Bollettino di guerra del campionato di Lega Pro. Al momento possiamo confermare la scomparsa prematura di un club al quale si aggiungono altre società in precarie condizioni, le cui condizioni, però, lasciano quantomeno, sperare.
Il campionato di Serie C, ogni stagione, non risparmia pagine tristi di calcio italiano. All’ottava giornata quest’anno possiamo già contare il forfait del Trapani, mai sceso in campo, e il salvataggio in extremisdel Livorno, che ha destato non poche perplessità in Lega. Due storie diverse e che evidenziano la crisi di un campionato il quale non solo non riesce a replicare i livelli del passato, ma mette in luce problemi strutturali ormai cronici. Al di là della pandemia, infatti, la crisi di molti club di Lega Pro è riconducibile alla mala amministrazione e al mancato intervento degli organi federali.
Da Trapani a Livorno: la Serie C inizia con handicap
Il Trapani viene da anni di opaca gestione societaria con presidenze, alquanto discutibili, che hanno via via portato il club nel baratro (ne scrivevamo già 18 mesi fa, ma a quanto pare nessuno se ne era accorto o ha deciso di intervenire). Tutto nasce dalla trattativa imbastita dalla Liberty Lines: questa, nel marzo del 2019, ha ceduto le quote della società sportiva all’imprenditore irpino Maurizio De Simone (a guida dell’azienda FM Service).
A distanza di un anno tuttavia De Simone viene arrestato: gli inquirenti ipotizzano una sottrazione di oltre duecento mila euro dalle casse della società sportiva siciliana, e anche un’evasione dell’IVA di oltre 9 milioni di euro (l’indagato, tra l’altro, già in passato era stato coinvolto in una indagine sull’Us Avellino, ma questa è un’altra storia). La scelta della famiglia Morace di cedere il club a De Simone viene però giustificata dalla Dott.ssa Iracani con queste parole:
“De Simone si è dimostrato più affidabile di Heller, il suo progetto è sicuramente migliore”.
Dopo pochi mesi il Trapani conquista la Serie B – passando per i playoff – in un clima surreale, tra la messa in mora dei giocatori e la cessione della società con mille tentennamenti e ripensamenti dell’ultimo secondo. De Simone cede il club all’Alivision, società romana riconducibile a Fabio Petroni, ma la mancanza di liquidità e l’immediata retrocessione dal campionato di Serie B consegnano il club siciliano nelle mani di Gianluca Pelino, il quale acquisisce il 100% delle quote il 20 settembre 2020. Senza dilungarci in tecnicismi, l’interrogativo da sollevare rimane uno: com’è possibile aver consentito l’iscrizione di un club così precario, senza nessun genere di garanzia economica?
La situazione, d’altronde, era chiara ed evidente fin dall’inizio. I giocatori non avevano mai svolto un ritiro pre stagionale; lo stadio e le strutture di allenamento erano rimaste chiuse data l’assenza dei dipendenti (privi di stipendio per oltre 5 mesi); la squadra si allenava in maniera autonoma sulla spiaggia e non era mai stato fatto un tampone, come previsto dal protocollo, per proteggere la salute dei calciatori. Tuttavia la Lega Pro e la Covisoc hanno consentito alla società siciliana di iscriversi regolarmente al campionato di Serie C, senza valutare un intervento diretto.
Contemporaneamente al caso Trapani (girone C), nel girone A la situazione non era delle migliori. Da Livorno è arrivata, nelle settimane passate, la triste notizia della mancata fideiussione che avrebbe garantito al club la possibilità di tesserare alcuni calciatori, essenziali per garantire le competitività nella stagione sportiva. Certo, attualmente il club ha sistemato la propria posizione, ma rimangono tante e strutturali incertezze sul suo futuro.
Perché la Serie C è insostenibile
Il regolamento di Serie C, tanto elogiato dal presidente Ghirelli, ha evidenziato le lacune di un campionato già da tempo in crisi e che nessuno si assume il coraggio di riformare una volta per tutte. Il terzo campionato professionistico italiano è ad oggi il più esteso del continente europeo (59 squadre partecipanti escluso il Trapani), ma rappresenta un format obsoleto, con troppe squadre partecipanti, colpevole di disperdere le risorse economiche messe a disposizione dalla Lega Calcio. Se da un lato la pandemia ha imposto il tema di una riforma dei campionati, dall’altra nessuno ha cercato di equiparare l’Italia agli altri standard europei.
Germania e Francia, nelle rispettive terze serie, hanno introdotto il semiprofessionismo, pensato per aiutare i club nella gestione delle spese;in Inghilterra invece non c’è semiprofessionismo, ma la League One può contare su 24 squadre partecipanti totali, ben lontane dalle nostre e insostenibili 60.
In Italia al momento, tra le tante proposte, sembra prender quota quella di allargare la Serie B suddividendola in due gironi, accorpando quindi la Lega Pro alla Lega Nazionale Dilettanti con l’introduzione del semiprofessionismo: un pastrocchio, un mappazzone per dirla alla Barbieri. Insostenibile perché, invece di snellire, darebbe luogo ad un’elefantiaca Serie B a 40 squadre che replicherebbe i problemi strutturali della Serie C, al secondo livello del calcio italiano anziché al terzo.
La ragione del tracollo ormai decennale della Serie C in realtà è molto semplice: le entrate per le società non compensano le uscite. Ogni anno, banalmente, svariate società salutano il calcio professionistico a causa di costi troppo alti. Lo attesta anche il report pubblicato dalla FIGC che ha analizzato il quinquennio 2014/19: è emersa dai numeri una vera e propria crisi strutturale del terzo campionato italiano, accentuato peraltro da una pandemia che ha tagliato di netto la entrate delle società già prima in affanno.
Nella stagione 2020/21, infatti, si è dovuto rinunciare ai 23 milioni di euro di biglietti e abbonamenti. In queste condizioni i club hanno potuto contare solo sui 26 milioni derivanti dalla Legge Melandri, la quale garantisce introiti ripartiti così: 58% di fondi distribuiti a pioggia ed equamente; 42% spartiti tra i club che utilizzano i cosiddetti “under” (i calciatori con età inferiore a 22 anni, ci torneremo tra poco). Poi ci sono i 90 milioni di euro di diritti televisivi per gli accordi con la RAI (e la tanto discussa piattaforma Eleven Sports), e per gli accordi di sponsorizzazione e marketing delle singole società, dimezzati anch’essi dall’epidemia di coronavirus. Come sottolineato da Nicola Binda sulla Gazzetta dello Sport.
Un dato che deve far riflettere è il movimento di denaro generato dalle valorizzazioni e dalle plusvalenze, pari ad un totale di 40milioni di euro. È questo l’unico modo in cui il calciomercato può portare reali guadagni ai club di C, che solo “valorizzando” i giocatori di A o B possono accrescerne il valore e così ottenere risorse. Sono pochissime infatti le società che riescono “a far cassa” con calciatori di proprietà, rare eccezioni che ogni tanto riguardano giovani di valore da piazzare a squadre di A o B.
Tornando alla regola sugli under, ideata allo scopo di ringiovanire il calcio nazionale, ogni club per ricevere i fondi della legge Melandri deve utilizzare almeno quattro calciatori di tale categoria per tutto l’arco dei 90 minuti di gioco (e per un totale di 271 minuti giocati a gara). Anche qui però sorge un problema: quest’anno i nati nel 1998, quindi non più under 22, rientrano nel conteggio perché si è voluto sostanzialmente accontentare alcuni presidenti. Una modifica non condivisa e che ha creato grossi malcontenti, come quello del Grosseto che ha minacciato addirittura di ritirarsi dal campionato in corso poiché penalizzato.
“Il Grosseto pensa al ritiro dal campionato. Abbiamo costruito la squadra sui giovani e cambiando in corso le regole si danneggiano le società e ci mettono in ginocchio. In ginocchio siamo già per il governo e protocollo e non abbiamo ristoro. Noi non siamo in grado di mantenere impegni assunti pur giocando con cinque giovani a partita. Con prospettiva di questo passo non riusciamo ad ottenere più di 200 mila euro nel budget previsto, sul minutaggio. Pertanto bisognerà pensare a ridimensionare tutto e non escludo la che proprietà decida di ritirare la squadra dal campionato.” (Direttore generale del Grosseto, Filippo Marra Cutrupi/ TuttoC.com)
Un campionato in rosso
Purtroppo questa è la condizione in cui i club devono organizzarsi, in estate, per arrivare giusti giusti a far “quadrare” il bilancio, anche con la regola precarizzante degli under. Innalzando l’età media infatti, i fondi della legge Melandri vengono distribuiti tra più squadre, e quegli introiti su cui poteva contare una squadra costruita proprio per usufruirne (es. il Grosseto) si riducono. Ciò basta per innescare una difficoltà economica in uno scenario in cui ogni centesimo è vitale per la sopravvivenza delle singole società: ecco come funziona la Serie C, che si trova oggi in una guerra intestina e per giunta “tra poveri”.
Tornando al discorso economico globale, se già prima le entrate dei singoli club erano esigue ora sono letteralmente insufficienti. Dalla grafica vediamo come il totale di produzione di tutti i club della Lego Pro sia di 180 milioni, a fronte di 276 milioni di uscite: il deficit è di 96 milioni, che diviso per 60 club comporta una perdita media per società di 1.6 milioni. Insomma se le entrate per ogni club sono di 3 milioni, le uscite sono invece di 4.6: una situazione, capirete bene, insostenibile.
Gli stipendi in questo conteggio rappresentano la voce più corposa con 144 milioni, circa il 52% delle spese di un club, e che incidono per l’80% sulle entrate annuali. Sono proprio gli ingaggi allora allora a far tremare i club di Lega Pro.
Il 16 novembre è previsto infatti il termine ultimo per saldare gli emolumenti della passata stagione dei mesi di giugno-luglio. Al contrario, il 1 dicembre è la scadenza per gli stipendi dell’attuale stagione, e molti club di Serie C non sanno letteralmente dove sbattere la testa. Pochi club alla condizione attuale potranno onorare le scadenze, e con ogni probabilità assisteremo a una pioggia di penalizzazioni che condizionerà non di poco le classifiche.
Insomma gli stipendi dei calciatori, tra contributi e tasse, diventano strutturalmente insostenibili per i club di Serie C. In questa situazione paradossale – e condizionata dal covid –, le società hanno dovuto aggiungere la spesa per i test sierologici e per i tamponi a ripetizione: il costo medio è pari a 2.800 euro a settimana per un gruppo di quasi 40 persone (tra giocatori, dirigenti e staff) ai quali vanno aggiunte le sanificazioni degli ambienti che oscillano tra i 1000 e i 2000 euro a settimana. Senza calcolare gli spostamenti, gli alberghi e altre spese logistiche che possono far schizzare i costi fino ad un massimo di 50mila euro al mese per club. Cifre fastidiose per un campionato privo di introiti e costantemente in perdita.
Come se non bastasse, negli ultimi mesi gli annunci non hanno aiutato a rasserenare gli animi: a giugno Gabriele Gravina annunciava con entusiasmo lo stanziamento di 21,7 milioni di euro per il calcio italiano “minore”, che però si ripartivano in questo modo:
–fino a 5.000.000 per il sostegno alle società di Lega B; –fino a 5.000.000 per il sostegno alle società di Lega Pro (83mila euro a club di media); –fino ad euro 5.000.000,00 per le società della LND; –fino ad euro 3.000.000 ai calciatori e fino ad euro 3.000.000 ai tecnici e ai preparatori attraverso il riconoscimento di un contributo unico al Fondo di Solidarietà calciatori, allenatori e preparatori atletici; –700.000 alle società della Divisione Calcio Femminile, per il sostegno alle società finalizzate alla ripresa e al completamento delle attività della stagione sportiva 2019/2020.
Cifre quasi ridicole, di certo neanche lontanamente in grado di attutire le perdite della passata stagione e di quella attuale. Nulla a che vedere ad esempio con quanto predisposto dalla Premier League, che in piena pandemia ha creato un fondo pari a 125 milioni di pound a favore delle società della EFL (dalla Championship alla League 2) e della National League, che ovviamente dovranno fronteggiare un periodo economicamente ancora più drammatico.
Al tempo stesso queste politiche, per quanto lodevoli, non hanno evitato il “collasso” del calcio minore inglese che a settembre ha chiesto un ulteriore contributo per garantire la sussistenza delle federazioni. E come dai noi scompaiono alcuni club, anche in Inghilterra si può registrare l’addio del Macclesfield, 146 anni di storia, retrocesso dalla League Two alla National League per i mancati pagamenti a staff e giocatori, e attualmente in stato di liquidazione.
Ad oggi, comunque, l’unico modo per assicurare un futuro al calcio “minore” italiano è una modifica coraggiosa dei campionati. Nella grafica sopra si possono osservate le tre opzioni più “concrete” – tra mille virgolette – ma in realtà l’ostacolo principale è rappresentato dai soliti e italianissimi “giochi di potere”: una vera e propria battaglia tra singole federazioni in cui ogni lega coltiva interessi di parte, a maggior ragione in vista delle elezioni della FIGC nel 2021. In questo momento parlare di riforma dei campionati diventa quindi ancora più complesso, e con ogni probabilità si dovrà aspettare febbraio 2021 per testare i nuovi assetti e rapporti di forza.
Nel frattempo la Lega Pro, ancor più che la Serie A, naviga a vista. La pandemia come un grande pettine ha evidenziato tutti i nodi, e se già le contraddizioni del calcio maggiore sono difficilmente gestibili quelle del calcio minore sembrano implacabili. Alla terza serie del calcio italiano mancano regole chiare e prospettive, e lo stesso piano per un nuovo stop alle competizioni si riduce a uno stringato e confuso comunicato emesso il 3 novembre, più una richiesta di aiuto che una vera e propria strategia. In questo scenario si spera che passi presto la bufera, ma la situazione contingente potrebbe essere l’ultima e più pesante batosta di un campionato in cui, come da peggiore tradizione italiana, sembra davvero non cambiare mai niente.