La solita, arci-argentina, pubblicità pre-mondiale.
Può uno spot commerciale racchiudere l’identità, la cultura e la storia sportiva di un popolo? A poco meno di un mese dall’inizio del controverso (usando un grande eufemismo) mondiale in Qatar, ci ha pensato nuovamente Quilmes, il maggior produttore di birra in Argentina, a confermarci che è possibile. Per l’ennesima volta, come già accaduto prima di ogni competizione internazionale in cui era impegnata la Selección, le menti del reparto marketing dell’azienda hanno regalato al Paese minuti iconici di pubblicità, in una meravigliosa tradizione che esemplifica il rapporto del popolo argentino con il fútbol. La scelta quest’anno è ricaduta su un concetto a cui ogni tifoso è intrinsecamente legato: la coincidenza.
Lo spot si apre con tre giovani che escono da un negozio e discutono di cosa mangiare per cena, quando una ragazza li interrompe: questa fa notare loro che la finale in Qatar si giocherà a mezzogiorno, proprio come la finale di Messico ‘86. L’amica la riprende con tono scocciato “Otra vez con las coincidencias?”. Ma lei non desiste, ha ancora gli occhi che brillano, d’altronde quante ore del giorno ci sarebbero per giocare una finale. E così via con una serie di coincidenze: la pioggia nel Natale dell’86 a Buenos Aires, il fatto che Giove sia transitato sotto il segno dei pesci, il Cile non classificato, il Canada (quelli con la foglia secca sulla bandiera) classificato, De Niro che visita l’Argentina per la seconda volta nella sua vita.
Poi si passa ad un’altra caratteristica, di cui gli argentini sono espressione universale: la scaramanzia.
Franco Armani, portiere della nazionale classe ‘86, torna sul lettino della sua prima visita da neonato assieme al dottore che lo ha fatto nascere, una coppia di ragazzi beve birra Quilmes e ricorda che la calle Sucre nell’86 si chiamava Castelli, e allora via a sostituire il cartello odierno con il vecchio nome. Tutt’altro che una coincidenza però, il fatto che il lavoro realizzato abbia come sempre una riuscita così alta. Se gli spot sono in grado restituire ogni minima sfaccettatura dello stato d’animo del tifoso argentino, ciò è senz’altro perché il Paese intero rema in una direzione sola, verso un sentimento univoco: Hay que alentar la Selección.
Il legame inscindibile con la nazionale altro non è che la conseguenza di un modo di concepirsi popolo, pronto a rispondere ad ogni difficoltà quotidiana – da cui la società argentina non è certo avulsa –rifugiandosi nelle proprie tradizioni, nei propri riti e simboli. Per comprenderlo meglio ci viene in aiuto un’altra pubblicità iconica, realizzata stavolta da TyC Sports prima del mondiale in Sudafrica del 2010, intitolata non a caso “Argentinos”. Essa descrive la differenza passionale tra gli europei e gli argentini, quasi una differenza ontologica, come figlia di un fattore culturale. Nelle prime scene, diversi argentini discutono nella loro quotidianità, ovvero in un taxi, o seduti in un caffè, dei problemi del Paese confrontandoli con le usanze del vecchio continente.
Così il tassista sottolinea che in Svizzera si continua a lavorare anche dopo la pensione, in Spagna si prestano le biciclette, ma soprattutto che in Germania se lanci un papelito (coriandolo), qualcuno lo raccoglierà e ti dirà che è caduto. La risposta finale è sempre la stessa, l’Europa è l’Europa. La scena però si sposta subito sui loro omologhi europei che mettono in luce tutte le virtù e le “stranezze” del tifo passionale all’argentina, quali il lancio di papelitos all’ingresso in campo della squadra, cantare incondizionatamente oltre il risultato, fino al farsi influenzare dall’esito di una partita della Selección talmente tanto che, in caso di sconfitta, nessuno lavorerà, andrà al cinema o al teatro.
Nessuno farà nulla, né giocatori né tifosi.
Il tutto è accompagnato dalla musica in crescendo di Clint Mansell, Lux Aeterna, per dare vita a un capolavoro pubblicitario da pelle d’oca, un dipinto perfetto della capacità tutta argentina di scherzare consapevolmente sui propri difetti, e al tempo stesso custodirli gelosamente come segni distintivi della propria identità. Un’identità collettiva forgiata, oltre che nella sofferenza storica di un passato politico difficile, anche nelle vicende sportive della nazionale albiceleste, in una mitopoiesi che dallo sport investe tutta la società.
Trionfi e sconfitte in cui la libertà si è intrecciata con la paura e la repressione, in cui il sacro ha lasciato la sua impronta sovrastando il profano mandando, ad esempio, al popolo argentino un uomo proveniente da un altro pianeta, che era al contempo l’incarnazione perfetta dei vizi terreni. Nessuno ha ancora scoperto da che pianeta venisse, ci dispiace deludere Victor Hugo Morales, ma quel che sappiamo per certo è che sarà il primo mondiale senza Diego. Una mano divina per la vittoria di un mondiale, una scivolata più che terrena, da allenatore, sotto la pioggia battente del Monumental dopo la qualificazione; ancora sacro e profano che si mescolano, entrambi guidati da una costante ineliminabile del popolo argentino: la fede.
Esattamente sulla fede è incentrata un’altra produzione pubblicitaria firmata ancora Quilmes, pre mondiale del 2010. Una voce dall’alto paralizza l’intera Nazione. Dio si presenta agli argentini e comincia ad elencare tutte le volte in cui è stato decisivo nelle vittorie della Selección. Fu lui nel palo dell’Olanda all’ultimo minuto nel ‘78, nella traversa della Jugoslavia nel ‘90 e nel palo preso dal Brasile, e non ci sono dubbi sulla responsabilità del gol di mano più famoso di tutti i tempi. Ma non ci fu nulla di divino nella corsa di 50 metri palla al piede di Maradona, nel sinistro sotto l’incrocio di Maxi Rodriguez nel 2006, o nel miracolo dell’ultimo minuto di Martin Palermo contro il Perù per la qualificazione. Tutto questo è accaduto perché c’è chi ha giocato lasciando sul campo l’anima e il cuore.
È come se ci fosse un contratto tra squadra e tifosi, affermava un altro spot commerciale del colosso della birra, il quale recita: Nosotros dejamos la vida, y ellos alientan sin parar. Il popolo argentino allora è pronto a tifare senza tregua, rifugiandosi a denti stretti nei propri vizi e sfuggendo a una perfezione asettica che nessuno lì vuole realmente raggiungere, se ciò significa assomigliare a tutti gli altri. La continua ricerca di coincidenze per attribuire un carattere mistico al fùtbol, la scaramanzia, la fede, come antidoti a quello che sarà uno dei mondiali più commercializzati e atipici di sempre. Il nostro applauso perciò va alla Quilmes, controcorrente nell’anteporre il sentimento nazionale alla pubblicità del marchio. La nostra attenzione, invece, si concentrerà sulla passione del popolo argentino, oasi di tifo nel deserto del Qatar. E sull’Albiceleste, (più di) una Nazionale che non potremo fare a meno di sostenere.
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