Non possiamo giudicare Sinisa Mihajlovic con le nostre categorie.
Sinisa Mihajlovic è così, prendere o lasciare. È un uomo di un’altra epoca, cresciuto in un altro contesto ancor prima che in un’altra parte del mondo: non facciamo distinzioni geografiche, tuttavia un elemento chiamato guerra fa tutta la differenza del mondo nella personalità e nel carattere di un individuo. Aver vissuto certe dinamiche è anche complesso da spiegare: di base noi non riusciamo a capire, dalla nostra prospettiva parzialissima, confortevole e semplificatrice, che in certe pieghe della storia ci si può semplicemente trovare.
“Le guerre, tutte le guerre, fanno schifo. Ma quella fratricida che abbiamo vissuto noi nella ex Jugoslavia è quanto di peggio possa capitare (…). Il mio migliore amico ha devastato la mia casa. Mio zio, croato e fratello di mia madre, voleva «scannare come un porco», disse così, mio padre serbo. Fu trovato dalla tigre Arkan, stava per essere ucciso, gli trovarono addosso il mio numero di cellulare, gli salvai la vita.
Del necrologio per Arkan, che conoscevo da prima della guerra, della mia condanna dei suoi crimini, di cosa rappresentava per i serbi in quel momento, ho detto già così tante volte… Dovranno passare due generazioni prima di poter giudicare cosa è accaduto. È stato devastante per tutti. Quello che racconto io, lo può raccontare anche un croato o un bosniaco. Abbiamo vissuto un impazzimento della storia”.
Ecco perché non abbiamo mai condannato il Mihajlovic politico, pur non condividendone tante opinioni: e siamo letteralmente disgustati dagli attacchi che il tecnico serbo sta ricevendo sui social per l’endorsement al duo Salvini/Borgonzoni in Emilia Romagna. Premettiamo, chi scrive non è passibile di simpatie leghiste né condivide la rappresentazione del segretario leghista come “uomo del fare” tratteggiata da Sinisa, ma non scadiamo nella politica, non ci compete e il punto non è certo questo.
Nella persona di Mihajlovic si condensano però tutte le contraddizioni di un tempo frenetico, e di tanti frustrati che non riescono a vedere più in là del proprio naso: Mihajlovic è “altro da noi” quando parla di guerra, di nazione, di politica; qualcuno potrebbe avanzare l’ipotesi che è meno lucido, ma anche questa idea della “politica” (in senso lato) come esercizio razionale e dispiegamento del logos lascia alquanto a desiderare.
“So dei crimini attribuiti a Milosevic, ma nel momento in cui la Serbia viene attaccata, io difendo il mio popolo e chi lo rappresenta” (da un’intervista al Corriere della Sera, 2009)
Nelle guerre jugoslave veramente, come afferma il tecnico serbo, è capitato di trovarsi su lati opposti della barricata a familiari, amici, parenti. Un impazzimento della storia lo chiama lui, e ha ragione: è l’irrazionale che irrompe sul palcoscenico della storia, e c’è una gigantesca letteratura in questo senso di filosofi, poeti, giornalisti e così via (soprattutto considerati i drammi del Novecento). Come scriveva Dostoevskij, «se ogni cosa sulla Terra fosse razionale, non accadrebbe nulla».
Anzi che le condizioni di salute hanno portato a Sinisa molto affetto e vicinanza: ma anche qui, sembra che noi siamo in grado di provare rispetto ed empatia solo ex post o nella malattia (forse, adesso, neanche più questo). Certo, ormai in molti stanno perdendo il senso del limite, anch’esso un concetto filosofico alla base della nostra civiltà: il metron greco, che è un limite pre-razionale, etico in quanto siamo abitanti del mondo; e passando al mondo latino la pietas che con il tempo, come dimostra Virgilio, si smarca dal campo religioso per diventare parte della humanitas dell’uomo.
Per uno come Mihajlovic, tuttavia, non dobbiamo provare rispetto in quanto malato. Al contrario dovremmo riconoscere nella parabola del tecnico serbo una storia che, pur non condivisibile, ci porta qualcosa a livello umano: non condividerla ma appunto riconoscerla, rispettarla. Il serbo ha vissuto una vita da guerriero, e molti di noi – purtroppo o per fortuna – non possono nemmeno immaginare la forza e la struttura di Sinisa.
È qualcosa che ci resta alieno, per cui le categorie che ormai sempre utilizziamo per emettere giudizi sono insufficienti: bisogna iscrivere tutto nel contesto, altrimenti commetteremmo lo stesso errore di chi vuole bandire l’insegnamento di Aristotele perché schiavista, di Lenin perché ideologo del comunismo sovietico, o di chi pretende di cancellare Heidegger e Carl Schmitt dai libri di testo perché “filo-nazisti”. È questo un comportamento terribilmente arrogante di chi crede di rappresentare la fine della storia, la luce contro le tenebre, l’emancipazione del genere umano che finalmente si è liberato.
“Lo rifarei [il necrologio, ndr], perché Arkan era un mio amico: lui è stato un eroe per il popolo serbo. Era un mio amico vero, era il capo degli ultras della Stella Rossa quando io giocavo lì. Io gli amici non li tradisco né li rinnego” (dall’intervista al Corriere della Sera, 2009).
Come potremmo noi condividere la definizione di eroe rivolta ad Arkan? Magari si può discutere sulla presa di posizione contro l’indipendenza del Kosovo – «Il Kosovo è Serbia. Punto. Non si possono cacciare i serbi da casa loro. No, l’indipendenza non è giusta per niente” – ma è naturale che Mihajlovic non ragioni, ma ancor prima “senta”, secondo i nostri valori infiacchiti da 75 anni di pace. È semplicemente un uomo diverso da noi, un personaggio ingombrante che, tuttavia, riteniamo un valore aggiunto nel claustrofobico mondo del calcio.
Ecco perché, se il nostro ruolo di avvocati del diavolo si spinge fino alla comprensione del necrologio per Arkan, figuriamoci se non si estende all’insignificante – a paragone – campagna elettorale emiliano-romagnola. Non intendiamo qui riportare i mostruosi insulti e “auguri” rivolti a Sinisa per la sua presa di posizione, ma leggendo certi messaggi ci si è gelato il sangue nelle vene, e non potevamo esimerci dal scrivere qualche riga.
Potremmo essere criticati dai talebani del progresso, sì insomma da chi vorrebbe plasmare la storia e la cultura a propria immagine e somiglianza, ma onestamente ci interessa il giusto. Per quanto possa valere noi difenderemo gli ultimi uomini che portano un’esperienza, una forma di vita nel sempre più inconsistente mondo sportivo: anche, e soprattutto, quando non siamo d’accordo.
Se poi infine vogliamo chiudere da dove siamo partiti, ovvero con la politica, non possiamo che riprendere la lezione di stile di Stefano Bonaccini, candidato presidente per il centro-sinistra: questa, in un paese normale, esaurirebbe de facto il “dibattito” senza bisogno di perdersi in (ulteriori) chiacchiere inutili.
“Mihajlovic sostiene chi gli pare, io gli auguro di vincere la partita più importante che sta combattendo per lui, per la sua famiglia e per tutte le persone che gli vogliono bene. Tra queste c’è anche il sottoscritto”.