Riflessioni reazionarie sulla morte del giornalismo.
Sui banchi delle tribune stampa del Mundial ‘82 Repubblica schierava Gianni Brera, la Gazzetta Gianni Mura, il Corriere Mario Soldati, il Giornale Giovanni Arpino, La Stampa Oreste Del Buono. A distanza di quarant’anni, ad Euro 2024 le firme di punta saranno invece gli influencer tiktoker, i nuovi volti del giornalismo sportivo. La decisione è stata presa dall’UEFA a inizio dicembre. Permetteteci allora un paio di riflessioni, roba da boomer nostalgici.
Che il mondo dell’informazione sia in un momento di declino non è certo una novità – noi di Contrasti in un certo senso nasciamo per combattere questo fenomeno. Eppure quello di vedere nei tiktoker anche solo l’ombra del giornalismo sportivo è sintomo di una malattia che sta volgendo alla sua fase terminale. L’ennesimo colpo inferto a chi crede ancora nella purezza e nell’artigianato del mestiere.
Non bastava la sfilata di tiktoker alla cerimonia del Pallone d’Oro, e neanche la pletora di instagrammer a bordocampo, attenti più all’andamento delle stories che a quello della partita. Lo show prima dello sport.
I tempi cambiano e i media anche, ma equiparare gli influencer ai giornalisti significa giocare sporco e riconoscere, magari anche inconsciamente, che visibilità fa rima con competenza. Sì perché gli influencer, ancora più dei giornali, campano solo grazie a sponsor e pubblicità. Gli influencer più di tutti cavalcano la prostituzione intellettuale, citando il grande Mourinho. Riconoscere in quei volti la competenza giornalista, insomma, significa allontanarsi ancora di più dall’indipendenza dell’informazione. Significa soprattutto sputare sullo studio, sulla gavetta, sulle ore passate davanti allo schermo di un PC di chi quella tribuna stampa l’ha sudata e meritata.
Quale sarà il prossimo passo? Dedicare una colonna della Gazzetta allo youtuber di turno?
Davvero invitare qualche tiktoker è l’unico modo per aumentare l’interesse dei giovani verso lo sport? Davvero qualche ragazzo ha scoperto l’esistenza del Pallone d’Oro grazie ai video da giullare di Speed?
Non è che forse la perdita d’interesse dei giovani verso lo sport sia dovuta proprio ad una narrazione che con il tempo è diventata sempre più povera e asettica? Non è cambiato poi di molto lo sport ma sono cambiati, ahinoi, coloro che hanno il compito di raccontarlo. È sparita l’epica, la cura per la forma, l’approfondimento, il colore, e portare in prima linea a raccontare lo sport giornalisti improvvisati non può che alimentare questa narrazione pressapochista.
“Noi giornalisti dobbiamo fare i conti con un nemico mortale. Anziché combatterlo, ci siamo messi al suo servizio: è la televisione”.
Così profetizzava Indro Montanelli, dalla televisione il nemico è poi diventato il web e, infine, i social. Da megafoni dei giornali ne sono diventati i padroni. Arbitri delle fortune e giudici finali di vita o di morte. Invece che educare il pubblico dei social il giornalismo è finito con assecondarne i più biechi istinti. Il buon giornalismo è oramai una specie in via d’estinzione, mentre prolifera il gossip, la cronaca spicciola e omologata. Di giganti come Brera non ne nascono certo più, ma se questo è l’andazzo ci ritroveremo a rimpiangere anche Felice Caccamo.
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