Papelitos
20 Agosto 2023

La maglia inclusiva del Milan è più bella che intelligente

Il potere della diversity.

Carissim*, eccoci di nuovo qui. Forse per l’ultima volta, che mi è stata recapitata un’offerta per rendere questa rubrica un appuntamento fisso, settimanale: ho richiesto di essere pagato in bionde, intendevo le birre ma visti i miei trascorsi austriaci credo di essere stato frainteso; ad ogni modo siamo in trattativa e aspetto fiducioso una risposta. Ciò detto, scusatemi ma non potevo proprio esimermi dal commentare la nuova “maglia inclusiva” del Milan, la terza (almeno questo): una maglia senza dubbio più bella che intelligente (cit.), e come maglia guardate che fa davvero schifo.

PUMA e Milan hanno rivendicato orgogliosi l’iniziativa e “la combinazione dei colori del kit”, la quale “celebra la cultura dell’inclusività e della diversity”: «Il nuovo Third kit presenta un’esclusiva combinazione di colori ravish, fizzy lime, white, royal sapphire e majestic purple ed è splendidamente completato da un’elegante riproduzione monocromatica dell’iconico badge del Club, un richiamo all’illustre heritage di AC Milan». Ora è tutto più chiaro. Una mission(e) rivendicata anche dal CSR & Sustainability Manager del Milan, Martino Roghi, a Wired Italia – che nel frattempo credevo fosse fallita ma quella invece era Vice (meglio comunque di niente):

«Ci rende orgogliosi notare come anche il terzo kit esprima a livello valoriale dei messaggi che da anni ci impegniamo a diffondere come Milan attraverso un posizionamento su tematiche come queste (…) I giocatori sono stati entusiasti perché sono testimonial importantissimi, impegnati, e al nostro fianco in questo lavoroRafa Leão è da sempre in prima linea contro le discriminazioni, il capitano Davide Calabria è attentissimo a questi temi, e in particolare a quelli ambientali. E ancora Pobega, che ha fatto una tesi di laurea che aveva come oggetto la responsabilità sociale del Milan».

«I calciatori sono giovani impegnati, moderni, attenti e informati sui temi che coinvolgono il dibattito pubblico e sempre più spesso è proprio da loro che ci arrivano input di questo tipo».

I calciatori, giovani notoriamente formati nelle università (e non negli spogliatoi), nelle sezioni politiche (e non su Instagram). Uomini fatti e finiti, buoni e giusti. Impegnati soprattutto, non sia mai che non lo siano! Con piena coscienza dei problemi della nostra gretta società, del pianeta e con la consapevolezza di come risolverli. Quindi Roghi continua. «Ora non vogliamo fermarci qui, vorremmo fare di più anche insieme alle istituzioni: devo dire però che il mondo del calcio sta migliorando, soprattutto grazie ai giocatori. Dieci anni fa i calciatori avevano altri comportamenti, ora sono molto più educati, attenti e informati».



Ahhh, ora sì che vanno bene. La società negli ultimi dieci anni è definitivamente tracollata, ogni anno siamo meno in grado di comprendere un testo, meno informati – qualsiasi cosa voglia dire, ma disinformatevi allora, come diceva CB, se questa è l’informazione – mentre i calciatori no, hanno acquisito strumenti e coscienza civile. Me lo vedo proprio Calabria mentre ci spiega il ruolo che i carburanti liquidi a basse emissioni di carbonio dovranno assumere nella transizione energetica. O Leao che ripercorre le tappe della guerra d’indipendenza angolana per svincolarsi dal feroce giogo coloniale del Portogallo.

La verità è che, nella società dello spettacolo, coloro che sono deputati a lanciare messaggi politici non sono mica più gli intellettuali o i parlamentari: sono loro, le star dello sport, della musica, burattini di messaggi di posizionamento commerciale/politico che vengono calati dall’alto e che loro, oh come sono bravi, come sono educati, come sono informati e impegnati!, si impegnano a diffondere, magari essendo anche convinti di fare la differenza. Che altro aggiungere, se non che certe volte fatico a farcela pure per scherzo.

Come quando leggo che il Milan rivendica un kit che è “molto più di una semplice maglia di calcio” perché è “davvero un simbolo di inclusione che celebra il potere della diversity”. Il potere della diversity... poi si chiedono perché il libro di un generale destrorso, in cui la cosa più azzeccata secondo me è il titolo, ‘il Mondo al contrario’ (ma non sono mai stato un amante dei militari, concedetemela, soprattutto quando fanno i politici), insomma si chiedono perché scali le classifiche e sia il libro più venduto su Amazon. È sempre il potere della diversity, ma anche qui al contrario.

Qui un’immagine della nuova terza maglia, che debutterà a breve in campionato

In ogni caso, dopo aver scoperto che Leao e Calabria sono diventati i nuovi Thuram e Sollier, ieri sera sono andato a letto un po’ stordito. Ho bevuto qualche bicchiere di whisky, che paradossalmente mi ha tolto la nausea provocata dalla ripresa del campionato – di già? ma davvero? e voi siete contenti di vedere Frosinone-Napoli il 19 agosto? beati voi – e poi sono mi sono addormentato con l’immagine della maglia rosa/viola shock, neanche shocking, del Milan.

Quindi ho sognato Rosi Bindi, proprio lei, e io che reagivo come Berlusconi nella celebre barzelletta. Questa mattina poi non ero più certo di nulla. Pensavo fosse tutto un incubo, anche la maglia, invece ho controllato sui canali del Milan e trovato uno che pareva Wolverine e un paio di ragazze dai capelli indaco e fucsia che posavano con la nuova shirt inclusiva. Un kit che, tra l’altro, ha registrato un boom di vendite come non si vedeva da anni. Aveva proprio ragione quel geniale reazionario di Nicolás Gómez Dávila, (leggete lui anziché Carofiglio o Vannacci):

«La bruttezza di un oggetto è la condizione preliminare del suo moltiplicarsi su scala industriale».

E anzi che non aveva potuto vedere l’inclusivity, di un oggetto. Che dirvi comunque, amic* car*. Spero di risentirvi presto. Ma intanto ho capito una cosa: questa rubrica non è per tutti, soprattutto per quelli che vorrebbero portarmi in tribunale o ancora meglio in un centro di rieducazione, tra arcobaleni alle pareti e filippiche di Greta Thumberg in loop h24. E allora ad una conclusione mi sa proprio che ci sono arrivato: se questa è l’inclusione, senz’altro meglio l’esclusione. O quantomeno, l’esclusività. A buon intenditor…

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