La carriera di Sergio Agüero si è interrotta. Cristallizzata nel tempo. Il 13 maggio è una piacevole domenica di primavera nelle Midlands. Il sole scalda Manchester e irradia il pomeriggio con una luce carica di aspettative. Blu contro Rossi nel biliardino della città: tra City e United è conteso il titolo di campione d’Inghilterra al termine di una Premier League elettrizzante.
Nel Nord-Est del paese, allo Stadium of Lights di Sunderland, i Red Devils hanno messo il pilota automatico. Il gol di Wayne Rooney al ventesimo lascia scorrere le lancette nella quiete di una partita gestita senza problemi dagli uomini di Sir. Alex Ferguson. Le attenzioni ben presto si spostano verso casa: City e United sono appaiate in vetta, ma la differenza reti, nettamente favorevole agli uomini di Roberto Mancini, renderebbe vana la vittoria in caso di arrivo a pari punti.
Al City of Manchester Stadium (Ethiad per fini commerciali), i Citizens sono nervosi e contratti. Il QPR, in cerca di punti salvezza, non si accontenta del ruolo di comparsa, anzi agguanta e a inizio ripresa ribalta il vantaggio iniziale di Zabaleta. Passano i minuti e le facce sugli spalti tradiscono le ansie di una storia già vista. Certo, l’acquisizione del club da parte degli sceicchi ha ridato speranze ai tifosi, e la vittoria della FA Cup della stagione precedente è senza dubbio una premessa incoraggiante.
Tuttavia, a 44 anni dall’ultimo titolo, le angosce sono lecite e la sensazione che il destino, come al solito, stia di nuovo ordendo la sua trama beffarda è inevitabile. Quando il cronometro spacca il novantesimo anche la logica, molto più inesorabile del pessimismo, stende il suo copione. Sugli spalti la rabbia prende il posto dello scoramento. Qualcuno getta la sciarpa biancazzurra violentemente per terra. Qualche altro si copre il volto per non vedere, ma basta sentire il silenzio assordante per capire: è finita.
Eppure i tre fischi non arrivano. C’è ancora il tempo di qualche attacco confuso, più per dovere che per convinzione. Da uno di queste sortite nasce il calcio d’angolo che David Silva spedisce sulla testa di Edin Dzeko: è 2 a 2 al novantaduesimo, ma non basta. La rete è una scarica elettrica che rianima la squadra, ma con neanche 180 secondi da giocare le speranze rimangono poche.
I minuti che seguono sono caotici e incomprensibili. Nigel De Jong scompagina come sempre gli equilibri con i suoi interventi ruvidi e all’improvviso riparte una folata offensiva disordinata. Il Kun improvvisa uno scambio con un Balotelli davvero ispirato. Mario, in versione – allora sì – Super, con un colpo di reni si stende allungandosi per restituire il pallone ad Agüero. Uno stranissimo triangolo a lungo raggio si chiude.
Il Kun riceve la sfera sul destro ed entra in una stato di catarsi. Controlla il pallone con una lucidità inspiegabile: un tocco perfetto, delicato quanto basta per eludere il tentativo disperato di Taiwo, e preciso a sufficienza per preparare la conclusione verso la porta. Il pallone è calciato forte, sul primo palo, un metro circa al di fuori dell’area piccola della porta difesa da Paddy Kenny.
93 minuti, 20 secondi: il momento esatto in cui il pallone ha gonfiato la rete, la carriera di Sergio Kun Agüero è cambiata per sempre. E non tanto per le stagione strepitose che sarebbero seguite, condite da trofei e record, quali miglior marcatore della storia dei Citizens (260 gol) e migliore marcatore straniero della Premier League (184 gol). Quanto piuttosto per quello status di eroe in patria che ne ha accompagnato il resto dell’esperienza mancuniana.
«Non capivo che avevamo vinto il campionato. Un tifoso mi ha detto ‘grazie mille per questo gol’. Il minuto 93.20 è stato uno migliori momenti della mia vita. E ogni volta che lo ricordo dico WOW».
Uno di quei privilegi esclusivi che solo una ristretta cerchia di sportivi può vantare. Una condizione se possibile amplificata addirittura dal suo addio, una manciata di mesi fa, quando è stata annunciata una statua in suo onore posta fuori dallo stadio e un mosaico installato invece alla City Football Academy. Come se non bastasse sulla maglia, confezionata da Puma per la stagione 2021/2022 in occasione del decennale di quella storica impresa, è stato impresso nella parte interna il riferimento ormai celebre: 93’20”.
La carriera di Sergio Agüero si è interrotta. Cristallizzata nel tempo. Stavolta è il 30 ottobre, a Barcellona si gioca l’ennesima partita complicata del dopo Messi. Il Kun Agüero, dopo un inizio stagione tribolato a causa di qualche infortunio di troppo, ha ritrovato il campo, e con lui si spera la continuità. Il minuto è il 38, quando l’argentino si accascia sul manto del Camp Non toccandosi ripetutamente la gola e il petto.
Lo sguardo sembra vacuo, perso nell’impotenza di una situazione anomala che il Kun non riesce a decifrare. Una vita spesa sui campi di pallone, l’esperienza di conoscere le dinamiche del gioco, così come quelle del fisico. I muscoli che si allungano e si sforzano un po’ troppo. Elongazioni, stiramenti, strappi e traumi, quante ne ha passate Agüero. Ma questa cosa Sergio non l’ha mai sentita.
Esce dal campo comprensibilmente frastornato, e non sa ancora che forse non ci rientrerà più. ‘Aritmia maligna’ recita il referto degli accertamenti cardiologici effettuati nei giorni seguenti. Una dinamica simile a quella che lo scorso giugno, oltre alla carriera, stava portando via la vita a Christian Eriksen. La stessa che qualche anno fa aveva anche minato la salute di Iker Casillas che qualche giorno fa ha ammonito:
«Serve prevenzione, maggiore prevenzione. I casi di calciatori che si sentono male sul campo ormai sono all’ordine del giorno. Su quegli stessi campo giocano anche i bambini. Le squadre sono attrezzate per questo ma spesso si parla solo quando accadono certe cose».
Da parte sua, il Kun ha professato cautela e rassicurato sui profili social i suoi tifosi, dopo le illazioni su un ritiro imminente diffuse da Mundo Deportivo: «Visti i rumors, rispondo dicendo che sto seguendo le indicazioni dei medici del club, facendo esami, seguendo cure e tenendo nota dei miei progressi per i prossimi 90 giorni. Sempre positivo». Ma poi ha anche aggiunto:
«Sto bene, bene… I rumors sono terribili. Questa cosa del cuore richiede tempo, almeno 6 mesi. Ho 33 anni e dovrei aspettare 6 mesi, più tre di allenamento per tornare in campo. Beh, è complicato. Dovrei stare fuori 9 mesi, quasi un anno, ecco perché speculano sul mio ritiro. Se mi dicono che devo smettere lo farò, ma prima aspetto i risultati»
Realisticamente, dobbiamo considerare conclusa la carriera del Kun. Ovvio, in questi casi è un aspetto decisamente marginale rispetto alla prospettiva di poter continuare a vivere un’esistenza serena. Al netto dei messaggi positivi, delle dichiarazioni di speranza e fiducia, i tempi di recupero e l’età di Agüero gli consentiranno, nella migliore delle ipotesi, di tornare a strappare gli ultimi applausi in una passerella di addio. Magari volgendo lo sguardo a Sud, in direzione Avellaneda, dove il sogno di del DS Burruchaga di rivedere il Kun alla Doble Visera, con la maglia dell’Independente, potrebbe avversarsi, fosse anche solo per un attimo.
Un attimo che non cancellerà una carriera: quella di uno dei migliori attaccanti della sua generazione, che proprio in un attimo ha cambiato la storia e che l’ha consegnato alla leggenda di una squadra. La corsa di Agüero si ferma qui, ma non si potrà mai fermare l’eco di quelle gesta impresse a fuoco sulla pelle di Sergio, spaccando le lancette della storia Citizens. Novantatré minuti, venti secondi. In bocca al lupo, Kun.
Il deprezzamento del Pipita nella percezione calcistica collettiva segue quello sul piano economico. L'approdo al Chelsea come ultima spiaggia per tornare a sorridere.