Il grottesco e imbarazzante caos generatosi intorno all’affaire Salernitana ha di fatto messo a nudo per l’ennesima volta, semmai ce ne fosse stato il bisogno, il sistema calcio italiano in tutta la sua inadeguatezza. Un sistema da anni compromesso nelle fondamenta, incapace ed arruffone, che naviga a vista con l’unico interesse di auto-conservarsi. Un sistema che negli anni ha fagocitato e portato alla ribalta personaggi talmente impresentabili da risultare folcloristici, tipici del contesto raffazzonato all’italiana, appunto. In questo universo gremito di ciarlatani e millantatori, una menzione d’onore va a Giampietro Manenti e le sue vicissitudini con il Parma Calcio. La vicenda di Manenti, infatti, racchiude una serie di minuzie e sfaccettature tali da consacrarla a pietra miliare di questo mondo picaresco, con una trama da teatro dell’assurdo degna di Beckett. Una trama che può essere sintetizzata, proprio come nell’Aspettando Godot del drammaturgo irlandese, in due atti.
ATTO I – DEUS EX MACHINA
Il nastro si riavvolge per tornare all’ormai lontana stagione 2014-2015. A dicembre, il Parma è già in una situazione disastrosa. L’ultimo posto in classifica è solo la punta di un iceberg fatto di debiti e insolvenze, fino a quel momento tenuto fuori dai radar dal presidente Ghirardi e dal ds Leonardi. Quando però i primi stipendi iniziano a saltare (in aggiunta alla mancata partecipazione all’Europa League conquistata sul campo la stagione precedente), la pressione diventa insostenibile e Ghirardi è giocoforza costretto a vendere. Il magnate albanese Rezart Taci rileva la società, piazzando alla presidenza prima l’avvocato Fabio Giordano, poi il 29enne Ermir Kodra.
Il suo ciclo tuttavia durerà meno di due mesi: una volta preso atto del pantagruelico debito (il netto stimato a più di 140 milioni), Taci molla la presa, lasciando il Parma preda di sciacalli ed avvoltoi; il fallimento a campionato in corso deve però essere scongiurato a tutti i costi. Ecco quindi arrivare, come un deus ex machina, il nostro uomo: il 9 febbraio 2015 l’amministratore delegato della Mapi Group, Giampietro Manenti, acquista il Parma per un euro – Manenti è già conosciuto nel settore per aver tentato, senza successo, di rilevare il Brescia. Al suo fianco, il temporary manager delegato è Fiorenzo Alborghetti: l’improvvisato duo organizza subito una conferenza stampa, per “rassicurare la città di Parma”. Una conferenza stampa destinata ad entrare nell’immaginario collettivo del calcio italiano.
L’intervento di Gerevini alla conferenza stampa di insediamento di Manenti.
I microfoni si aprono con Manenti che prontamente precisa di stare «correndo contro il tempo» ma di essere di fiducioso, perché saranno «purtroppo (??) i fatti a fare la differenza». Il chewing-gum masticato nevroticamente, la giacca color vomito con qualche primavera di troppo, l’espressione di chi sembra essere lì per caso: anche se è vero che l’abito non fa il monaco, Manenti non fa assolutamente nulla per apparire un imprenditore credibile. Le domande si susseguono, focalizzate soprattutto su un cardine: i soldi. Come Godot, il denaro «sta arrivando», rassicura Manenti, con «le prime tranches» già pronte a partire in mattinata. Il gruppo Mapi, di cui egli stesso è il proprietario, è pronto a «veicolare investitori esteri», che per il momento non possono essere rivelati.
Le tempistiche strette e la voragine lasciata dai predecessori lasciano poco spazio per dettagli di questo tipo: quello che importa è che Giampietro Manenti è genuinamente ambizioso e vuole riportare in alto il Parma attraverso dei «piani industriali quinquennali» di staliniana memoria. Mapi Group, che contiene al suo interno Mapi Italia e Mapi Ambiente, punta a far nascere anche Mapi Channel, Mapi Energia e Mapi Fashion: insomma, grandi progetti per la squadra e la città, pronta a tornare protagonista anche «a livello enogastronomico». Seppur condita da qualche strafalcione, la conferenza sembra filare più o meno liscia fino a quando non prende la parola Mario Gerevini, giornalista del Corriere della Sera. Il suo intervento fa da spartiacque ed apre il secondo atto.
ATTO II – LA SCOPERTA
Da quando il microfono – inizialmente non funzionante, con tanto di sfottò da parte dello stesso Manenti («chiamiamo Mapi Channel?») – passa nelle mani di Gerevini l’atmosfera tutto sommato positiva generatasi fino a quel momento si modifica radicalmente. E dire che il giornalista non fa nulla di particolare se non, appunto, fare il giornalista. La prima considerazione riguarda i documenti bancari, al momento totalmente assenti, così come i nomi delle banche coinvolte. Manenti reagisce veementemente, dando del “male informato” a Gerevini e ribadendo come lui voglia solo «rassicurare la città di Parma».
Quando si passa all’analisi della potenza imprenditoriale di Mapi Group e delle altre società satellite, Gerevini è spietato: «Sono tutte scatole vuote». Il castello di carte traballa, Alborghetti prova goffamente a tamponare con risultati circensi, ai limiti del comico. L’imbarazzo è lapalissiano, le frasi sempre più sconclusionate fino all’epilogo: «Queste domande le faccia il 17». Un invito che appare più un maldestro tentativo di temporeggiamento. Ma ormai è tardi:
La breccia del dubbio aperta da Gerevini è destinata a diventare un cratere.
Nelle settimane successive, infatti, emergono numerosi dettagli su Manenti e la Mapi Group. Dettagli che non fanno certo presagire orizzonti sereni ai tifosi: dal passato da venditore di olive su Ebay alla Citroen scassata utilizzata per gli spostamenti zeppa di multe non pagate, fino alla rivelazione della sede di Mapi: una casa privata su due piani alla periferia di Nova Gorica, che nessuno conosce. Il vaso di pandora aperto da Gerevini è oramai totalmente scoperchiato. I soldi, come Godot, continuano a non arrivare seppur Manenti si appelli ai “tempi tecnici” e addirittura faccia ironia su se stesso (“c’ho la valigia”). Ma al centro sportivo di Collecchio la voglia di fare ironia sembra finita già da un po’.
Dipendenti senza stipendio, addirittura l’assenza di acqua calda: il punto di non-ritorno sembra vicino. Arriverà qualche giorno dopo quando Manenti, a seguito di un colloquio finito male con il sindaco Pizzarotti, viene riconosciuto e insultato dalla gente di Parma. Ci sarà bisogno di una scorta della polizia per salvarlo dal linciaggio verbale, mentre incalzato dai giornalisti continua a promettere l’imminente arrivo di liquidità con l’espressione di chi si sta scavando la fossa da solo. Il triste, preannunciato epilogo arriverà il 18 marzo: Manenti viene arrestato per tentato reimpiego di capitali illeciti. Se la caverà con un paio di settimane di prigione, mentre il Parma verrà dichiarato fallito il giorno dopo.
Per fortuna, il passare degli anni ed il ritorno del Parma tra i professionisti allevieranno le cicatrici di questa grottesca parentesi.
A rimanere vivide sono però le sfaccettature, i personaggi farseschi e le sfumature esilaranti del breve apogeo calcistico di Manenti. Il canale youtube “Mapi Channel” ha recentemente riproposto le migliori, con un vero e proprio boom di visualizzazioni (oltre 2 milioni), elevando la vicenda a fenomeno cult. Ed è recente la notizia – non a caso riportata dallo stesso Gerevini – della liquidazione di Mapi per la mancata ricapitalizzazione della società, con il capitale sociale sceso sotto il minimo legale di un euro. Proprio quell’euro, quel misero euro che aveva dato il via all’epopea, ora ne sancisce la fine. Una conclusione coerente per una storia, assurda ma divenuta oramai indelebile. Una storia espressione di un sistema calcio, quello italiano, talmente tanto assuefatto alla farsa da diventare commedia.