Sulla Superlega Infantino avrebbe fatto il doppio gioco.
“L’ho già detto e lo ripeto di persona. Dietro al progetto della SuperLeague c’è Infantino”. Le parole pronunciate poco più di una settimana fa dal numero uno della Liga spagnola, Javier Tebas, trovano riscontro sulle pagine del New York Times, in cui viene esplicitamente chiamata in causa la massima istituzione calcistica come complice “silenziosa” dei vari club separatisti.
In fondo le condanne unanimi delle istituzioni calcistiche al tentato golpe, già nell’immediato, erano apparse un po’ di facciata. Ma chi pensava che i dodici-quindici club fossero degli sprovveduti arroganti potrebbe doversi ricredersi (almeno sulla parte degli sprovveduti). Secondo il Times, entrato in possesso di documenti riservati, erano mesi che si susseguivano incontri e contatti tra il gruppo degli A22 – un consorzio di consiglieri già da tre anni attivo per dar vita al nuovo campionato, capitanati dai finanzieri spagnoli Anas Laghari, amico d’infanzia di Florentino Perez, e John Hahn – e alcuni esponenti di spicco della FIFA (identificata segretamente come W01), tra cui figurerebbe il vice segretario generale Mattias Grafstrom.
Insomma, Infantino sapeva e anzi era considerato il fulcro dell’intera questione. Senza il suo appoggio la SuperLega non sarebbe mai potuta nascere, come poi abbiamo visto. D’altronde, avere dalla propria parte il più importante esponente del mondo calcistico fa tutta la differenza del caso, specie se si vogliono reinterpretare le regole del gioco. Per tale motivo la dichiarazione della FIFA di fine gennaio, con cui si condannava qualsiasi ipotesi di campionato chiuso ed elitario, aveva sorpreso gli addetti ai lavori. Ma non scoraggiato.
Il progetto era chiaro: ricreare una Coppa del mondo per club, simile a quella che organizza la FIFA ogni anno, con la garanzia che le squadre della SL sarebbero state disposte a rinunciare a circa un miliardo di dollari derivanti dalla competizione. Una sorta di “tassa di solidarietà” nei confronti della FIFA che, secondo i loro piani, avrebbe reinvestito in altri progetti calcistici in tutto il mondo.
Un giro d’affari che avrebbe fruttato un miliardo all’anno per la FIFA, ben felice di stare ad ascoltare e decisa a non opporsi qualora il piano fosse stato progettato in un certo modo. Proprio per questo la dichiarazione di inizio anno non era stata letta come una chiusura, piuttosto come un “invito” ad apportare qualche modifica. Cambiamenti non più attuabili dopo la condanna definitiva della FIFA arrivata in seguito alla dichiarazione di mezzanotte dei separatisti, il 18 aprile scorso, seppur tardiva e poco decisa.
Una timidezza giustificata, si fa per dire, da vecchie voci che avevano già parzialmente smascherato le trame dei golpisti, FIFA inclusa. A fine anno scorso, una SuperLega tra i club europei più ricchi finanziati da JP Morgan, disposta a mettere sul piatto fino a 6 miliardi di euro, era diventata una notizia riportata da varia testate – tra cui noi – giustamente inquietate da una rivoluzione ben poco democratica.
Anche il premier Boris Johnson, ultimo baluardo contro il calcio elitario, è stato messo in discussione dal Guardian, che ha scritto di un incontro tra lui e l’ad del Manchester United, Ed Woodward, avvenuto a Downign Street dieci giorni prima che il piano fosse svelato ai pochi – a questo punto – che non ne erano a conoscenza.
In questo giochino delle parti dove nessuno è colpevole ma tutti sanno, le parole scritte (o pronunciate) hanno la sola, fondamentale, funzione di far luce su una situazione già evidente dal principio. Il golpe notturno dei dodici presidenti firmatari aveva lasciato attoniti per l’incapacità comunicativa e la superficialità nel trasmettere il messaggio. Ma perché badare al modo in cui rimischiare le carte del mazzo se tanto il croupier è già d’accordo con te? Peccato che poi, a causa di bluff, pressioni o calcoli sballati, il banco sia saltato del tutto.