Ciak 2, si gira: i golpisti tornano alla carica.
«Oggi il mondo del calcio ha bisogno di profonde riforme. Il compromesso non è più una scelta. Un operatore monopolistico non è adatto a guidare un business come il calcio». In queste frasi-manifesto si può riassumere il nuovo annuncio di Superlega da parte di Andrea Agnelli al Business of Football Summit, organizzato dal Financial Times. Un ritorno alla carica di chi, in realtà, aspettava solo condizioni favorevoli per rilanciare un progetto mai realmente accantonato – il quale impegna ancora 11 dei 12 club che lo avevano proposto in “un contratto vincolante di 120 pagine”, così ha ribadito Agnelli (esclusa l’Inter che, al tempo, inserì una clausola, per cui la sua partecipazione avrebbe dovuto essere approvata dall’assemblea dei soci). La palla è quindi passata ai giudici e il vero banco di prova, il verdetto decisivo sarà quello espresso dai giudici della Corte Europea.
Questi si pronunceranno entro l’anno sul ruolo della UEFA, in una decisione storica che stabilirà se “liberalizzare” il calcio europeo o mantenere il monopolio della federazione. Agnelli ovviamente, contando sullo zeitgeist favorevole, si dice fiducioso: «Ho molta fiducia nella Corte di Giustizia, custode dell’identità europea e dei suoi valori. Giudicheranno se l’Uefa opera in conformità con il Trattato. Se l’Uefa andrebbe sciolta? Io mi siederò e sosterrò una governance trasparente. Aspetterò che la Corte ci dica se l’attuale organismo sia idoneo allo scopo». Poi, alla domanda se tra cinque anni veda ancora la Juve giocare in Champions tra 5 anni, risponde:
“La vedo giocare nella principale competizione europea”.
Più chiari di così si muore, cosa che AA augura vivamente alla UEFA. E non a caso ora i superleghisti si mostrano forza di governo e, secondo la soffiata della testata tedesca “Wirtschaftswoche”, hanno in mente un format ben più “meritocratico” e “aperto” di quello iniziale: due campionati, Superlega A e Superlega B, da 20 squadre ciascuno e con promozioni e retrocessioni – si ipotizza che anche nella Superlega B ci sarebbero club retrocessi, con altri invece promosse dai rispettivi campionati nazionali, in modo da non creare una competizione chiusa.
Agnelli e soci, sostanzialmente, contano sul fatto che essendo il calcio diventato business debba sottostare alle regole del business. Il loro è un ragionamento squisitamente economico-finanziario, che punta a veder riconosciuto il principio di concorrenza senza organismi che, allo stesso tempo, gestiscano competizioni e ne sfruttino la commercializzazione: sia per una legge di libero mercato, sia perché la UEFA non sarebbe in grado di gestire un’industria arrivata ormai ai 75 milioni di euro.
La levata di scudi del vecchio mondo è stata immediata: Tebas, numero uno della Liga, ha detto che i congiurati «mentono come Putin, e pensano che siamo tutti stupidi», aggiungendo che i presidenti di Real, Barça e Juve si sarebbero incontrati i giorni scorsi a casa di Agnelli per studiare la nuova strategia. Ceferin, presidente UEFA, è stato ancora più netto: «Sono stufo e stanco di questo progetto non calcistico: hanno lanciato la loro idea assurda nel mezzo di una pandemia e ora ne stanno pianificando un’altra durante una guerra. Sono persone che vivono in un mondo parallelo».
Qui da noi si è espresso democristianamente anche Gravina, parlando di «risposta sbagliata a un problema reale», mentre il secondo tentativo di golpe – che forse sarà quello buono, Corte Europea permettendo – ha compattato anche i giornali italiani.
Sul Corriere dello Sport Alessandro Barbano ha parlato di “battaglia anarchica e antagonista”, invitando Agnelli a “cambiare progetto, narrazione e stile” e precisando: «invece di organizzare la secessione, Agnelli si facesse portatore di un progetto di riforma convincente, ancorata ai valori della sportività», Sulla Gazzetta Andrea Masala invece ha proposto di «lasciar perdere la Superlega una volta per tutte», una “maldestra invenzione” bocciata risolutamente dal sentimento popolare dei tifosi. Damascelli ha descritto su Il Giornale un Agnelli “cocciuto e ossessionato” mentre altri, come Sconcerti, hanno parlato solo di un progetto che mira ad “un cambio di monopolio, dalla UEFA a poche squadre” – altro che liberalizzazione.
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Insomma, ci risiamo. Noi onestamente siamo stanchi, abbiamo altro per la testa, ed è su questo forse che puntano i secessionisti: sulla nostra astenia, arrendevolezza, sulla nostra rassegnazione ad un calcio che – hanno ragione loro – è ridotto a business e ragiona non solo principalmente, ma esclusivamente secondo regole di mercato. Approfittano del fatto che siamo stanchi e disgustati dalla FIFA e dalla UEFA, lupi travestiti da Cappuccetto Rosso che, quando parlano, imitano la voce di una dolce nonnina – nel caso specifico dei difensori e degli amanti del calcio della gente. Eppure, forse, dovremmo avere la lucidità di capire che questo è esattamente ciò che vogliono Agnelli, Perez e compagnia.
Non esistono poteri buoni, lo scrivevamo mesi fa, e gli organi calcistici internazionali ci tengono a ricordarcelo ad ogni occasione utile, ma forse in questo caso dovremmo ragionare secondo la logica del meno peggio: turarci il naso e, montanellianamente, sostenere UEFA e FIFA sperando che un minimo si riformino. Sempre meglio dei superleghisti super-accelerazionisti, che guardano agli USA per smembrare definitivamente i resti del pallone e, già che ci sono, anche per banchettarci su.