Il 2 dicembre 1976 ci lasciava un signore del calcio italiano.
Ha rappresentato la prova concreta dell’importanza del tecnico per una squadra. Mai come nel suo caso, un uomo ha potuto mostrare con i fatti (e con poche ma efficaci parole) cos’è la capacità di formare un gruppo di singoli individui, di valorizzarlo, di tenerlo unito nei momenti più difficili e di renderlo vincente. Un insieme di buoni giocatori, senza fuoriclasse assoluti, reso praticamente invincibile. Tommaso Maestrelli è morto 45 anni fa e il suo ricordo, inalterato nel tempo, ne fa a tutt’oggi una presenza tangibile non soltanto nella storia della Lazio ma in quella del calcio italiano. Un uomo capace come nessuno di gestire conflitti e sfruttarli a vantaggio della squadra.
PUNTO DI EQUILIBRIO
Un uomo eccezionale nella normalità, nello stile mantenuto sottotono per il bene di tutti, nella capacità di esaltare le qualità individuali e metterle al servizio del gruppo. Senza mai prendersi un merito personale. Un padre mai padrone, un tecnico autorevole, una persona stimata sul terreno professionale e benvoluta sul piano umano. È un giovedì pomeriggio, quel 2 dicembre 1976, e i mezzi di comunicazione cominciano a diffondere una notizia tristissima. Tommaso Maestrelli non c’è più. Un pezzo fondamentale del Tricolore conquistato due anni prima se n’è andato per sempre. Il Maestro, come lo chiamano nell’ambiente, non è stato un semplice seppur bravo allenatore e sarebbe limitativo anche oggi riproporne le gesta da un punto di vista soltanto sportivo. Maestrelli è stato anche altro.
Un educatore senza mai pretesa di esserlo, senza titoli accademici in un’epoca di profondi cambiamenti non solo nel calcio ma in tutta la società. Un conoscitore di sport che ha saputo coniugare con pazienza infinita, empatia e giusto distacco concetti tecnici e buon senso. Da bravo padre di famiglia quale è stato, non soltanto per i suoi figli naturali. Il punto d’equilibrio in una rosa di “teste calde”. Molto calde, a volte. Lui ha saputo dimostrare che si può, che la pazienza e il lavoro serio portano lontano. Si può risalire dalla serie B, “rischiare” di conquistare uno scudetto da neopromossa e vincerlo l’anno successivo lasciandosi finalmente alle spalle la Juventus.
Questo è ciò che Tommaso Maestrelli ha reso possibile nell’arco temporale di tre anni sulla panchina biancoceleste. Poi, con l’insorgere della malattia, è il baratro per tutti: famiglia, squadra, singoli giocatori, sostenitori sugli spalti. Si spezza il filo che teneva insieme il tutto e quello è l’inizio della fine. Il male si manifesta all’improvviso. La domenica di Pasqua del 1975 la Lazio campione d’Italia è in trasferta a Bologna. Servono due punti per rimanere a stretto contatto con la Juventus e i due punti arrivano grazie a un perentorio 2-1. Un pullman riporta la squadra a Roma. All’improvviso, Tommaso Maestrelli avverte un malore allo stomaco e impallidisce. Da tempo sente occasionali fitte acute nello stesso punto, ma dopo un po’ i dolori passano e il pensiero viene rimosso. Il medico della squadra, Renato Ziaco gli consiglia di farsi visitare.
Il verdetto degli esami è devastante. Tumore al fegato con metastasi estese allo stomaco.
Tutto quello che fino a quel momento era stato, improvvisamente non ha più senso. Le intuizioni tattiche, il regista arretrato, il terzino fluidificante, il pressing sul primo portatore di palla possono creare i presupposti del gol, ma non possono salvargli la vita. A tentare di salvargliela è invece un immunologo, Saverio Imperato (deceduto nel novembre 2020). Con una terapia da lui stesso sperimentata, Imperato ottiene risultati incredibili in poco tempo. Bastano pochi giorni, il paziente sembra un uomo rinato e con lui di nuovo sulla panchina della Lazio rinasce anche la speranza. All’improvviso tutti i dettami tattici tornano a essere importanti. Con quelli, oltre che con la fermezza e la grande umanità del mister, la formazione biancoceleste risale dagli abissi dell’inferno.
Flashback. È l’estate del 1971 e la Lazio è appena retrocessa in B. Il clima generale è pessimo, i tifosi sono furiosi e la società cerca di scuotere l’ambiente cambiando il tecnico. Via l’argentino Juan Carlos Lorenzo, arriva sulla panchina un certo Tommaso Maestrelli. Molti dei contestatori non sanno neppure chi sia e quel poco che si sa di lui, non convince. Anzi, non piace affatto. È stato un calciatore della Roma e già questo, agli occhi di qualcuno, non depone a favore. Si dice che sia un allenatore capace e preparato, ma a ben vedere la sua è fino a quel momento una carriera in provincia: Bari, Reggio Calabria, Foggia.
Insomma, la piazza non vede in lui le stimmate di chi può riportare in auge una squadra della Capitale. Non hanno capito nulla, non hanno capito la persona e forse non è nemmeno colpa loro. Con modi pacati e animo risoluto Tommaso Maestrelli accetta una doppia missione impossibile: conquistare il cuore della squadra, convincere il pubblico con i fatti. Dopo un momento di diffidenza iniziale, Giorgio Chinaglia, fino a quel momento legatissimo al tecnico Lorenzo, è il primo a innamorarsi dell’ultimo arrivato. Conquistato il cuore di “Long John” tutto diventa più semplice, d’improvviso la squadra è schierata con la nuova guida e i risultati arrivano.
GESTIRE GLI INGESTIBILI
Al primo tentativo la Lazio torna infatti in serie A e Chinaglia è capocannoniere cadetto. Maestrelli si intende di calcio, ma soprattutto capisce di uomini. Non è stato un grande calciatore, ma forse proprio per questo sa comprendere ed esaltare i limiti di ciascuno, individua le singole debolezze e riesce a trasformarle in un punto di forza. Un gruppo di intemperanti armati, spinti al limite del teppismo, riconoscono in quell’uomo gentile ma fermo l’autorevolezza per convincerli a canalizzare i furori in modo utile. L’anno dopo, la matricola Lazio affronta la serie A con il piglio di chi non l’aveva mai lasciata. All’ultima giornata i biancocelesti perdono lo sprint con il Milan e soprattutto con la Juventus. La Vecchia Signora è campione d’Italia a un minuto dalla fine grazie a un gol di Cuccureddu e a una Roma piuttosto accomodante nella ripresa.
Ciò che accade l’anno successivo è consegnato alla storia: Chinaglia, Wilson e tutti gli altri si sentono defraudati di un titolo e giurano vendetta sportiva.
Tommaso Maestrelli è il primo a prenderli sul serio e avvia con loro una fantastica cavalcata verso il primo scudetto della Lazio. Anche stavolta Giorgio Chinaglia è capocannoniere, ma del massimo campionato. Il tecnico ce l’ha fatta, è riuscito a forgiare un manipolo di “pazzi scatenati”, di gente che va in giro con la pistola, e ne ha fatto una squadra. Una squadra vera, che in quel momento non ha rivali in Italia per qualità agonistiche, temperamento e unità d’intenti. Qualsiasi screzio possa avvenire in settimana, il conflitto si ricompone la domenica pomeriggio, sotto il tunnel dell’Olimpico. È il completo trionfo di chi all’inizio era stato accolto con scetticismo. È il sogno di un’intera tifoseria che si è fatto realtà.
L’ULTIMO ATTO D’AMORE
Leap forward. Quando Maestrelli torna in panchina nel novembre del 1975 e il tumore sembra sconfitto, è un’altra Lazio. L’assenza per tanto tempo, un tecnico inadatto e un calciomercato del tutto sbagliato hanno fatto precipitare la squadra nei bassifondi. Ci vogliono tutta la pazienza e le risorse tattiche del Maestro per risalire la china. Quella che sembra un’altra, l’ennesima, missione impossibile si trasforma una volta di più in realtà. Dovendo fare di necessità virtù, Tommaso Maestrelli utilizza due ragazzi della Primavera nei quali ha sempre creduto: Bruno Giordano, attaccante dalle potenzialità infinite, e Lionello Manfredonia, elegante e raffinato nel tocco di palla, jolly della difesa.
A poche giornate dalla fine, Maestrelli deve assistere, suo malgrado e senza poterlo impedire, all’addio del suo prediletto Chinaglia che ottiene di essere ceduto ai Cosmos New York, lasciando precipitosamente la Lazio. Grazie a una clamorosa vittoria sul Milan per 4-0 nella penultima giornata di campionato, i biancazzurri si giocano tutto a Como. È una partita che inizia molto male, perché dopo 17 minuti i lariani sono in vantaggio per 2-0. Giordano riesce ad accorciare le distanze poco dopo e Badiani pareggia nella ripresa. È il 16 maggio 1976 e la Lazio è salva. Ha vinto l’eroismo silenzioso di un uomo normale (normale, si fa per dire). Per Maestrelli è un ulteriore atto d’amore, forse il più bello verso società e tifosi ma il male è ancora in agguato e stavolta non intende lasciare scampo. È un nuovo calvario, quello che ha inizio quell’estate e che termina mesi dopo nel letto di una clinica.
VORREI DEDICARE…
Sperando in un nuovo miracolo, a Tommaso Maestrelli la società ha affidato il ruolo di general manager, mentre il nuovo allenatore per la stagione 1976/77 è il brasiliano Luis Vinicio. In ogni caso, passa l’estate e del Maestro non si sente parlare. Le condizioni di salute peggiorano a poco a poco ma la verità viene tenuta nascosta per quanto possibile. Il 28 novembre 1976 è domenica, nella Capitale non è una domenica qualsiasi. C’è il derby. Come talvolta succede, quella volta s’impone chi in realtà gioca peggio.
Vince la Lazio grazie a un gioiello di Bruno Giordano che elude l’intervento di mezza difesa avversaria e brucia il portiere Paolo Conti con un colpo di astuzia e potenza scagliato quasi dalla linea di fondo. Ai punti meriterebbe senza dubbi la Roma, che attacca in modo incessante costringendo l’avversaria a rintanarsi nella propria metà campo. Il risultato diventerebbe un altro, se la porta non fosse chiusa a chiave. Felice Pulici è invalicabile, come se una forza misteriosa e sovrumana si sia impadronita di lui senza preavviso:
«È stata la più grande prestazione della mia carriera», dirà un giorno l’allora numero 1 biancoceleste, «parai tutto quello che potevo parare. Probabilmente, anche se avessimo giocato per due giorni di fila, i romanisti non mi avrebbero fatto gol. Fu un derby molto particolare anche sotto il punto di vista emotivo».
In effetti, senza di lui i giallorossi potrebbero segnare almeno 3-4 volte e invece vince la Lazio. Al termine della partita, al microfono radiofonico di Claudio Ferretti, l’eroe di giornata vorrebbe «dedicare la vittoria a…», ma non riesce a dire quel nome, perché Felice Pulici esplode di colpo in un pianto a metà fra l’angosciato e il liberatorio. Per Tommaso Maestrelli quel derby è l’ultima gioia in stato di coscienza prima di entrare in coma. Al momento della morte, il Maestro ha 54 anni compiuti da poco. Il suo cuore cessa di battere alle tre di pomeriggio del 2 dicembre 1976.
IL SILENZIO
Il giorno dopo, Roma Nord si ferma per i funerali di Tommaso Maestrelli. Piazza dei Giuochi Delfici, Vigna Stelluti e la zona di Ponte Milvio sono completamente bloccati da decine di migliaia di persone. Una folla oceanica arriva fino al Lungotevere. Il servizio d’ordine è insufficiente. Entrare in chiesa si può, ma c’è il rischio di rimanere schiacciati. Quando da lontano spunta il feretro, la gente esplode in un applauso spontaneo. Si registrano alcuni contusi sul sagrato della chiesa. Officia padre Antonio Lisandrini, cappellano ufficiale della Lazio. Le parole che nel mondo del calcio non vengono spese per nessuno, sono pronunciate proprio in quella sede.
Il 5 dicembre a San Siro, la squadra biancoceleste affronta l’Inter. In segno di rispetto la squadra di casa fa osservare un minuto di raccoglimento. Per 60 secondi, echeggia addirittura il Silenzio.
Nini Rosso lo ha sempre suonato da Dio, ma quel giorno anche l’anonimo trombettista sugli spalti sembra Chet Baker. Piangono i giocatori in campo, anche quelli che non hanno mai conosciuto di persona Maestrelli. Piangono i tifosi della Lazio e l’applauso scrosciante di tutto lo stadio sembra non finire. La partita termina 1-1. Nel finale Bruno Giordano, con un gol dei suoi, evita una sconfitta che il Maestro non avrebbe gradito. Magari a modo suo, con toni pacati e gentili, ma nello spogliatoio non avrebbe fatto sconti a nessuno e loro lo avrebbero ascoltato. Lui era così, e guai a confondere con la debolezza. La vita di un uomo è qualità, non accumulo di giorni.