Nella finale tra Kansas City e San Francisco c'è in gioco molto più del Vince Lombardi Trophy.
Premessa: gli americani sono un popolo dinamico. Anche le loro feste sono mobili: Ringraziamento, President Day, Martin Luther King Day, cadono in giorni variabili; le finali di NBA e MLB sono appunto finals, ‘al meglio di’. Il Super Bowl no, è gara secca. Questa è la sua peculiarità attrattiva, non è una questione di importanza gerarchica rispetto altri eventi o altri sport. Già, lo sport. C’è anche quello, ma partiamo dal cibo. Nel giorno in cui gli Stati Uniti mangiano di più dopo il Ringraziamento, si calcola che vengano ingurgitate 4,5 milioni di costolette, 13 milioni di kg di patate fritte, 13 milioni di pizze, 3.6 milioni di kg di guacamole, ormai la salsa più usata negli States causa incremento dell’etnia latina, un miliardo e mezzo di alette di pollo innaffiate da suppergiù 50 milioni di casse di birra pagate sul miliardo e tre, e da vino per circa 600 milioni.
Un evento per il quale gli americani consumano sulle 7000 calorie pro capite, uno dei motivi per cui quasi in 17 milioni si danno malati al lavoro il giorno dopo. Ben più di 110 i milioni di spettatori attaccati davanti la tv per scoprire chi metterà le mani sul Vince Lombardi Trophy, 3.2 kg per 52 cm di puro argento griffato Tiffany, del resto per essere tra i 72.000 fortunati spettatori dell’Allegiant Stadium di Las Vegas occorre staccare un obolo di minimo 7000 verdoni, quindi ci si arrangia come si può.
Il trofeo ideato Vince Lombardi griffato Tiffany & Co.
Con un’audience del genere gli spot ovviamente costano cari, diciamo sui 6,5 milioni per 30 secondi. Budweiser, la birra sinonimo stesso di America e protagonista di piccoli capolavori pubblicitari a ogni Superbowl, non vuole brutte sorprese. L’anno scorso, per rilanciarsi tra i giovani progressisti, aveva ingaggiato come testimonial l’attivista trans Dylan Mulvaney, ottenendo un sonoro crollo di quasi il 5% del proprio titolo in Borsa, bruciando circa 4,56 miliardi di dollari di capitalizzazione. Il bevitori di Bud hanno sentenziato, meglio rispolverare le tradizioni.
Quest’anno torna protagonista la coppia più famosa del marketing a stelle e strisce: il cucciolo di Labrador e il Clydesdale, un cavallo da tiro di origine scozzese usato per faticosi lavori agricoli. Cittadina isolata, bar pieno pieno di gente ma vuoto di Bud, tormenta di neve, blackout e strade bloccate. Il camion che deve rifornire di birra il bar non riesce a muoversi, ma saranno gli stessi cavalli, usciti dalle stalle, a suggerire la soluzione: “the old way”, il vecchio carro di legno. Sul più bello, quando i cavalli sembrano persi nella tormenta, ecco arrivare il fido e scodinzolante Labrador che rintraccia i suoi amici Clydesdale nella tormenta e li guida a destinazione, per la gioia dell’intera cittadina.
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Come si diventa il Re del volley? Il talento da solo non basta. Servono allenamento mentale e olio di gomito. Dopo essere diventato una leggenda della pallavolo sulla sabbia e sul mondoflex, ora si appresta a diventarlo anche in panchina.