Dal giorno dell’invasione russa all’Ucraina – inaccettabile, lo ripetiamo per l’ennesima volta per dovere di premessa – si è aperta nel mondo dello sport la stagione della russofobia. Tralasciando le naturali polemiche seguite alle sanzioni/esclusioni nei confronti degli atleti russi nello sport, nei giorni scorsi ha fatto notizia anche la scelta della Stella Rossa di non rinunciare alla partnership con Gazprom, con i maggiori opinionisti e quotidiani nostrani che hanno fatto a gara nel condannare il comportamento del club. Il tutto in una Serbia in bilico tra oriente e occidente (così è stato nel resto della sua storia d’altronde), in cui è andato in scena il Veciti Derbi (Stella Rossa vs Partizan Belgrado), con una scenografia all’apparenza ambigua proprio da parte della Curva Nord del Marakana – ci torneremo.
Contro il Vozdovac, inoltre, i Delije (tifosi della Stella Rossa) hanno intonato cori a favore dell’invasione e ribadito la fratellanza ortodossa con i russi dello Spartak Mosca, esclusi dall’Europa League a seguito delle decisioni della UEFA. La ciliegina sulla torta, nella già tranquilla situazione sportiva creatasi attorno al Paese, è venuta dalla fazione opposta: l’allenatore di basket del Partizan, Željko Obradović, in conferenza stampa si è infatti domandato perché tutti reagissero e parlassero della guerra in Ucraina, ma nessuno avesse fatto lo stesso ai tempi dei bombardamenti in Serbia da parte della NATO nel 1999, né ai tempi dei conflitti in Iraq, Afghanistan, Siria. Poi la precisione di essere naturalmente contro ogni guerra, di giudicare orribile anche una sola vittima per una qualsiasi guerra, ma intanto la bomba (dialettica) Obradović l’aveva sganciata.
In questo clima però crediamo sia più costruttivo interrogarci e approfondire alcune peculiarità serbe, anziché farci prendere dagli isterismi e chiedere a gran voce l’esclusione dei collaborazionisti della Stella Rossa dalle coppe europee (come qualcuno ha già avuto il coraggio di fare). Partiamo dalla mancata interruzione della partnership della società con Gazprom. Intanto una questione di metodo: ha realmente senso gridare allo scandalo quando la stessa Uefa ha lasciato la scelta alla discrezione dei club?
Ma poi una ancor più importante questione di merito. Come ha precisato il direttore generale del club Zvezdan Terzić, la Stella Rossa è, letteralmente, sopravvissuta nel 2010 grazie a Gazprom e all’accordo commerciale di 12 anni siglato con il gigante del gas russo; inoltre, è l’intera industria petrolifera serba (NIS) ad essere nelle mani della compagnia, in seguito all’accordo energetico del 2008 con la quale se ne è assicurata il 51%. Questo rende inevitabilmente le cose molto legate e complesse. Terzić da parte sua poi ha rincarato la dose, ribadendo la vicinanza del popolo serbo a quello russo e parlando di isteria anti-russa di FIFA e UEFA:
«Non abbiamo ricevuto alcuna richiesta e spero che non accada. Parliamo del nostro sponsor dal 2010, quando rischiavamo di sparire per i debiti: il punto è che, se non ci fosse Gazprom, probabilmente non ci sarebbe più la Stella Rossa».
«Non approviamo quello che FIFA e UEFA hanno fatto al calcio russo. C’è un’isteria anti Russia in Europa al momento. Il popolo serbo è da sempre vicino a quello russo»
Zvezdan Terzić, direttore generale della Stella Rossa
Oltre alla dipendenza energetica ed economica, infatti, esiste tra i due Paesi qualcosa di più: una comunanza di fondo, espressa storicamente nel concetto di Panslavismo, il quale tende a riconoscere le radici comuni degli slavi e ad augurarsi un’unione politica fra tutti i suoi popoli. Questo movimento però ebbe varie formulazioni e interpretazioni, a partire da quei russi che vi aderirono pensando di avere diritto a un ruolo guida, messianico, mentre nei Balcani emersero contrasti nazionali e religiosi. A tal proposito i Delije, custodi – secondo il mito diffusosi nella coscienza sportiva nazionale – dell’identità serba, sembrano ignorare il fallimento del progetto panslavista e si concentrano sulla vicinanza religiosa. Da qui arriviamo alla “fratellanza ortodossa”, e al secondo fatto di cronaca: il coro “Russi e Serbi fratelli per sempre” intonato al Marakana e al Pionir.
Alla base c’è il forte gemellaggio tra Stella Rossa, Spartak Mosca e Olympiacos fondato sui colori comuni e sulla fede ortodossa, una vera e propria fratellanza che dura da tempo e spiega – seppure per molti non giustifica – le reazioni dei tifosi. Ma anche qui, le curve rappresentano il riflesso della società civile, o almeno di una sua parte: e per capire il sentimento filorusso di una buona parte della società civile serba (e le manifestazioni di sostegno alla Russia che in questi giorni hanno avuto luogo a Belgrado), bisogna capire che la propaganda filorussa in Serbia è molto forte sin dai bombardamenti NATO della capitale nel 1999. Poi anche lì, la Russia diede solo sostegno politico all’allora Repubblica Federale di Jugoslava e, secondo alcuni documenti, Mosca votò addirittura a favore delle sanzioni in sede ONU. Ma queste sono ricostruzioni che lasciamo ad altri.
Il punto fondamentale però è capire che, per affrontare determinate dinamiche in Serbia, dovremmo un minimo conoscere la storia del Paese: non per giustificarle, attenzione, ma solo per spiegarle e comprenderle. Come andava spiegata la scenografia dei tifosi della Stella Rossa nel derby con il Partizan, che raffigurava croci nere su sfondo blu notte e una luna gialla. C’è chi addirittura ha parlato di un riferimento anti-ucraino (smentito già di per sé dalla presenza di un uomo sulla scena), mentre l’intenzione dei tifosi era ricreare la scena del film Marathon Family (1982), in cui un vecchio uomo entra in un cimitero e fa fuggire tutti i becchini, “Grobari”, quindi i tifosi del Partizan per l’appunto.
Per questo ha poco senso giudicare dalle nostre latitudini, e con il nostro sistema di valori e di esperienze, gli eventi che stanno accadendo in Serbia. Perché la narrazione di alcuni serbi ultranazionalisti e filo-putiniani fa sempre presa, soprattutto per chi deve accumulare click o vendere giornali, ma rischia di restituirci una realtà inutilmente distorta.