Il pensiero di un laziale nei confronti di un avversario, detestato ma rispettato, nella sua ora più difficile.
Detesto la galanteria del calcio. Non sono uno di quei laziali che hanno fatto i complimenti alla Roma quando ha eliminato il Barcellona in Champions. Per me o non sono laziali o sono ipocriti. Da ragazzini giocavamo a freccette con le figurine della Roma (tra l’altro non sopportavo che i romanisti negli scambi per una figurina della Roma ne volessero da tre a cinque delle altre). Però era un altro calcio, meno livore, senza le magliette idiote “Vi ho purgato ancora” o i balletti sotto la Sud di Francesco Totti, gli avversari non erano guappi di cartone e la maglia Pouchain della Roma era talmente coatta che mi piaceva.
Sebino Nela era cattivo il giusto, un supereroe romanista, cosce ipertrofiche, la corsa a petto in fuori (quando giocavamo a pallone c’era un compagno di classe, Francesco Giacobelli, che cercava di imitarlo), mai ipocrita, fumatore: avevo letto che Liedholm lo aveva scoperto a fumare in bagno e gli aveva detto:
“Nela, fuma davanti a noi, fumerai di meno”.
“Picchia, Sebino, picchia!”
Mi ha fatto male sapere da questa intervista che ha il tumore, perché è un pezzo della mia adolescenza e le figurine, l’ho detto diverse volte presentando il mio libro su Re Cecconi, non possono morire. E’ un bel racconto, fuori dai denti, anche quando parla di Falcao e del rigore che non tirò contro il Liverpool, si capisce che non lo ha perdonato. Era la Roma, intendo la città, non la squadra ovviamente, che ho amato di più e che mi manca da morire.