“I’m still standing yeah yeah yeah, I’m still standing yeah yeah yeah, don’t you know I’m still standing better than I ever did…”
Non si tratta di un nuovo coro da stadio. E’ una strofa di una delle canzoni più celebri di Sir Elton John, presidente onorario del Watford. Datata 1985, è in grado di descrivere l’incredibile stato di forma della sua squadra. Alla quarta partita, infatti, gli Hornets “sono ancora in piedi”, occupando per la prima volta nella loro storia la vetta della Premier League insieme a corazzate del livello di Liverpool e Chelsea. Il club di proprietà dei Pozzo si è trovato nell’invidiabile situazione di poter arrivare alla sosta per le nazionali a punteggio pieno, consentendo ai propri tifosi di sognare ad occhi chiusi ancora per una settimana. La prima piacevole sorpresa del campionato d’oltremanica, guidata dallo spagnolo Javi Gracia, sta raccogliendo i frutti di un calcio ordinato e pragmatico.
Il basco, appena nominato Manager del mese per quanto riguarda agosto, è giunto in Inghilterra a 48 anni dopo aver peregrinato in giro per l’Europa. Definito come un allenatore razionale ed assai metodico, gli viene riconosciuto un animo pacato ed un personalità composta e posata. “Non si focalizza sugli errori, ma pensa a tutto ciò che può essere migliorato”, concordano all’unisono i suoi ex giocatori.
Se nei suoi 15 anni passati a calcare i campi nelle vesti del mediano non è riuscito mai a militare in squadre fuori dai confini iberici, in quelle da tecnico, invece, ha basato le sue scelte su diversi incarichi. Dopo le prime avventure spese tra Pontevedra, Cadice e Villareal B, infatti, decise di optare per un’esperienza all’estero. Una piazza dell’Europa orientale, però, nella cosiddetta periferia calcistica del vecchio continente. In una delle tante scelte inusuali che si troverà a prendere nel corso degli anni, finì addirittura in Grecia. Alla corte di due compagini non proprio blasonate, per usare un eufemismo, come l’Olimpiakos Volos ed il Kerkyra. L’esilio ai margini del calcio che conta portò gli effetti sperati. L’essersi messo alla prova in una massima serie, seppur di una nazione meno competitiva, gli consentì di poter essere scelto per un incarico di una certa rilevanza.
All’epoca l’Almeria puntava alla risalita in Liga e aveva la necessità di mettere sotto contratto un profilo all’altezza di questo compito. In una sola stagione Javi Gracia riuscì nell’impresa con il bottino di 93 punti. Ai nastri di partenza dell’annata successiva, tuttavia, la dirigenza comunicò la volontà di cambiare totalmente volto alla rosa, facendo intendere di non avere più bisogno dei protagonisti della promozione. Il manager, in maniera inaspettata, rassegnò le dimissioni, mostrando tutta la propria insofferenza verso tale scelta. I suoi giocatori si sbilanciarono a tal punto da definirlo come un gesto di grande lealtà, una di quelle azioni che raramente si vedono quando in ballo ci sono contratti di lavoro: per non fare uno sgarbo al suo gruppo, arrivò a rifiutare la prima opportunità sulla panchina della massima serie spagnola.
Per sua fortuna, l’occasione di un ingaggio in Liga non tardò a ripresentarsi.
Il calcio, come è noto, a volte sa essere assai crudele. L’avventura alla guida dell’Osasuna, infatti, si rivelò fallimentare. Durò solamente una stagione, giusto il tempo di retrocedere clamorosamente. Questo sport è, però, anche in grado di premiare nel giusto modo coloro che hanno mostrato di meritarlo. Dipende che faccia della medaglia si guardi. Se da una parte si può dare un certo peso alla fatalità ed al destino, il buon lavoro svolto rimane una componente solida ed oggettiva, una prova incontrovertibile. Ebbe inizio, così, l’importante biennio alla guida del Malaga. Il bilancio fu positivo, in quel lasso di tempo consolidò il club nella parte sinistra della classifica, grazie ad un nono ed ad un ottavo posto. Quando, poi, sarebbe stato lecito aspettarsi il definitivo salto di qualità, sotto forma di una panchina dal prestigio europeo, il nativo di Pamplona prese l’ennesima deviazione. Una curva che virò nuovamente verso est, questa volta addirittura verso l’Asia. Il richiamo all’ennesima avventura esotica lo condusse in Russia, sulla panchina del Rubin Kazan, dove rimase per un solo anno. Finalmente, lo scorso gennaio, i vertici del club di Vicarage Road lo hanno designato come sostituto di Marco Silva, consentendogli di piantare la quarta bandierina sulla sua mappa calcistica.
Gracia, dopo un mercato avaro di grandi nomi e che ha visto la pesante cessione diRicharlison, il trascinatore della passata stagione, ha puntato sin da subito su una strategia chiara e delineata. Nelle sue intenzioni era prioritario non stravolgere la formazione base, puntando, invece, a rivitalizzare ed a sfruttare al massimo i punti di forza su cui potesse contare la rosa.
I perni fondamentali del suo 4-4-2 di stampo classico vengono incarnati dagli esterni di centrocampo. Preferiti a piede invertito, gli viene richiesto di accentrarsi dentro il campo creando superiorità numerica ed offrendo maggiori soluzioni alle due punte. Grazie al lavoro di due mediani di buon livello come Capoue e Doucoure, in grado di interpretare ottimamente entrambe le fasi di gioco, le ali possono essere sgravate da ingenti compiti di copertura. Lo scacchiere degli “Hornets” prevede l’ex Juventus Roberto Pereyra sulla fascia sinistra, e la giovane promessa Will Hughes sul versante opposto. L’argentino, avendo già messo a segno 3 reti, al momento è la più limpida dimostrazione di quanto ben oliati siano i meccanismi dell’undici di Gracia. Padrone dell’out mancino, forma con Josè Holebas un asse dall’alto tasso tecnico.
Il terzino greco, giunto alle 34 primavere, sta denotando un discreto momento di forma. Le statistiche, infatti, indicano che con i 4 assist confezionati in altrettante partite, sta tenendo il passo di Benjamin Mendy, campione in carica con il City e reduce dalla conquista del Mondiale. L’ex Roma, divenuto un elemento chiave per l’impostazione dal basso della sua squadra, ci ha tenuto a tessere le lodi del suo allenatore. In un’intervista rilasciata all’Independent, ha affermato che le novità di Gracia hanno apportato dei cambiamenti radicali in tutto l’ambiente. Dal modo di allenarsi dei compagni, che definisce finalmente da vera e propria squadra di Premier League, a come vengono trasmesse le idee tattiche. Un’altra peculiarità che viene affibbiata al basco, infatti, è la chiarezza con cui interagisce con i giocatori.
Un altro che ha beneficiato della cura Gracia è il capitano Troy Deeney. Il 30enne, ormai da otto anni nel club, fa parte di una coppia d’attacco ben assortita. La sua spalla è l’ex Burnley Andre Gray, con cui pare avere una buona sintonia calcistica. Bandiera per questi colori, Troy ha vissuto da protagonista tutta la scalata dalle serie inferiori. In patria è noto per il carattere alquanto spigoloso e per la silhouette molto distante dagli echi Ronaldeschi. Il tipico attaccante inglese che si divide tra pub e grandi duelli nell’area piccola, ha un passato quantomai burrascoso. Il nativo di Birmingham, infatti, può vantare tre mesi in carcere per una rissa in cui è finito per prendersela anche con un poliziotto.
Da un po’ di tempo a questa parte Deeney ha deciso di riappropriarsi della propria carriera per poter competere ad alti livelli. Suo è stato il gol che ha permesso al Watford di mettere KO il Totthenam nell’ultimo match di campionato. Si è presentato ai nastri di partenza dopo un’estate chiuso in palestra con un personal trainer. Il risultato sono stati quasi 7 chili persi che lo hanno rimesso a lucido, facendolo diventare un valore aggiunto per la manovra offensiva della compagine londinese.
Chissà se, alla fine di questa stagione, il capitolo delle favole senza tempo degli “underdogs” che raggiungono la gloria si arricchirà di un nuovo capitolo. Chissà se il Watford “sarà ancora in piedi”.