23 gennaio 1994, la Mafia alza il tiro contro lo Stato.
La mattina del 23 gennaio 1994 una Lancia Thema è parcheggiata in viale dei Gladiatori, a qualche decina di metri dai cancelli dello Stadio Olimpico. Nel baule ci sono circa settecento chili di esplosivo e tondini di ferro, racchiusi nei “parmigiani”, sacchi della spazzatura stretti da corde e nastro da pacchi. In cima alla colle di Monte Mario, un uomo ha in mano il telecomando per farla saltare in aria, al momento opportuno; ovvero, quando i tifosi usciranno ed al triplice fischio di Roma-Udinese. In contemporanea si muoveranno anche i pullman dei carabinieri: boom, la strage più sanguinosa della storia della Repubblica.
Questo non è l’incipit di un romanzo di De Cataldo, né il primo ciak di un thriller girato nell’Urbe; l’adagio vuole che la realtà superi la fantasia, anche quella più macabra, proprio come in questo caso. Questa trama è ricostruita nei verbali a cui si fa riferimento nei processi sulle stragi del 1993, le parole sono confessate dai collaboratori di giustizia di fronte agli inquirenti. Il primo è Antonio Scarano, grilletto calabrese di Cosa Nostra, che alla Corte d’Assise di Firenze racconta del primo sopralluogo effettuato nei pressi dello Stadio Olimpico; poi è Gaspare Spatuzza a svolgere una ricognizione, una seconda volta, per studiare il percorso dei pullman delle forze dell’ordine, che si allontanano dall’impianto.
Durante Roma-Udinese il telecomando è nelle sue mani. Classe 1964, originario di Brancaccio, uno dei soldati più fidati della famiglia di Filippo e Giuseppe Graviano, Madre Natura che dispone vita e morte nel quartiere palermitano. Per lui, un curriculum di quindici anni di contrabbando, estorsioni ed omicidi diretti o indiretti, scovando infami e doppiogiochisti. Lo chiamano u’tignusu, il pelato, ma senza ironia. Spesso gli sono affidate l’organizzazione e l’esecuzione delle missioni più delicate: la Fiat 126 che deflagra in via d’Amelio è rubata da lui, nei suoi occhi si spengono quelli di Don Salvatore Puglisi. Di fianco a lui nella radura di Monte Mario, c’è Salvatore Benigno, u’picciriddu, ventisette anni, studente di medicina e sicario.
I due sono il braccio, che risponde direttamente alla mente, i vertici di Cosa Nostra, su tutti Matteo Messina Denaro ed i Graviano.
La Mafia si è trovata alle strette ed ha reagito come un animale ferito, che diviene più disperato e pericoloso quando si sente in trappola. Gli attentati in cui sono stati eliminati (anche) i giudici Falcone e Borsellino hanno alleggerito la pressione sull’organizzazione criminale e privato lo Stato dei suoi uomini di punta. Nel 1993 si è entrati in una nuova fase: ora l’obiettivo è costringere le istituzioni a trattare; bisogna prendere contatti per aggiustare i processi in atto e migliorare le condizioni dei detenuti. Anche se forse, lo scopo finale è inserirsi nel processo di rinnovamento politico ed istituzionale in atto in Italia, il tramonto della Prima Repubblica. In quest’ottica si coinvolge anche la ‘Ndrangheta per supporto logistico ed esecutivo.
Dopo il fallito attentato contro Maurizio Costanzo in Via Fauro, nel maggio 1993, si entra in nuova fase: attentati dimostrativi contro obiettivi fuori dai confini siciliani. Via dei Georgofili a Firenze, via Palestro a Milano, San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano a Roma. Nel frattempo la scoperta di un’autobomba nei pressi di Palazzo Chigi. “Bombe del dialogo” che esplodono di notte per convincere l’opinione pubblica del costo umano troppo elevato nella lotta alla criminalità organizzata. Le FARC in Colombia hanno fatto scuola.
Tutto quello che è accaduto è soltanto il prologo, dopo queste ultime bombe informiamo la Nazione che le prossime a venire saranno collocate soltanto di giorno ed in luoghi pubblici, poiché saranno esclusivamente alla ricerca di vite umane.
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P.S. Garantiamo che saranno a centinaia.
Il testo trasmesso ai giornali (da “La strage e il miracolo” di A. Padellaro – PaperFirst, 2020)
Nella lettera recapitata al Messaggero ed al Corriere delle Sera un monito: do ut des, oppure altro sangue. L’attentato allo Stadio Olimpico deve rimarcare il concetto, dimostrando che Cosa Nostra è disposta a tutto; nelle dichiarazioni dei pentiti si parlerà di colpo di grazia. Poco prima del 23 gennaio 1994, Giuseppe Graviano convoca Spatuzza al Bar Doney di Via Veneto a Roma. É di ottimo umore e parla con soddisfazione di un incontro avvenuto di recente: altroché i socialisti, crasti (“caproni” ndt) inaffidabili e vigliacchi, che prima si prendono i voti e poi dichiarano la guerra; i nuovi interlocutori sono persone serie.
Il boss tira in ballo Silvio Berlusconi che, con il celebre “L’Italia è il paese che amo..”, il 26 gennaio annuncia la sua discesa in campo. Ad ogni modo, non si può tornare ad avere tentennamenti, la bomba deve esplodere. La preparazione dell’ordigno e l’organizzazione dell’operazione ha coinvolto vari attori attivi nella Capitale, è filato tutto liscio.
Così sarebbe potuta, forse dovuta, andare la storia d’Italia.
Gli azzurri in trasferta al San Paolo hanno superato ai rigori l’Argentina del padrone di casa Maradona, eroe dei due mondi. Sul prato dell’Olimpico si affronta la Germania, appena riunita, per una finale dell’esito già scritto. Tenaci come da tradizione i Tedeschi, è sufficiente un tocco di Schillaci per batterli; ancora è un gol quasi fortuito, la palla va dentro perché così sta scritto. Il 19 nel posto e nell’attimo giusto, poi la corsa a perdifiato, gli occhi fuori dalle orbite e le braccia al cielo. Bergomi alza la coppa e nella strade si scatenano caroselli per una settimana. L’Italia ha vinto e celebra se stessa, il Paese che è uscito dagli Anni di Piombo ed ha goduto nel decennio successivo. Non se ne sono accorti, ma gli Italiani si sono trasformati per sempre. I Mondiali di Italia 1990 sono la grande festa a cui è invitato il mondo.
Triplice fischio, grazie a Pizzi e Branca l’Udinese è corsara all’Olimpico. Uscendo dalla Curva Sud e dalla Tribuna Monte Mario ci si incammina verso viale dei Gladiatori, la stessa direzione che prendono anche le camionette. Poi un boato e l’inferno in terra. Corpi straziati e fumo nero, urla e sirene, il rosso sull’asfalto, il blu delle luci dei primi mezzi di soccorso. Appena le televisioni diffondono le prime immagini, nelle stanze del potere si alza la cornetta e si convocano riunioni d’emergenza, in altre si aprono bottiglie delle migliori annate.
Come sappiamo l’Italia non ha vinto quel mondiale e la strage è stata sventata. A rovinare la festa azzurra ci hanno pensato Maradona e Caniggia, mentre un guasto tecnico ha evitato l’innesco dell’ordigno. Non può essere né smentita né dimostrata l’intercessione della Madonna di Monte Mario, ex voto che dal 1953 veglia sulla Città Eterna; è stata costruita per ringraziare la Vergine di aver risparmiato la città ed i suoi abitanti dalla furia dello scontro tra Americani e Nazifascisti, nel 1944. Invece, quel che è certo è che Giuseppe Graviano viene arrestato il 27 gennaio 1994, seguito a distanza di anni da Spatuzza e Benigno. Il primo si convertirà alla Croce, il secondo completerà gli studi in carcere. La realtà può superare la fantasia, ed essere anche più imprevedibile. Purtroppo e per fortuna.