Ci lamentiamo sempre che l’Italia sia il luogo della trattativa sotto banco, del tengo famiglia, della legge immorale e parallela del “biscotto”. Un Paese privo di una solida etica pubblica, individualista fino al punto di diventare menefreghista, Patria “dei furbi e dei fessi”, come diceva Prezzolini, in cui sono i primi ad andare sempre avanti e i secondi… beh, avete capito. Ebbene ieri sera la lotta salvezza ha sconfessato clamorosamente questi (fondati) luoghi comuni: l’Udinese senza più nulla da chiedere al campionato ha disputato a Salerno una delle migliori partite stagionali, approfittando di avversari completamente in burnout dopo una rimonta surreale – o per dirla all’italiana scoppiati, bruciati, esauriti, incapaci di sostenere tanta pressione. Sciolti all’ultimo scatto di una lunga e faticosa marcia, tanto a livello fisico quanto, soprattutto, a livello nervoso e mentale.
Nel frattempo a quasi 800 km il Venezia già retrocesso, dopo essersi immolato con la Roma bloccandola sul pari all’Olimpico, ha dimostrato ancora una volta che in laguna c’è gente orgogliosa, non certo intenzionata a salutare la Serie A con una sconfitta davanti al proprio pubblico. E così al Penzo, uno stadio straordinariamente veneziano, gioiellino anti-moderno che riassume l’unicità di un luogo speciale, i lagunari hanno bloccato il Cagliari sullo 0-0, rischiando nel finale anche di vincere, e regalando ai salernitani la più dolce sconfitta della propria vita. Un clima paradossale quello dell’Arechi, in cui sugli spalti si guardavano solo i telefonini e non più il campo; si ascoltavano le radioline, si telefonava, ci si affidava all’Altissimo – e all’orgoglio veneziano.
La lotta salvezza ha fornito ieri sera l’immagine migliore del nostro calcio, che in questo si è avvicinata finalmente al “modello” (o sarebbe meglio dire allo “spirito”) inglese. Laddove l’Aston Villa ha dato fondo a tutte le proprie energie, issandosi sullo 0-2 all’Etihad e facendo tremare per 80 e più minuti il Manchester City di Guardiola, il Wolverhampton ha anch’esso spaventato e tanto il Liverpool, e nei bassifondi il Newcastle già da tempo salvo ha espugnato il Turf Moor – un’impresa non semplice – condannando il Burnley alla retrocessione per la contemporanea vittoria del Leeds.
Per una volta insomma non abbiamo avuto nulla da invidiare a nessuno. Sassuolo a parte, naturalmente. Con tutti i complimenti possibili per il Milan, che con ogni probabilità avrebbe vinto comunque, il club neroverde ha dimostrato – senza offesa per nessuno, ma bisogna pur dirlo – i limiti di essere una squadra senza tradizione, senza identità, senza quell’attaccamento che fa lottare per una maglia e che fa dare tutto per difenderla (in campo). Un club d’altronde con una tifoseria esigua e sparuta, costretta a diramare un comunicato prima della partita in cui venivano “diffidati” comportamenti e persone:
«Il gruppo Sic Ex Murice Gemmae ricorda che la Tribuna Sud, quando gioca il Sassuolo, è il settore adibito al solo tifo sassolese. Dunque, domenica, chiunque entrerà con altre intenzioni sarà visto come un “nemico” e di conseguenza trattato come tale. Occasionali che tifano Milan state a casa come avete sempre fatto! Inoltre tutti coloro che hanno deciso di mettere i propri abbonamenti all’asta e lucrare sui nostri colori non saranno più i benvenuti, ovunque giocheremo»
Non è servito più di tanto, vedendo l’atmosfera e gli spalti al Mapei Stadium. Cose che in campo si sentono, e hanno contribuito a far sì che il Sassuolo, su quel campo, non ci scendesse proprio. Un peccato, considerato che il Milan è stata di gran lunga la migliore squadra del campionato, e non aveva certo bisogno di un finale morbido o accomodato. Ma comunque un epilogo che non toglie nulla al campionato capolavoro dei rossoneri, frutto come ha detto Maldini di uomini ancor prima che di calciatori.
Ciò detto, oggi è giornata di verdetti: di vincitori e di sconfitti, di campioni e di retrocessi. Agostini, bandiera e allenatore del Cagliari, ha parlato della “più grande delusione della carriera”, chiedendo “scusa a tutto il popolo rossoblù”. Nicola, a Salerno, ha rivendicato un’impresa collettiva e visionaria, condivisa con Iervolino, Sabatini, con la squadra ovviamente, ma soprattutto con una piazza straordinaria, che ha dimostrato non solo negli ultimi tre mesi ma per tutto l’anno cosa significhino la passione, l’identità, l’amore per una squadra di calcio – che non è mai solo una squadra di calcio ma un rito di popolo, un simbolo d’orgoglio, una religione laica. Non è finita come ci immaginavamo la lotta salvezza, con l’Arechi in festa per una promozione conquistata sul campo e davanti ai propri tifosi, per citare lo stesso Nicola.
Di più, la Salernitana si è salvata a 31 punti: una cosa che non era mai successa, la quota più bassa di sempre. Un problema che forse da domani dovremmo affrontare, ma che oggi lascia il tempo che trova: per una volta, dopo le vicende di ieri sera, vogliamo goderci il volto migliore del calcio italiano. Non solo quello di Salerno e della sua strepitosa impresa, ma anche quello del Venezia e dell’Udinese.