L'Ercole moderno del tennis, che dopo un tragico incidente è riuscito a diventare n. 1 del mondo e a vincere il Roland Garros.
Un ragazzo di ventidue anni i cui occhi lo fanno già sembrare un uomo, seduto su una strana panca, la gamba sinistra ingessata, concentrato a rimandare centinaia, migliaia di diritti e rovesci su un campo da tennis. È forse questa l’immagine che più di ogni altra evoca la figura di ThomasMuster, una sorta di Eracle moderno; Ercole per i romani, che anziché destreggiarsi nelle dodici fatiche per quattordici anni della sua vita ha sgobbato sui campi da tennis di tutto il mondo, che invece di affrontare serpenti dalle molteplici teste, leoni e uccelli dalle piume affilate come lame ha sfidato campioni del calibro di Ivan Lendl, John McEnroe, Jimmy Connors, Boris Becker, Stefan Edberg, Mats Wilander, Sergi Bruguera, Michael Chang, Pete Sampras, Jim Courier e Andre Agassi.
Nato il 2 ottobre del 1967 a Leibnitz, da bambino Thomas eccelle nel tennis quanto nel calcio. Compiuti dodici anni però, il padre gli impone di compiere una scelta: o la racchetta o il pallone. Thomas opta per il tennis. Nel giungo del 1985 l’austriaco raggiunge la finale al Roland Garros Juniores dove viene sconfitto dal peruviano Jaime Yzaga, ma è proprio nell’arco di quelle due settimane che avviene l’incontro più importante della sua vita. A Parigi, Thomas entra in sintonia con Ronnie Leitgeb, all’epoca giornalista radiofonico per un network austriaco. Il non ancora diciottenne si apre, parla dei suoi problemi con la Federazione Austriaca, del fatto che vuole diventare un professionista con tutte le sue forze eppure non sa da che parte cominciare.
Alcuni giorni dopo Leitgeb interpella Wojitek Fibak, a quei tempi coach di Ivan Lendl, ed il polacco offre a Thomas l’opportunità di allenarsi insieme a loro. Qualche mese dopo sarà lo stesso Fibak a suggerirgli una persona a suo giudizio adatta per prendersi cura di lui non solo come allenatore ma anche come manager e finanziatore: Ronnie Leitgeb.
A fine anno, quel taciturno biondino tutto gambe e cuore, i cui top spin esasperati diventano giorno dopo giorno sempre più profondi ed incisivi, è il n.98 del mondo. Il primo titolo ATP per Muster arriva il 3 agosto del 1986 sulla terra rossa di Hilversum, quando sconfigge in finale Jacob Hlasek 6-1 6-3 6-3. Dopo aver bazzicato per un annetto intorno alla cinquantesima posizione del ranking, nel 1988 è pronto per il grande salto e nel 1988, dopo aver conquistato ben cinque tornei, chiude la stagione come n.16 del mondo.
L’anno dopo inizia la scalata alla top ten e, a suon di pedalate e velenose rotazioni riesce ad addomesticare anche il cemento di Miami, allora Key Biskayne, tanto da recuperare due set di svantaggio e maciullare alla distanza un cavallo di razza quale Yannick Noah ed agguantare la finale che lo avrebbe visto opposto ad Ivan Lendl se solo una Lincoln Continental 1983 guidata da un trentasettenne cubano senza patente, tale Robert Norman Sobie, non si fosse schiantata contro il bagagliaio della sua auto mentre Thomas stava riponendo le racchette. L’austriaco si salva ma il paraurti gli taglia sia il collaterale mediale che il legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro.
Solo il ranking sembra non mettere in dubbio il ritorno di Thomas tanto da issarlo fino al sesto gradino. Operato a Vienna, i medici non gli garantiscono che possa tornare a camminare normalmente e per Muster ha inizio un calvario fatto di estenuanti sedute di riabilitazione, seguite da ore ed ore consumate a tirare sbadilate seduto sulla panca speciale, ideata dal pigmalione Leitgeb.
Nel 1989 si presenta ad Adelaide ed il 7 gennaio conquista il torneo battendo in finale Jimmy Arias 6-1 6-7 7-5. A marzo è la volta di Casablanca, il 20 maggio incide il suo nome sull’albo d’oro degli Internazionali d’Italia dove supera 6-1 6-3 6-1 Andrei Cesnokov. Dopo aver accarezzato per una seconda volta la sesta posizione in classifica, a fine anno è settimo. Non solo, è anche esausto, per questo motivo a dicembre non vuole partire per l‘Australia. Ronnie Leitgeb non è dello stesso avviso e, autoritario come sempre, il giorno stabilito si presenta all’aeroporto. Si ritrova però solo e, di riflesso, Thomas perde il suo coach.
L’austriaco si da alla bella vita, inizia a trascorrere le sue giornate tra Parigi e Londra, fuma un pacchetto di sigarette al giorno, esce tutte le sere e beve a più non posso. Finché una mattina di febbraio decide di andare a fare una corsetta e si rende conto di non riuscire a spezzare il fiato. Thomas riprende ad allenarsi in previsione della stagione sulla terra battuta ma a Montecarlo si presenta in sovrappeso di otto kg e viene spazzato via al primo turno da Paloheimo. Caso vuole che all’incontro assista anche Ronnie Leitgeb. La sola domanda che l’ex coach gli riesce a porre è: «cosa vuoi fare della tua vita?». Crollato a n.116 del mondo, la risposta di Thomas Muster non può essere che una sola: «fare tutto il possibile per risalire».
L’austriaco riparte dai tornei minori come Firenze e Ginevra, entrambi vinti ai danni del connazionale e mai amico Horst Skoff (morto nel 2008 ad appena quarant’anni a causa di un infarto) ed anche la classifica riprende ossigeno: a dicembre del 1991 è il numero 35. Da quel momento la carriera e la vita di Thomas Muster diventano una cosa sola. Dalla vittoria a Montecarlo nell’aprile del 1992, al ventesimo titolo in carriera, il settimo stagionale, acciuffato a Palermo nell’ottobre del 1994 ai danni di Sergi Bruguera; Muster prosegue il suo cammino inanellando un’incredibile striscia positiva nel 1995 con i successi a Città del Messico, Estoril, Barcellona, e Montecarlo al termine di un’epica finale vinta 4-6 5-7 6-1 7-6 6-0 su l’acerrimo nemico Boris Becker; e poi ancora Roma, fino all’apoteosi del 12 giugno 1995 al Roland Garros, dove sconfigge in finale Michael Chang.
Una stagione coronata da ben 12 titoli, un poema consacrato il 12 febbraio del 1996 quando anche il computer lo riconosce n.1 del mondo. Ma non è tutto, nell’arco del 1996 arriva anche il terzo sigillo prima a Barcellona, poi a Montecarlo ed infine a Roma. Nel 1997 arriveranno anche il terzo ed il quarto titolo su una superficie che non sia la terra rossa, i quali coincideranno con il 43esimo ed il 44esimo titolo assoluto. Prestigiosi sono i teatri in cui si consumano le vittorie: a Dabai, dove spezza Goran Ivanisevic, e sul cemento di Miami, un luogo carico di significati, ideale chiusura di un cerchio anche per il fato, forse responsabile dell’eliminazione di Pete Sampras da parte di Sergi Bruguera più dello spagnolo stesso, poi offerto vittima sacrificale sull’altare dell’austriaco nell’atto conclusivo.
«In molti hanno detto che sono stato sfortunato, che a differenza di adesso ai miei tempi c’erano almeno dieci giocatori che avevano la possibilità di vincere il Roland Garros. Io non so cosa pensare in proposito. So che ho vinto la mia unica prova del Grande Slam a ventotto anni, che sono diventato n.1 del mondo. Forse avrei potuto vincere altri slam. Ma allo stesso tempo, anni prima, mi era stato detto che non avrei mai più potuto giocare a tennis, quindi forse non mi è andata tanto male. No, non mi sento sfortunato. E non voglio essere ricordato per un giocatore che a causa di un episodio sfortunato non ha vinto quanto avrebbe potuto. Semmai mi piacerebbe essere ricordato come un vero atleta, uno che si è dato al 100%, che ha lottato per raggiungere i suoi traguardi in modo onesto, che ha amato lo sport, l’agonismo nella sua essenza, che non ha mai mollato, fino alla fine». Una volta spentosi il grande fuoco che lo animava, di Thomas Muster è rimasto un lume destinato a far rifulgere per l’eternità quelle simboliche colonne che lui, l’Ercole moderno, ha eretto come termine del suo straordinario quanto faticosissimo viaggio.
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