L'evoluzione del laterale in un calcio senza più ruoli.
Il calcio è cambiato. Ha cambiato i connotati esteriori ed i concetti interiori. Lo sport più bello del mondo si è evoluto, per alcuni involuto, di sicuro non è mai rimasto lo stesso e negli ultimi anni in particolar modo. In un bellissimo long-form scritto per La Gazzetta dello Sport, dal titolo “Viaggio nell’era del non ruolo: cosa c’entrano tra loro Dragowski, Lukaku e Antetokounmpo?”, Angelo Carotenuto ha preso in esame proprio l’evoluzione del calcio, soffermandosi sul ruolo del difensore, con tutto ciò che ne segue. In particolare Carotenuto, concentrandosi su alcuni dati di tendenza, ci ha aiutato a capire meglio di cosa si stesse parlando:
«Fra i 10 calciatori con più passaggi nella scorsa serie A, nell’età classica in sette si sarebbero detti stopper o libero: Ferrari (secondo dietro Locatelli), Bastoni, Koulibaly, Marlon, Skriniar, Chiriches e De Ligt. Appena dieci anni fa, tra i primi dieci per passaggi c’era il solo Thiago Silva al Milan (sesto posto). Dimenticatevi di Claudio Gentile che si aggrappa alle maglie di Zico e Maradona.
Fra i 10 giocatori con il maggior numero di falli del campionato finito nel 2019, non c’era nemmeno un difensore».
Ormai non ci si scandalizza più per un portiere che sbaglia in fase di impostazione e subisce un goal, mentre ci si esalta se un braccetto difensivo – termine orrido – crea gioco e poi va a riempire l’aria di rigore per concludere. E il ruolo che indubbiamente ha subito di più l’impatto del nuovo che avanza, se ancora è possibile parlarne in questi termini, è sicuramente quello del terzino; anche se forse è bene parlare di laterale, avendo esso mutato costantemente la sua fisionomia nel corso del tempo fino a sfumare in un chiaroscuro di compiti, offensivi e difensivi, difficilmente interpretabile.
Da questo esperimento da laboratorio, il terzino è quanto di più lontano possa esistere dalla concezione breriana del termine. Il laterale è identificato, sempre più spesso, con un uomo a tutto campo, architrave nelle dinamiche di squadra ed al centro del “game-play”, quasi fosse un regista. Le ricostruzioni sull’evoluzione del ruolo e dei compiti del terzino sono oggetto di una vasta letteratura, tattica ma anche storico-narrativa: dai full-backs ai wing-backs, dal fluidificante ai terzini aggressivi passando per il quinto a tutto campo. Una miriade di definizioni, catalogazioni e interpretazioni su cui è bene fare qualche accenno storico.
Originariamente il terzino, nella sua definizione albionica di full-back, era appunto un ruolo interpretato in maniera estremamente difensiva. Il calcio britannico dettava le mode del football, i british lanciavano palla lunga, battagliavano in cielo e isolavano i propri difensori in lotte epiche ai limiti dell’eroismo tra fango e pioggia. In quello che viene comunemente chiamato il modulo della Piramide Rovesciata – oggi lo chiameremmo 2-3-5 – il terzino agiva da baluardo difensivo senza nessuna velleità di tipo offensivo. Comunemente si fa risalire a Nilton Santos e alla Selecao il primo esperimento di un terzino sganciato dalle linee arretrate, ma si è ancora lontani dal pensare il ruolo in questi termini. Correva l’anno 1958 e quel celebre “Torna dietro, Torna dietro”, pronunciato da Vicente Feola, CT del Brasile dell’epoca, vedendo Santos cavalcare da un lato all’altro del campo durante un Brasile-Austria, segnò un primo segnale di anarchia tattica nell’interpretazione del compito difensivo.
Un caso che rimase però isolato nel tempo, in un calcio post-bellico che tendeva ad essere il più lineare e schematico possibile, potremmo dire codificato. Nel 1958 d’altronde Santos era un alieno, considerato frivolo e troppo brasiliano per essere seguito. Durante gli anni sessanta invece, con l’applicazione del celebre Metodo, il terzino veniva anche aiutato da due stopper che si allargavano sulle fasce, facendo intravedere i rudimenti di una prima linea difensiva a quattro. Niente di più, nessuna sgroppata offensiva. Nel viaggio storico del collocamento dei laterali in campo, possiamo fare invece risalire a Gipo Viani, l’inventore del libero e della successiva introduzione del catenaccio, lo spostamento del terzino sulle fasce esterne del campo.
In questa visione, il laterale ha il compito di allargarsi sulle fasce e coprire l’avanzata delle ali avversarie.
Dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, quindi, le squadre si presentano in campo con due terzini: il sinistro più offensivo e il destro ancorato in fase difensiva. Sono Helenio Herrera e Giacinto Facchetti ad affacciarsi, per primi, in avanti con continuità. Quante volte in fondo abbiamo sentito parlare di terzino fluidificante? Un nonno, un padre o uno zio in casa avrà utilizzato proprio quel termine per riferirsi allo storico capitano dell’Inter. Perché Facchetti ha iniziato la rivoluzione: da lui in avanti l’interpretazione del ruolo cambia, e con questa anche la struttura semantica dello stesso. Il terzino – rigorosamente sinistro – offende e difende a tutto campo, fornisce assist e copertura in un moto incessante che oscilla tra difesa e attacco.
Il fluidificante era quindi spesso un terzino sinistro, mentre il terzino destro rimane bloccato fino all’avvento del visionario Total Voetbal. È l’arancia meccanica del 1974, l’Olanda di Cruyff, ad utilizzare in pianta stabile i terzini in proiezione offensiva. Suurbier e Krol sono i pionieri di un modo di interpretare il calcio in maniera diversa, figuriamoci un ruolo. Con i due laterali olandesi si assiste alla presenza costante dei terzini in fase di costruzione e conclusione. L’introduzione della difesa a zona, oggi in fase di declino, ha permesso ai terzini di non dover essere obbligati a guardarsi solo alle spalle, ma di attaccare anche quelle avversarie. Viene così inserita la doppia fase, di attacco e di difesa, poi allargata da Arrigo Sacchi a tutto lo scacchiere tattico.
«All’inizio è stato difficile, ho rischiato di non mangiare il panettone. Per me il calcio era tutto: saper attaccare e saper difendere». In queste parole è concentrato tutto il Sacchi pensiero, un concetto rivoluzionario di interpretare il calcio, contro i dogmi dell’epoca, che puntava sulle due fasi di gioco interpretate con la stessa intensità. Il terzino infatti è al centro del villaggio nel Milan di Sacchi: con Arrigo, studioso certosino dei dettami olandesi, i terzini, entrambi, si sbloccano e interpretano il ruolo a tutta fascia con compiti di pressing molto rigorosi. Un pressing scientifico, preso in prestito dalla filosofia del calcio olandese: se hai il pallone tra i piedi, l’avversario è innocuo. I terzini diventano fondamentali in questa concezione di gioco, andando a fare da apripista ai moderni Bale, Marcelo, Dani Alves, Zambrotta e chi più ne ha più ne metta.
E sulle fondamenta di Sacchi ritroviamo le interpretazioni moderne del ruolo.
Con Guardiola ad esempio, che ha sviluppato concetti come pressing, possesso palla e calcio posizionale, i terzini – per la prima volta con assidua frequenza – entrano nel campo liberando le mezz’ali e creando gioco. In un pezzo di Francesco Paolo Giordano, dal titolo “Perché i terzini saranno i numeri dieci del futuro”, lo stesso giornalista riporta alcune parole di Marcelo che suonano di rivoluzione: «Adoro attaccare. E se abbiamo un problema in difesa? Lo risolveremo. Ma prima, attacchiamo». È questa la nuova mentalità in cui si cala il terzino nell’interpretazione del ruolo, più offensiva e creatrice di gioco (pensiamo anche a Dani Alves); un’interpretazione che in alcuni casi si radicalizza e fa addirittura del terzino un centrocampista aggiunto, come a Guardiola è capitato di proporre al Bayern Monaco con Lahm, Kimmich, Alaba, e più recentemente al City – con Cancelo su tutti, ma non solo.
Ma anche Jurgen Klopp, l’altro duellante che con Guardiola si sta contendendo le vette d’Inghilterra, utilizza i terzini in maniera strategica. Differente, in termini di costruzione, rispetto alla coralità e l’interscambiabilità di Guardiola, ma forse più incisiva. Alexander Arnold e Robertson (in Premier League) sono in testa nella classifica di assist effettuati e chance offensive create: due laterali, in classifiche comunemente abitate da attaccanti ed esterni offensivi. Così oggi il terzino, con i dettami tattici di un calcio fluido, può trovare diversi modi di aiutare la manovra offensiva: giocando dentro il campo per liberare spazio di inserimento alle mezze ali o attaccando la profondità quasi come un’ala.
Lo stesso Mancini, nella cavalcata trionfale azzurra degli Europei, ha dimostrato di interpretare il ruolo in maniera differente: Spinazzola e Di Lorenzo hanno giocato molto alti e soprattutto molto larghi, calpestando la linea laterale al fine di allargare le difese avversarie e componendo linee offensive – molto spesso – da quattro attaccanti effettivi.
Ma anche in Serie A, negli ultimi anni, i terzini sono diventati sempre più incisivi in zona offensiva. Chi dal punto di vista realizzativo, chi da quello dei dribbling riusciti – paradossalmente Stojanovic dell’Empoli è quarto in questa classifica – chi con le “azioni pericolose create” – Zappacosta è all’ottavo posto con buona pace dei colleghi attaccanti. Un altro dato poi da tenere in considerazione è quello del mercato, con una tendenza caratterizzata da una disponibilità di spesa per i difensori mai vista prima.
Il Bayern Monaco valuta Alphonso Davies 80 milioni di euro, Hakimi è stato acquistato dal Psg per una cifra vicina ai 70 milioni di euro, lo stesso Theo Hernandez vanta una valutazione in continua ascesa. Gli economisti da sempre si chiedono se è il prezzo a fare il mercato, in questo caso però anche le qualità e la duttilità dei giocatori contribuiscono a formare il valore d’acquisto – come dimostrato dai “terzini” comprati da Guardiola a peso d’oro, che solo tra Mendy, Cancelo e Walker ha speso 180 milioni di euro. Insomma, al di là dei numeri, il terzino ne ha fattadi strada in campo. Si è via via avvicinato alle aree di rigore avversarie per poi diventare anche creatore di gioco.
Diversi giocatori, in Italia, sono l’esempio della duttilità del ruolo. Gianluca Zambrotta si è adattato come terzino per far posto a Camoranesi in fase offensiva nella Juventus di Fabio Capello; Alessandro Florenzi, per citarne un altro, ha attraversato il campo a ritroso senza perdere le proprie caratteristiche offensive. La parola d’ordine, per il terzino moderno, è duttilità totale. Eppure non è tutto oro quello che luccica. Per interpretare il ruolo in questo modo è necessario avere giocatori con caratteristiche ben precise. Sempre lo stesso Marcelo, dopo aver espresso il suo amore per la fase offensiva, ha precisato un concetto:
«si può giocare con così tanta libertà solo se hai un’ottima intesa con i tuoi compagni. Fabio Cannavaro mi diceva: “Puoi andare, Marcelo, ci sono io qui”. È lo stesso che mi dice Casemiro oggi: “Vai avanti, ci preoccuperemo dopo del resto”. Ah, Casemiro. Mi ha salvato la vita. Potrei giocare fino a 45 anni con lui al mio fianco».
Forse è proprio questo il punto, l’interpretazione del ruolo va cambiata a seconda del contesto e dei giocatori che si hanno a disposizione. Si può giocare anche senza emulare Guardiola o Klopp, percorrendo strade differenti. Lo scimmiottamento di Klopp, Guardiola o Sacchi risulta anzi posticcio con terzini lenti e magari con caratteristiche più difensive – così come la costruzione dal basso con portieri che non hanno una padronanza tecnica sufficiente. Una lezione ancelottiana, moderata, che rifiuta l’eccessiva ideologia imposta a priori e sulla “pelle” dei giocatori.
La moda detta i canoni ma non è detto che si debba seguire in maniera rigorosa. Si può interpretare il ruolo del terzino anche in maniera più attenta ma senza rinunciare ad offendere, come capita a De Sciglio con la Juventus, o Bellanova e Dalbert al Cagliari. In questi casi i succitati terzini interpretano il ruolo in maniera dinamica, si, ma con attenzione e diligenza. Il ruolo del terzino allora certamente si è rivoluzionato, ma ad una fase offensiva importante – con compiti di presidio offensivo e licenza di esplodere cross tagliati – segue l’attenzione di una fase difensiva fondamentale. Massimiliano Allegri, per comprendere meglio il concetto, in una delle prime conferenze-stampa nel nuovo ciclo bianconero ha dichiarato:
«la mia Juventus non ha mai difeso a 3, si difende o a 4 o a 5. Non puoi lasciare 60 metri di campo scoperti alle spalle».
Il messaggio è chiaro: il terzino deve offendere senza dimenticare però la sua identità, il suo compito primario. Non sta scritto da nessuna parte che si debba estremizzare il ruolo a tutti i costi, il punto sta nell’interpretazione del compito che viene assegnato al calciatore stesso. In ogni caso l’evoluzione del terzino è la cartina di tornasole di un calcio fluido, sempre più liquido in cui i concetti e le strategie diventano, quasi, un diktat interpretativo imprescindibile. È stato lo stesso Sacchi, recentemente, a consigliare di parlare più di strategie e di interpretazioni che di tattica e moduli. Il terzino infatti, così come altri ruoli, oggi può essere interpretato in maniera variegata. Il laterale può agire più o meno offensivamente in difese a 3 o a 4, ma il tutto sta nella strategia di squadra: il terzino non è un corpo estraneo, una scheggia impazzita in continua transizione offensiva, e il calcio contemporaneo non impone un unico modo di interpretarne i compiti.
Semplicemente l’evoluzione di un ruolo, o dei ruoli in generale, non deve portare all’omologazione delle interpretazioni del gioco. Nella partita di Champions giocata dalla Juventus in casa del Villareal, ad esempio, Vlahovic ha toccato solo ventiquattro palloni. Per farsi un’idea, il portiere bianconero nella stessa partita ha toccato la palla per ben trentasei volte. È chiaro, i motivi sono diversi e le dinamiche delle partite seguono un copione tutto loro, ma questo – come tanti altri – è un dato indicativo. Negli ultimi anni le cose sono cambiate fin troppo velocemente, e i ruoli tradizionali sono andati via via annacquandosi. Per citare ancora una volta Angelo Carotenuto:
«È la scia presa dal calcio, dove gli allenatori geniali di qualche decennio fa intuivano in qualche campione possibilità nascoste e gli cambiavano ruolo. Adesso il ruolo si cambia non solo nella stessa partita, ma anche nella stessa azione. Il calcio sarà pure semplice ma coltiva le complessità».
Il calcio è strutturalmente sempre più complesso, complice lo sviluppo delle tecnologie, ma non è detto che questo sia necessariamente un bene. Di fronte ad un attaccante moderno che vanta più cartellini rossi che goal, o che tocca molti meno palloni del suo portiere, come ci dobbiamo porre? La domanda sorge spontanea. L’evoluzione è necessaria per la sopravvivenza stessa dell’identità dei ruoli, ma non c’è un’unica risposta possibile – ed anzi è un vantaggio che filosofie differenti si confrontino e si arricchiscano a vicenda. In questo, la mutazione del terzino è l’esempio più ficcante di un calcio che cambia.
Fino a che punto questa evoluzione possa spingersi non ci è dato sapere, e forse è anche meglio così. Ciò che è certo è che il calcio sia un bene di tutti, e in quanto tale deve essere interpretato attraverso una eterogeneità delle intenzioni – e non secondo un’unica verità. Il gioco del pallone, ci sentiamo di dire, è ancora un gioco semplice, dipende da quale angolazione lo si guardi. Si può interpretare il ruolo del laterale in maniera differente offensiva o difensiva che sia. Una cosa è certa: se si vuole tentare di vaticinare in che direzione stia andando il calcio, non c’è bisogno di osservare le stelle, è più semplice guardare i movimenti dei terzini in campo.