Papelitos
25 Maggio 2021

Lasciare a casa Sergio Ramos non è una scelta di campo

Un leader tanto decisivo da risultare scomodo.

Il 30 marzo scorso, sul sito della Uefa, usciva un brevissimo elogio alla carriera di Sergio Ramos, baluardo – non solo difensivo – del Real Madrid e della nazionale spagnola. Ironia della sorte, l’articolo a cura di Joe Walker terminava ricordando come, ad Euro 2020, Ramos avrebbe superato l’egiziano Ahmed Hassan in quanto a presenze con la propria nazionale. Un record mondiale che, evidentemente, Luis Enrique ha deciso di negare al fenomeno con la 4 sulle spalle.

La notizia fa il paio con l’altra notizia della settimana: per la prima volta nella sua storia, la nazionale spagnola non avrà alcun giocatore del Real Madrid a vestire la roja in una competizione internazionale. Una doppia decisione storica – e quantomeno discutibile – che ha attirato su Luis Enrique diverse accuse della stampa e dell’opinione pubblica spagnola. In primis da Tomas Roncero, caporedattore di AS, che ha parlato di antimadridismo di Luis Enrique:

«Luis Enrique ha mostrato il suo vero volto. Nessun giocatore del Real Madrid convocato per gli Europei. Ha scaricato il capitano Sergio Ramos e Nacho. Un’aberrazione. Non si possono fare le convocazioni lasciandosi trasportare dalle proprie convinzioni o paure personali. La Spagna dovrebbe essere più importante».

Tomas Roncero dal proprio profilo Twitter

Sulle sue orme anche Antonio Romero, di Cadena SER:

«La lista è strana. Nacho è stato il miglior difensore centrale spagnolo nell’ultima parte di stagione; tre dei quattro difensori centrali convocati sono stati riserve per la maggior parte dell’anno, un Ramos a metà è migliore di tutti i difensori convocati e lasciare fuori Aspas e Canales è assurdo».

Antonio Romero dal proprio profilo Twitter

Lontani dalle vicende della corona spagnola, preferiamo alle polemiche partitiche (e politiche) un’altra chiave di lettura, riprendendo le parole che il CT dell’Under 21 De La Fuente tuonava con patetico moralismo sulla condotta di gara degli azzurrini di Nicolato, un paio di mesi fa: «alcune situazioni non dovrebbero esistere su un campo da calcio». È un’accusa che Jurgen Klopp, all’indomani della finale di Champions persa contro il Real Madrid, rivolgeva proprio al difensore castigliano, reo di aver infortunato Momo Salah. E qui, a nostro avviso, sta il vero punto della questione.

Certo, Sergio Ramos non sarà più quello di due anni fa, ma rimane il miglior difensore della Spagna e, probabilmente, il miglior difensore al mondo insieme a Giorgio Chiellini. Il quale, tra parentesi, quasi elogiava l’intervento su Salah, affermando che «quello [è stato] un colpo da maestro».

Ma Chiellini non è l’unico a credere che Ramos sia tra i più forti al mondo. Nonostante una stagione difficile, tormentata dal covid e dagli infortuni, il difensore e capitano del Real Madrid (e della Spagna, almeno in teoria) rimane un fuoriclasse assoluto, soprattutto in una squadra – come quella spagnola – in fase calante e assente di un vero giocatore di personalità. La Spagna manca di un leader, ma evidentemente l’identità non è tutto – anche in materia di nazionali.

L’identità non è una parolaccia.

Il nuovo corso del calcio, difeso da De La Fuente e sposato da Luis Enrique prevede un calcio pulito, armonioso, quasi esclusivamente palla a terra, con ruoli inesistenti e difese groviera. A tutela dei giocatori di qualità e a discapito di quelli nati per difendere – con tutti i mezzi necessari, talvolta rudi, e viva Dio!

Non a caso al posto di Ramos è stato scelto Laporte, il prototipo del difensore moderno – il basco, che ha sempre giocato per la Francia, ha recentemente cambiato idea sulla nazionale da rappresentare. Un difensore che prima di saper difendere sa impostare. Molto meglio di Sergio Ramos, il cattivo per eccellenza con 26 espulsioni in maglia bianca – un record, uno dei tanti. E poco importa se, parola di Ancelotti, «Sergio Ramos è il più completo». O se, parola di Suarez, «è il più forte avversario che abbia mai incontrato» (l’altro l’ha morso). O, ancora, che se fosse per lui «[andrebbe] in Qatar con la barba grigia». Per Luis Enrique si è trattato di «una scelta complicata». Il tecnico cerca «il beneficio della squadra e del gruppo». Giustifichiamolo, Sergio. Perché non sa quello che dice.

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