fa parte del gioco e a me è servito per migliorare. Molti allenatori me l’hanno sempre detto: “Devi sbagliare, sei forte se non lo ripeti“. Devi lavorare per anticipare ed evitare certi errori. Lavorare, il verbo chiave.

Torniamo un po’ indietro nel tempo: all’Inter è arrivato ed ha giocato giovanissimo, crede che se fosse arrivato lì in età più matura avrebbe potuto fare di più? Qualche tempo prima di arrivare a Milano ha rifiutato la Juventus. Rifarebbe la stessa cosa?

Rifarei la stessa cosa, ero troppo giovane ed avrei fatto fatica a trasferirmi senza aver ancora dimostrato le mie qualità. Arrivai all’Inter dopo una buona stagione in Francia, il mio nome ormai circolava ed ero considerato un potenziale talento. Rifarei tutto allo stesso modo. Arrivai a Milano a 18 anni e mi trovai catapultato in una squadra incredibile: mi allenavo con i giocatori più forti di quel periodo, da Ronaldo il Fenomeno a Roberto Baggio. Un privilegio importante: ho giocato poco ma è stato un anno che mi ha dato molto. Dopo la mia esperienza a Verona tornai in nerazzurro, anche se trovai una squadra in profonda fase di cambiamento. Con un altro tipo di squadra sarei potuto rimanere, chissà. Ci furono problemi e contestazioni, decisi di cambiare aria per crescere e maturare. Non sono scappato dall’Inter, ma avevo bisogno di un ambiente più sereno per lavorare. Per questo motivo andai al Parma.



Per sostituire Gigi Buffon. Sentiva la pressione?

Assolutamente no. Con Gigi abbiamo vissuto esperienze parallele, anche perché appena arrivai in Italia mi nominarono subito con il “Buffon francese”. Non ho sentito la pressione: io arrivai a Parma dall’Inter, non da una squadra qualsiasi. La stampa ha provato a mettermi pressione, ma feci una grande annata e spensi sul nascere ogni tipo di critica.

Firenze è stata una questione di cosa?

Questione di tempo, questione di sintonia. Arrivai a Firenze con i Della Valle che decisero di investire molto. Facevo parte di questo progetto ma quella era un gruppo fantastico, una miscela incredibile e un’unione d’intenti tra squadra e tifoseria che non aveva eguali. Si è consolidato un grande rapporto, abbiamo riportato la Fiorentina in alto: chiunque giocava contro di noi aveva paura, potevamo battere chiunque. Molti avversari temevano la spinta del Franchi, nulla era scontato. La Fiorentina tornò ad essere temuta in Italia. È stata una grande esperienza.

Ha incontrato anche gente che ti ha fatto del male. Pantaleo Corvino, ad esempio. Nel corso della sua carriera ha subito altre delusioni del genere?

Pantaleo Corvino è stato molto sleale. Sapeva che al momento del mio rinnovo alcune grandi squadre erano sulle mie tracce, ma il mio desiderio era quello di giocare in Europa con la Fiorentina. La famiglia Della Valle mi propose un contratto importante, apprezzai molto e andammo avanti. Due anni dopo mi rinfacciò questo, diceva che guadagnavo tanto. Iniziò una guerra tra lui e il mio entourage, una battaglia psicologica: io, però, non avevo alcuna intenzione di danneggiare il gruppo, anche perché la situazione si stava complicando sempre di più. Ho deciso di andar via per amore di Firenze: avrei voluto chiudere la carriera lì, c’erano tutti i presupposti ma è stato un sogno che mi è stato tolto.

Corvino mi ha fatto la guerra in maniera sleale: non l’ho accettato e non l’accetterò mai. Nel corso della mia carriera ho incontrato gente che mi ha dato tanto, e gente che mi ha dato meno. All’Inter avrei potuto avere un ruolo importante: Lippi mi chiamò e mi disse che sarei stato il portiere dell’Inter. Poi lo mandarono via e arrivò Tardelli, che secondo me non era da Inter complice anche il suo passato alla Juventus. Aveva questa etichetta, è stato un campione in bianconero. È andata così, un rapporto che non mi è piaciuto. Nell’arco di una carriera può capitare, no?

Si dice spesso che un calciatore ha sempre qualche rimpianto o rimorso. Lei ne hai qualcuno? Con il tempo svaniscono o restano indelebili nella mente?

Ho solo un rimpianto: non aver avuto la possibilità di confrontarmi, con la mia Nazionale, contro i miei rivali del tempo. Tutti i portieri della mia generazione erano protagonisti con i rispettivi Paesi, tutti tranne me. Io feci quattro anni ma ho giocato poco, è un confronto che mi è mancato. Posso dire che sono stato bravo, ma mi manca questa sfida internazionale che avrebbe potuto rendermi ancora più forte. Sarei stato molto curioso di vedere dove sarei potuto arrivare.

Chiudiamo tornando al fato. Crede che il destino le abbia riservato tutto ciò che poteva riservarle?

Tutto quello che mi è accaduto l’ho cercato. Con sudore, sacrificio, dolore. Il fato a volte puoi gestirlo, puoi indirizzarlo. Con consapevolezza, tenacia, forza. Oltre i propri limiti, oltre le proprie paure.

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