Il dramma Donato Bergamini, una vicenda ancora irrisolta che intreccia calcio-scommesse, 'ndrangheta ed una misteriosa figura femminile.
Cosa spinse un giovane calciatore professionista, nell’apice della sua carriera, a tentare da un momento all’altro di togliersi la vita? Non vi è una motivazione in effetti, perché non si trattò affatto di suicidio. In questa storia sono tante, troppe le incongruenze. Dalla pista passionale, a quella della droga, passando per quella legata al calcio-scommesse.
‘’La speranza che l’alba riporti in cielo la luce è il solo motivo per il quale gli uomini riescono a superare il buio della notte’’
Dev’essere senz’altro stata la speranza dei molti che, nonostante siano passati circa trent’anni, ha fatto sì che l’incredibile dramma di Donato Denis Bergamini non si concludesse in un nulla di fatto. Questa vicenda così cupa e tormentata meritava di essere delineata e risolta già da tempo, con esattezza già dal lontano novembre del 1989, quando prende forma uno dei più misteriosi casi di cronaca nera italiana, che ancora oggi, seppur si siano fatti dei timidi progressi investigativi, sembra essere circondata da una fitta nube di depistaggi, pressappochismo giudiziario, testimonianze incerte.
Chi ricorda Denis ha in mente senz’altro quel fare rasserenante di cui era dotato nella vita come nel rettangolo di gioco, esattamente come la serenità che trasmette la natura nel partorire l’alba ed il tramonto: la loro bellezza non è negata a nessuno.
L’ALBA
Il terreno di gioco per Denis era come un foglio A4, e il suo compito era quello di disegnarci sopra, grazie alla sua raffinata tecnica e visione di gioco. La sua più grande dote era il sacrificio. Giocatori di questo tipo fanno la fortuna degli allenatori, il cui sforzo per motivare gli stessi è relativo; anzi quasi non serve. Potremmo chiamarla naturale propensione alla generosità, una dote di pochi stakanovisti del pallone.
Bergamini arrivò nella città Bruzia nella stagione 85\86, dopo qualche anno di gavetta nelle categorie interregionali tra Imola e Russi. Il Cosenza militava in serie C1, un girone ostico e caloroso, quasi emblema di quel calcio anni ottanta oramai trapassato. Nonostante il doppio salto di categoria, colleziona numerose presenze ritagliandosi un posto da protagonista nel centrocampo dei calabresi anche per le stagioni successive dove, a furor di popolo, viene acclamato come uno dei leader della squadra, segnando per giunta due pesantissime reti e presenziando in maniera costante nell’undici iniziale.
“Quel ragazzino biondino e apparentemente timido e scontroso, si rivela un mediano di spinta coi fiocchi, bravo sia nella fase di interdizione che nella costruzione del gioco. A vederlo fuori dal campo non diresti mai che sia in grado di svolgere tutto quel lavoro”.
L’apoteosi calcistica di Denis arriva nella stagione 87-88, culminata con la storica promozione in serie B. Non solo riveste un ruolo cruciale negli assetti tattici della squadra, ma diventa un vero e proprio beniamino dei tifosi, che vedono nel numero otto un lavoratore infaticabile. L’anno successivo arriva l’esordio in serie B contro il Genoa e nella stessa stagione la prima rete contro il Licata. Il suo infortunio, che lo terrà fuori per sedici partite in quella stessa stagione, sarà solo il preambolo di un tragico dramma che prenderà forma l’annata successiva.
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L’ULTIMO STADIO
Il 12 novembre 1989 lo stadioBrianteo di Monza ospitò la dodicesima giornata del campionato cadetto. La società cosentina aveva posto le basi per un campionato sereno, e pur non riuscendo fino ad allora ad ingranare, la stagione tuttavia era appena iniziata e la società era riuscita a trattenere Denis che in estate aveva avuto diverse richieste di mercato, tra cui le avances del Parma che, quello stesso anno, troverà un’agognata promozione nella massima serie. L’ultimo terreno di gioco che Denis calcherà sarà proprio questo. Esattamente sei giorni dopo, il cadavere di Denis viene ritrovato disteso sull’asfalto della strada statale 106 Jonica, nei pressi di Roseto Capo Spulico in provincia di Cosenza.
IL TRAMONTO
Le speranze, la carriera, i desideri, i sentimenti di Denis, si spengono qualche chilometro fuori dalla città, disteso a pancia in giù a pochi centimetri dalle ruote di un camion carico di mandarini pesante 138 quintali, transitante proprio su quella strada. È suicidio, una tesi alla quale oggi non crede più nessuno, ma che all’epoca riempie le prime pagine di tutti i quotidiani, colpendo l’opinione pubblica di un intero paese. Secondo i tribunali Denis si gettò sotto l’imponente veicolo di un tale Raffaele Pisano – successivamente prosciolto da ogni accusa di omicidio colposo – intento a togliersi la vita. Una tesi che lascia tutti perplessi.
Nessuno pensa che ci sia solo questo dietro la morte del giovane ragazzo di Argenta (FE), che non aveva mai mostrato alcun segno di instabilità, tutt’altro; la stessa mattinata di quel drammatico giorno rilasciò un’intervista alla Gazzetta del Sud, incitando e motivando la squadra ed il pubblico in vista del sentito match casalingo contro il Messina del giorno seguente. Non di certo l’atteggiamento classico di chi ha intenzione di ‘’farla finita’’. La pista del suicidio fa acqua da tutte le parti, e c’è tanto chi è sicuro che Denis non fosse minimamente intenzionato a compiere un tale gesto, come i suoi amici e familiari, ma soprattutto ci sono le prime perizie sul corpo, la dinamica dei fatti, le prove ed i testimoni.
Ci sono gli indumenti che indossava Denis, praticamente intatti, senza nessun segno d’usura, e che non saranno mai restituiti ai genitori. C’è l’orologio, pienamente funzionante, illeso magicamente dopo un mortale impatto contro un autotreno. C’è la scatola nera del camion prontamente manomessa. C’è l’auto di Denis, mai sequestrata e restituita alla famiglia Bergamini poco dopo, pulita e splendente. Ci sono le strane telefonate ricevute da Denis – una nel bel mezzo di una cena con i suoi familiari – che turbano così tanto il giovane da rendere il suo volto pallido alla vista di tutti i presenti.
C’è l’allontanamento inspiegabile dal pre-ritiro, dove alcuni compagni lo videro divincolarsi accanto a due sagome impossibili da riconoscere nella penombra. Ci sono i confusi verbali degli agenti accorsi al momento del ritrovamento del cadavere. C’è la morte di un magazziniere factotum della società del Cosenza, Alfredo Rende, che promise al padre di Denis importanti rivelazioni sull’accaduto e che, mesi dopo, perse la vita in un incidente stradale proprio su quella Statale Jonica 106 che fu teatro dell’inscenato suicidio del calciatore.
Ed infine c’è il testimone chiave della vicenda, Isabella Internò, una giovanissima ragazza di Rende, nei pressi di Cosenza, impegnata in una burrascosa ed instabile storia d’amore con Denis.
A complicare i rapporti tra i due vi fu un aborto da parte di Isabella, eseguito accompagnata da Denis all’insaputa di tutti in una clinica di Londra (onde evitare ripercussioni legate alla reputazione della ragazza e della famiglia della stessa). La loro relazione, seppur nata in maniera del tutto genuina e passionale nei primi periodi di Denis in Calabria, si trasforma in una instabile altalena sentimentale che dapprima coinvolge entrambi ma che successivamente prende quasi ossessivamente corpo in Isabella (secondo le testimonianze di alcuni compagni di squadra di Denis), che sfocia più volte in impeti di gelosia e scenate e che porta Denis, stanco della situazione, a chiudere definitivamente i rapporti con lei nella primavera dell’89.
Ma allora perché in quel momento Isabella si trova sulla scena dell’ipotetico suicidio? Secondo le testimonianze della stessa, che si trovava con lui in auto quel pomeriggio, Denis aveva palesato chiare intenzioni di suicidio, stanco della mondanità calcistica, di quel mondo, di questo paese. Così al rifiuto di Isabella a fuggire, prese la drammatica decisione. È alle sue dichiarazioni che si deve questa prima ipotetica ricostruzione dei fatti.
Fu proprio la ragazza a lanciare l’allarme tramite il telefono di un bar nei pressi del luogo dell’accaduto, dove, accompagnata da un “passante misterioso”, chiamò la madre, l’allora allenatore del Cosenza Gigi Simoni, ed infine un altro incerto interlocutore, per poi tornare sulla scena con una non ben definita autovettura. Non fu lei ma il titolare del bar, successivamente, ad avvertire le autorità. Un vero e proprio mistero. Raccontarlo oggi è ancora più complicato: sono tantissimi gli indizi, troppi i tasselli mancanti, tante le dichiarazioni incoerenti della Internò, e due le riaperture del caso e le riesumazioni del cadavere.
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Due mesi dopo l’accaduto, infatti, la famiglia di Denis palesa la sua incertezza riguardo l’accaduto, ottenendo l’autorizzazione alla riesumazione del cadavere e all’autopsia. L’unica frattura trovata sul corpo del ragazzo, nei pressi dell’inguine, non spiegherebbe la morte e tantomeno un brutale investimento da parte del camion, poiché non vi sono segni di trascinamento ed il corpo è quasi intatto. Così nel 1994 la prima riapertura del caso. Un’indagine contro ignoti che porterà ad un’archiviazione. Nel giugno 2011 vi è ancora la riapertura dell’inchiesta: la famiglia pretende chiarezza, spinta da un dossier di ben 208 pagine prodotto legale della stessa.
Quindi il RIS di Messina che, incaricato di far luce sulla vicenda, afferma definitivamente attraverso una sentenza che Denis, sul luogo della morte, è arrivato già esanime. Un urlo liberatorio dopo ventitre anni, ma non è una novità: tutti lo hanno sempre pensato, quindi seppur importante non basta. Nel luglio 2017 la seconda riesumazione. La procura intende avvalorandosi delle nuove tecnologie in campo investigativo per far chiarezza sul corpo del giovane una volta per tutte. Sono tutt’ora in corso le indagini che potrebbero spostarsi verso un altro versante.
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COSENZA ED IL CALCIOSSOMMESSE
Con la fine degli anni ottanta la città di Cosenza sembra meno turbata rispetto agli anni precedenti, quando fu caratterizzata da una feroce guerra di ‘ndrangheta, con la pace successivamente sancita tra i clan rivali che tornano a fare grandi profitti con la droga, l’edilizia, il racket e, secondo alcuni, il totonero. A dir la verità tutto quel decennio venne caratterizzato da diverse inchieste e condanne che fecero tremare il mondo del calcio, coinvolgendo importanti società ed anche grandi esponenti nazionali di questo sport, come Paolo Rossi o Enrico Albertosi tra tutti.
Impensabile che la ‘ndrangheta non avesse fiutato l’affare. A Cosenza, infatti, non era strano vedere boss e personalità, non propriamente legate al mondo dello sport, vicine alla società, negli allenamenti e nelle cene. Secondo le dichiarazioni del pentito boss Francesco Pino, la società del Cosenza diede allo stesso una non precisa somma economica che servì ad acquistare la partita contro l’Avellino nell’89. E se Denis fosse per qualche motivo venuto a conoscenza di queste trame, si fosse ribellato e fosse stato punito a causa di tutto questo?
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Bergamini quello stesso anno fu vicino alla cessione al Parma, che gli offrì un importante contratto inspiegabilmente rifiutato nonostante l’importante somma offerta. Questa tesi è descritta molto minuziosamente nel libro Il calciatore suicidato di Carlo Petrini pubblicato nel 2001 dall’editore Kaos, che lanciò un importante segnale ai fini della risoluzione della vicenda. Per quanto continua ad essere tortuosa la strada per la verità, per la difficoltà con la quale si è arrivati, solo dopo vent’anni anni, a palesi conclusioni – come quella che non si trattasse di un suicidio – forse non basta seguire esclusivamente la pista passionale.
Forse la verità risulterebbe fin troppo scomoda per molti, non solo appartenenti a contesti criminali, ma esponenti del mondo dello sport. Forse mostrerebbe un mondo sotterraneo che macchierebbe indelebilmente quell’immagine nitida e trasparente che il calcio cerca invano di rappresentare. Forse un ragazzo morto non valeva quanto il business a cui Denis si sarebbe ribellato.
Oggi Cosenza gli dedica una curva e porta avanti grazie all’associazione Verità per Denis il suo ricordo e la sete di giustizia che non è mai passata, anche dopo tutti questi anni. Forse la storia di Donato Denis Bergamini sarebbe bene conoscerla a fondo, per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa vicenda fin troppo messa in ombra già all’epoca. Per farlo tornare a splendere, in ogni caso.