Il Südtirol è ai playoff di Serie B grazie al pragmatismo di un allenatore unico.
“Sono scarso, però darò tutto per il Südtirol” è la promessa fatta nella conferenza di presentazione da un Pierpaolo Bisoli chiamato a soccorrere il club altoatesino al suo primo campionato cadetto, già avviato con il magro bottino di zero punti in tre partite. Quasi una frase rituale e scaramantica, visto il fresco precedente di qualche mese prima dove, anche all’altra estremità del Paese, l’allenatore emiliano non faceva esercizio di personal branding, ma riusciva solo a promettere una totale dedizione, o meglio devozione, per salvare il Cosenza. Infatti, oltre a offrire un martellante lavoro sul campo, il voto di Bisoli per il raggiungimento dell’obiettivo sarebbe consistito in una pedalata fino al santuario di San Francesco di Paola, il patrono della Calabria e delle genti di mare.
“Non partecipo ai salotti, non vado alle trasmissioni televisive, non ho il procuratore. […] A me piace allenare, poi che sia Serie A o Serie D non mi cambia niente: voglio andare in campo, allenare i miei giocatori, creare un’empatia importante. Se per arrivare a certi livelli bisogna andare nei salotti, non fa più parte del mio modo di vedere. Io voglio essere giudicato per il lavoro che faccio per la mia società, per quello che riesco a creare”.
Un’esperienza di pochi mesi, quella in terra calabrese, in cui interpretare l’intera carriera dell’allenatore emiliano, contrassegnata da un manifesto esistenziale sviscerato sin dalla chiacchierata iniziale con la stampa cosentina. Ecco allora snocciolare dall’uomo di Porretta Terme un inno alla pratica che prevale sulla teoria, un canto popolare allo stampo artigianale del mestiere. Insomma, l’esibizione di un inventario ormai relegato in un solaio polveroso, chiuso a chiave e da cui tenersi lontani se si vogliono frequentare i grandi palcoscenici del fútbol. A cominciare dall’appiccicarsi addosso l’etichetta di difensivista e, orrore per i palati fini, rivendicarla pure con orgoglio, dato che uno degli scopi primari sarebbe stato costringere gli avversari a fare una “fatica estrema” prima di tirare in porta al Cosenza.
Fermo da oltre un anno, in seguito all’esonero di Cremona nel gennaio 2021, e passati da tempo i treni della massima serie, ci si potrebbe aspettare l’ennesimo allenatore caduto in disgrazia, alla ricerca di un contratto perduto che garantisca prolungamenti in caso di opzioni e clausole. Niente di tutto ciò per Bisolone(accrescitivo affibbiatogli ai tempi di grintoso centrocampista del Cagliari), partito da casa in solitaria per attraversare una notte italiana in auto e giungere a destinazione entro l’alba. Infatti, per parlare direttamente con la proprietà dei Lupi, confidando nel buon esito di una brevissima trattativa, non c’è bisogno della mediazione di alcun procuratore ma solo di quella parlata schietta dell’Appennino bolognese.
“Sopportare me un altro anno è dura perché io sono pesante, chiedo sempre una partecipazione totale […]. Se vedo che non riesco più a incidere perché devo essere vincolato da un contratto?”.
Conferenza di presentazione al Cosenza, 19 febbraio 2022
Qui il banco di prova per l’allenatore non è tanto quello di portare un’idea di gioco, con le relative nozioni tattiche, ma riuscire a trasmettere ancora una parte del suo carattere ai giocatori. Insomma, risultare ancora credibile di fronte a loro, spingendoli a dare tutto perché “altrimenti avranno difficoltà a entrare negli spogliatoi finita la partita”.
Un lavoro basato sul rapporto umano, prima ancora che tecnico, dato che “gli uomini sono più importanti dei calciatori” chiarisce subito Bisoli a uno dei presenti, aggiungendo “fai la domanda a uno che forse non segue il calcio attuale”. Con ciò, oltre a intendere una mancata osservazione dei precetti del fútbol odierno, l’impressione è che il mister abbia pure evitato un’indigestione di pallone alla tv nel suo anno sabbatico, essendo stato lontano dal sudore del campo e avendo scoperto una nuova dimensione dell’esistenza diventando nonno.
Prima di chiudere quella conferenza stampa, trasformata in un saggio contro il calcio moderno scagliandosi pure contro la costruzione dal basso, l’uomo “del nord di montagna” sottolinea l’affetto spontaneo ricevuto dalla tifoseria identificandosi da subito con il calore della gente di Cosenza. Infatti, quell’avventura al sud, seppur iniziata solo da qualche giorno, già lo riporta “indietro di dieci anni, con la gioia di tornare al campo”. Allora, riavvolgendo il nastro all’epoca del Bisoli allenatore emergente, torna alla mente il ruggente biennio di Cesenacon quel doppio salto dalla Lega Pro alla Serie A, tra lo stupore generale e l’acclamazione della tifoseria romagnola per l’emiliano di Porretta Terme.
Una scalata completata sul campo di Piacenza nel maggio 2010, dopo 19 anni di attesa dalle parti del Manuzzi, con la rete di un Marco Parolo esordiente in cadetteria e pescato dalla terza serie. Così come Emanuele Giaccherini, lanciato dal mister nell’annata precedente, tra l’indifferenza generale, in un percorso che avrebbe portato Giaccherinho dall’ipotesi di lasciare il calcio al disputare due Europei in maglia azzurra. Un’impresa ottenuta con la miglior difesa della Serie B e conclusiva di due stagioni consacranti il mister a mito della storia cesenate.
Allora, festeggiando la promozione con una pedalata attraverso la Romagna, in una versione balneare del finale di Don Camillo e l’Onorevole Peppone, l’ascesa di Bisolone verso il grande calcio sembrava ormai scritta.
Tuttavia, l’esonero di Cagliari svela un impatto traumatico con la Serie A, con un precoce rigetto dell’ambiente per via degli scarsi risultati e delle tensioni con lo spogliatoio, decisive per infrangere i buoni auspici legati al ricordo del Bisoli giocatore rossoblù. Causa del divorzio che, secondo il mister, andrebbe attribuita alla volontà di trattenere un Nainggolan già scartato dalla società.
In ogni caso, il rimpianto più grande di quella mancata affermazione tra i grandi è la fugace esperienza di Bologna, dove bastano cinque giornate di campionato per spazzare via l’occasione di essere profeta in patria. Un leone in gabbia, il Bisolone, costretto a vedere da lontano il pupillo Diamanti (suo prediletto dai tempi di Prato) e i frutti di una ferrea preparazione goduti dal successore Stefano Pioli. Dunque, meglio rifugiarsi ancora nell’isola felice romagnola, dalla quale ripartire passando un’estate arcitaliana al Bagno Claudia di Cesenatico, fra racchettoni e improvvisate partite di fútbol.
“In questi anni i tifosi hanno apprezzato prima l’uomo e poi l’allenatore del Cesena, per questo mi sento in simbiosi col territorio. Il calcio non è solo apparenza, è fatto anche di persone e sentimenti. Gli appassionati bianconeri sanno che possono vivere la settimana degli allenamenti sempre a porte aperte, è un delitto lavorare con le porte chiuse. Il Cesena è dei suoi tifosi”.
Di nuovo al timone del Cesena, dal settembre 2012, si torna a sfoderare tutti gli attrezzi del mestiere richiesti dalla provincia profonda e inscindibili dal carattere del mister. Per esempio il metterci sempre la faccia di fronte ai tifosi, come nell’acceso confronto con gli ultras dopo una sconfitta interna contro l’Empoli, chiedendo a muso duro una compattezza di tutto l’ambiente per salvare la nave.
Una coesione che nella stagione successiva avrebbe riportato i bianconeri in Serie A, un traguardo stavolta celebrato con due fioretti: pedalando dalla riviera fino a Montiano (dove gli era stata conferita la cittadinanza onoraria) e attraversando a nuoto il porto canale di Cesenatico per quattro volte. Ormai un totem per l’intera tifoseria romagnola, l’affetto riservato a Bisoli non verrà scalfito neppure da una classifica deficitaria nel massimo campionato, con una Curva Mare intonante lo stesso il nome del condottiero nella prima partita post esonero.
“Qualche volta, mi manca anche qualche congiuntivo in un ambiente che premia l’apparenza, la compostezza in panchina, le pubbliche relazioni: invece io mi arrabbio sempre, e mi va di litigare quando serve”.
Finiti i sogni di gloria, c’è solo spazio per misurarsi con la dura realtà della cadetteria, come nella tribolata stagione di Perugia il cui picco pare la verve polemica del mister nel rispondere alle critiche, in un campionato deludente in cui vengono comunque lanciati giovani come Mancini e Spinazzola, con quest’ultimo trasformato in terzino sinistro. Tuttavia, la discesa continua dalle parti di Vicenza, con un altro esonero che induce l’allenatore emiliano a rimboccarsi le maniche sui campi della Serie C, vincendo un campionato alla guida del Padova. Un risultato che almeno riporta Bisolone sulla bocca degli addetti ai lavori, rendendolo una soluzione d’emergenza per chi si trova a sgomitare nei bassifondi della B, vedi la Cremonese nel marzo 2020.
Costretto a casa per più di un anno, dopo aver girato mezza Italia e ormai snobbato dall’alta cadetteria, allora la chiamata di un pericolante Cosenza è la chance per sgrassare le incrostazioni accumulate negli anni, passati all’ombra di quello che poteva essere e non è stato. Insomma, un’occasione per ristabilire un contatto viscerale con società, giocatori e tifosi come negli anni romagnoli. Così, con un mister ricaricato, il pubblico cosentino può godersi la versione completa del Bisoli ruspante: martellante negli allenamenti, giocoso fino a cinque minuti prima del match e vulcanico durante i novanta minuti, ovvero un uomo senza filtri disposto a dare tutto pur di ripagare l’affetto e l’entusiasmo della piazza. Come in uno dei suoi eccessi di furore nel finale di un infuocato Cosenza-Lecce.
Una squadra sfiduciata da rivitalizzare coi vecchi ferri del mestiere e cucendo un abito adatto alle caratteristiche dei calciatori, facendogli acquisire “un’identità forte” e sgravandoli di una pressione trasferita sull’allenatore, ribadendo davanti alla stampa: “perdo io e vincono loro”. Inoltre, una totale flessibilità permette al mister di attingere tutte le risorse a disposizione, lanciando giovani promesse della primavera oppure affidandosi a vecchi bucanieri come il trentasettenne Larrivey. Significativo, a tal proposito, che sia proprio questo mix a caratterizzare le sfide decisive per agguantare la salvezza, con il gol del diciannovenne Zilli nell’ultima giornata contro il Cittadella e la doppietta del Bati Larrivey che, nel ritorno della finale playout, ribalta la sconfitta di Vicenza mandando in estasi il San Vito-Marulla.
“Non sono un integralista, non sposo un modulo […]. Io per portare punti al Südtirol, se devo mettere anche dieci giocatori davanti alla linea della porta li metto. Non sono venuto per farmi dire che sono bravo, non m’interessa più ormai, io sono venuto qui per salvare il Südtirol”.
Conferenza di presentazione al Südtirol del 29 agosto 2022
Catapultato in quel di Bolzano a stagione in corso, dopo un’estate passata a giocare a tennis e a fare “il nonno a tempo pieno” (dato che il Cosenza ha scelto altre strade), Bisoli da camaleonte del fútbol si adatta al nuovo contesto e alle peculiarità dei giocatori. In cambio, la richiesta è solo di essere seguito nella sua visione d’ancien régime calcistico, quella dell’allenatore padre di famiglia contrapposta alla nuova schiera dei laptop manager. Partendo dall’autostima dei singoli, quindi, il gruppo prende coscienza del proprio valore e si cementa intorno al condottiero. Uno a cui piace svolgere l’attività artigianale in prima persona, senza esagerare con l’esercizio della delega come accade nei folti staff ai piani alti e lussuosi del pallone.
“Questo è un lavoro [lavorare sulle corde di ciascuno] che ho sempre pensato sia molto più importante, molte volte, che fare un allenamento. Oggi ho parlato 35 minuti alla squadra, parlo molto con i giocatori con dei colloqui individuali e a gruppi […]. Credo che voler entrare nella testa dei giocatori sia la cosa più importante”. (Radio NBC, 23 marzo 2023)
Creata una “famiglia dentro al campo”, ognuno è pronto ad aiutare l’altro in difficoltà e ad adeguarsi ai bisogni del momento. Come nella vittoriosa trasferta di Perugia dove l’astuzia tattica del mister partorisce all’ultimo un “modulo zoppo”, pensato per essere sbilanciato a destra (sfondando dalla fascia debole degli avversari) e coperto a sinistra. Una partita iconica del Bisoli pensiero, vinta provando inoltre più sistemi di gioco, con quella duttilità che consente alla cenerentola Südtirol di macinare punti contro i pronostici. Infatti, con 12 risultati utili consecutivi capitan Fabian Tait e compagni si affacciano in zona playoff, in mezzo ai bolidi costruiti per annientare la concorrenza, come una “vecchia 112 Abarth che, tirata a lucido, può dare noia a tutti”, citando il paragone motoristico fatto dall’allenatore emiliano per la Gazzetta dello Sport.
E in effetti, nella ciurma forgiata da Bisolone in Alto Adige sono diversi gli elementi tirati a lucido, siano essi calciatori navigati o giovani talenti.
Dal trentaduenne Raphael Odogwu, il capocannoniere della squadra, all’esordio in B dopo una vita passata a sgomitare nelle serie minori del Lombardo-Veneto (per il mister “un piccolo Lukaku”), ai verdi centrocampisti Nicolussi Caviglia (in prestito dalla Juventus e girato nel mercato invernale alla Salernitana) e Belardinelli (di proprietà dell’Empoli). Tasselli di un puzzle a cui aggiungere pure degli scartati precoci dal grande calcio, vedi Rover e Casiraghi sul fronte offensivo, il polivalente De Col sulla fascia destra e i difensori Curto e Zaro. Una banda capace di ripetere una striscia di 12 risultati utili consecutivi pure nel girone di ritorno, malgrado il suo gioco soddisfi poco l’appetito dei palati fini.
“Il possesso palla è vero che è estetica, ma l’estetica nella mia vita non è mai esistita. […] Credo sia importante che ognuno sviluppi quello che sa creare o dare. Io sono qua con la tuta, tutto sudato e tra un po’ entro in campo. Evidentemente non c’è una sola filosofia, ce ne sono tante, io sposo la mia”.
Conferenza post Parma-Südtirol, 11 marzo 2023
Bollato come catenacciaro e considerato un oggetto d’antiquariato, per ora Bisoli continua senza troppi complimenti a tenere alzata la saracinesca della bottega. E da ieri è ufficialmente nei playoff di Serie B. Nella provincia profonda, continua ad indossare fieramente un grembiule da lavoro forgiando squadre, come un fabbro che martella il metallo per dargli la forma richiesta. Tra bestemmie, preghiere e sgrammaticature udibili a chi si affaccia alla vecchia fucina di Bisolone, la mansione è sempre quella di valorizzare i giocatori a disposizione e compattare tutto un ambiente sognando un obiettivo comune, niente di più, niente di meno. Prerogative da calcio del secolo scorso, da perseguire finché la serranda di nonno Pierpaolo rimarrà alzata, con buona pace degli esteti e dello spettacolo.