Calcio
27 Febbraio 2023

L'Africa sta guidando la Serie A

Ve ne eravate accorti?

Con negli occhi l’ennesima prodezza di Victor Osimhen, ho pensato come la Serie A e l’Africa siano finalmente riuscite a portare a compimento la loro fusione alla Dragon Ball. I migliori giocatori del continente o sono da noi o ci sono passati nemmeno troppo tempo fa. Oltre al bomber del Napoli abbiamo Lookman, Nzola, Bennacer, Anguissa, Onana, Dia, Barrow, Kouame, Boga e se ne ho dimenticato qualcuno me ne scuso. Mentre tra coloro che se ne sono andati da poco basti ricordare Salah, Hakimi, Kessié e Koulibaly (ma volendo anche Hamed Traoré, passato per 30 milioni al Bournemouth a gennaio). Tolti Mané e il rimpianto Ounahi – passato al Marsiglia per un piatto di fave ma vicinissimo al Napoli – c’è quasi tutto il meglio.

La classifica cannonieri sembra trarre un particolare beneficio da cotanta grazia e, oltre ai diciannove dell’attuale capocannoniere, spiccano i dodici centri dell’esterno anglo-atalantino con nazionalità nigeriana, gli undici del bomber angolano dello Spezia – in quota podio prima dell’infortunio – e gli otto del senegalese della Salernitana.



Sia chiaro, molti di loro si sono formati in Francia o Inghilterra, sono cresciuti in Spagna, hanno fatto scuola in Germania, ma il fil rouge è sempre l’Africa, una terra troppo spesso guardata con occhi pigri dall’Italia, quando non con sospetto. Il primo africano a mettere piede in Serie A veniva dalla Costa d’Avorio e nemmeno aveva fatto in tempo ad appoggiarlo, quel piede, che già si erano inventati come Abebe Bikila si fosse presentato scalzo al primo allenamento. Risate.

Si chiamava Zahoui ma l’avevano ribattezzato subito Zigulì, come le caramelle alla liquirizia, che oltre a essere assonanti erano pure nere, come la sua pelle. Risate e altre risate, come in quel primo pezzo di anni Ottanta si faceva dall’asilo fino al circolo dei pensionati imitando il tono forestiero dei cosiddetti “vucumprà” che cominciavano ad affollare strade e spiagge dell’Italia da bere.

Dodici anni c’erano voluti per vedere un altro africano in Serie A e a pescarlo – scusate il gioco di parole involontario – era stato il Pescara. Nel 1992 dopo qualche buona stagione in Francia al Monaco, tal Roger Mendy era arrivato trentaduenne giusto per segnare il primo gol del continente nell’allora campionato più bello del mondo e quindi retrocedere in Serie B. Ma l’Italia gli era piaciuta, visto che poi vi si era stabilito. Era un primo abboccamento, pareva un timido cambio di prospettiva.


Ma è bene ricordare come non tutto quel che luccica sia oro.


Nel calcio giovanile spopolavano i ghanesi e così il Torino, nel 1994, si era convinto a prendere dal Marsiglia campione di tutto (ma decaduto causa illeciti) il tre volte pallone d’oro africano Abedì Pelè. Come se oggi si portassero a casa con un po’ di puzza sotto al naso il già citato Mané. Poteva essere la rivoluzione, ma non era il miglior giocatore ghanese di tutti i tempi colui che avrebbe cominciato a scalfire la storica diffidenza italica verso il “continente nero”, tanto per citare Edoardo Vianello e i suoi watussi.

L’anno dopo era arrivato George Weah, non certo un diamante grezzo pescato da scout attenti ma un Pallone d’Oro di France Football in pectore. A rivederlo, per gustarsi alcune sue movenze, l’intelligenza sublime delle sue giocate, sembra che tutte le novità del calcio moderno fossero già state scritte nel suo DNA. Tecnica, prepotenza e servizio alla squadra miscelate insieme. Dopo di lui, il diluvio. Inteso come piogge di giocatori che più o meno erano arrivati facendo chi bene e chi meno, grazie a regole sugli extracomunitari a maglie un pochino più larghe e la concessione facile di passaporti comunitari a destra e a manca.


Il pallone continuava a girare nonostante tutto e così, per rimanere nel campo dei bomber, erano arrivati il compianto sudafricano Masinga, il camerunese Mboma e lo sfortunato nigeriano Kanu, che passato all’Inter per far coppia con Ronie dopo aver portato l’Ajax alla Champions e la sua nazionale al titolo Olimpico, si era scoperto un cuore matto che nemmeno Little Tony.

Poi, c’erano stati Kallon e Oba Oba Martins, sempre all’Inter.

In Italia si continuava a fare il monkey noise negli stadi, ma se Zoro fermava il gioco in un Messina-Inter per portare via il pallone e andarsene da chi puntava a umiliarlo rendendolo invece immortale, tutti si stupivano per il gesto esagerato. L’Africa però era ben più forte di questo tipo di razzismo, e gli africani forti ormai troppi per essere ignorati e dare retta ai “buuuu” che si udivano dagli spalti; il tutto in un Paese che, come altri in Europa, non era ancora pronto ed abituato. Così negli anni era arrivato l’africano più forte dopo Weah e prima – ma solo in ordine di apparizione – di Osimhen, l’ex barcelonista e neo nerazzurro, pure lui, Samuel Eto’o.

Dopo l’eroe del Triplete, saltiamo a oggi – o l’altrieri – a Salah e Hakimi fino al diluvio di gol attuali, segno che forse qualcosa sta cambiando in meglio e un asse mediterraneo si può immaginare per il nostro calcio sempre più povero (economicamente e quindi tecnicamente). Benché un’italiana come Paola Egonu dica che in Italia si vive male se si ha la pelle nera, tanti giocatori africani sembrano trovarsi sempre più a proprio agio, almeno quando li vediamo calcare il rettangolo verde. Che sia la volta buona per un cambiamento profondo? Intanto ci godiamo i loro gol che come gli eroi son tutti belli (e spesso giovani).

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