Papelitos
19 Aprile 2024

Pure il tennis è stato viol(ent)ato dai tifosi

Non resiste nulla, neanche il più nobile degli sport.

Partiamo da un anfefatto: Torneo di Montecarlo, semifinale tra Stefanos Tsitsipas e Jannik Sinner. Il greco serve nel terzo set sul punteggio di 1 a 3, 30 a 40, quindi con la possibilità del doppio break per l’italiano. Primo servizio fuori, fuori anche il secondo ma il giudice non se ne avvede, non se ne avvede l’occhio di falco (non essendoci occhio di falco su terra rossa), non se ne avvede Stefanos; se ne avvede Sinner il quale, ingenuamente, continua a giocare finendo per sbagliare. Break sfumato e poi, alla fine, Tsitsipas si porta a casa l’incontro.

Apriti cielo, apriti cataratte del cielo.

Nani e ballerine, titoli indignati anche su cavalli e segugi, tifosi che fino a dieci minuti prima inveivano su arbitri di calcio, VAR e Fabio Caressa che vomitano insulti su tutta la stirpe dell’ingrato greco, invocano il complotto, la decapitazione del giudice di sedia e l’introduzione della tecnologia impiantata nel cranio dei giocatori stessi. Tranne, come è ovvio, in quello di Sinner, che nel suo non fermarsi ha mostrato di essere superiore a tutto e a tutti.

Questo simpatico preambolo per arrivare al punto: l’invasione nel tennis, che fino a qualche tempo fa sembrava isola quasi felice, dei tifosi e dei tifosi-giornalisti che si comportano come se questo fosse il mondo, spesso becero, del calcio. Casus belli, l’ascesa nei piani alti dell’olimpo tennistico di Jannik Sinner, diventato icona oramai grottesca, e fonte di redenzione e di orgoglio sportivo, del popolo italico.

Certo, i prodromi c’erano tutti. Le attenzioni maniacali al cospetto di Novak Djokovic prima, reo di aver deciso di non vaccinarsi e divenuto quindi nemico pubblico numero uno, e di Daniil Medvedev poi, reo di provenire da quella meravigliosa terra chiamata Russia e di non averla rinnegata abbastanza, avevano già fatto capire ch’era finita. Finita la pace, la competenza e la leggerezza con le quali si disquisiva dei gesti di Roger Federer, della follia di Gulbis, della tenacia di Rafa Nadal, pur con qualche incursione qui e lì del cosiddetto, appunto, tifoso.



Lontani ricordi in un mondo, quello del tennis, in cui pare oggi impossibile intavolare una discussione. Sì, magari tra amici seduti ad un tavolo, ma nei bassifondi (son tutti bassifondi) del web è diventato un incubo. Come sulle prime pagine dei giornali che mai, mai prima di qualche mese a questa parte s’erano occupati in maniera così ossessiva di questo nobile sport – per fortuna, aggiungeremmo noi, essendo diventati ormai i giornali una rincorsa continua ai trend e agli umori del momento. E quando tutti se ne occupano, tutti diventano esperti, boia e carnefici.

Ecco quindi che Tsitsipas è scorretto, che l’arbitro ha qualcosa da nascondere, che Montecarlo, dove fino all’anno scorso c’era solo il Gran Premio (a proposito, anche qui ormai ha dilagato l’isterismo dei #tifosi, di cui avevamo già parlato, che rende assai complessa qualsiasi riflessione a freddo) è un torneo corrotto. E pensare che a Montecarlo ha trionfato un altro italiano, chissà quanti lo ricordano, e pure quello con più talento in assoluto degli ultimi vent’anni (sì, pure più di Sinner, fatevene una ragione).

E se si può chiudere un occhio per il tifoso di natura calcistica o i casalinghi di Voghera (non si sa mai che mi accusino di patriarcato), non si lo dovrebbe fare quando a metterci il carico da novanta sono quotidiani sportivi e generalisti.

Fattasi la ragione che non si può tornare indietro, e che oramai sarà impossibile ritornare al clima sereno di un tempo, ci sarebbe da fare una riflessione profonda. Su come basti una scintilla accesa dal popolo del web o dai patetici profeti del popolo del web (tutti quegli pseudo-influencer, pseudo-giornalisti, pseudo intellettuali) per poi scatenare l’inferno. E su quanto tempi matti siano diventati schizofrenici, incontrollabili, approssimativi, specie se di mezzo c’è un italiano (finché vince, Berrettini insegna) e su questo può riversarsi un esasperato tifo da stadio.

Forse occorrerebbe che si ricominci a raccontare il tennis da chi è in grado di raccontarlo, il tennis. Non abbiamo più Gianni Clerici e Rino Tommasi, mancano quelle riviste che accompagnavano noi appassionati imberbi e immersi in un mondo più protetto di questo, non abbiamo quasi più nulla. E l’impressione è che sarà sempre peggio e che ce l’abbiano levato, pure il tennis. In questo inquinato e mosso mare magnum, dispiace allora per tutti: per noi, per lo sport che amiamo, per lo stesso Jannik Sinner. Diventato, senza che l’abbia nemmeno richiesto, simbolo di questo Paese che a volte sembra ridotto a una gigantesca, superficiale e quantomai rumorosa curva social. In attesa della prossima icona, e del prossimo sport, da consumare.

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