Calcio
03 Dicembre 2016

Tutto fuorchè una favola

Quattro squadre in due continenti, disponibilità di capitale immensa, totale mancanza di rispetto nei confronti dei valori di questo sport. Ecco come la Red Bull è entrata nel mondo del pallone.

12 luglio 2016, il Red Bull Salisburgo vince per 1 a 0 l’andata del secondo turno dei preliminari di Champions League, contro i lettoni del Liepāja. La gara passa alla cronaca per un fatto curioso: il terzino della squadra austriaca infatti, Andreas Ulmer, ha giocato indossando la maglia del RB Leipzig per novanta minuti. La casacca della squadra tedesca è identica a quella della compagine austriaca, eccezion fatta per il logo. Nessuno si era accorto di nulla, nemmeno il diretto interessato. Questo triste evento e l’ottima prima parte di stagione del Lipsia in Bundesliga, nove vittorie e tre pareggi a sancire il primato in solitaria in classifica, hanno attirato l’attenzione sugli investimenti della Red Bull nel mondo del pallone. Il fenomeno di inserimento nel calcio del colosso austriaco ha avuto inizio nel 2005 con l’acquisizione dell’Austria Salisburgo. In un colpo solo i nuovi proprietari modificarono nome, logo e colori della squadra. I tifosi protestarono chiedendo che il viola, colore storico, fosse presente in qualche dettaglio della divisa. La dirigenza rispose facendo trovare occhialini con lenti viola sui seggiolini dello stadio, in modo tale che i tifosi potessero vedere il colore che tanto amavano invece del biancorosso, che da quel momento avrebbe rappresentato il futuro della società. In pochi giorni, anni di gloriosa storia vennero spazzati via senza tante preoccupazioni. Non soddisfatta, la multinazionale austriaca ha allargato il proprio progetto ad altri continenti. Nel 2006 è toccato all’America settentrionale, con l’acquisizione della franchigia dei New York Metrotars, diventata Red Bull New York. Squadra nella quale hanno militato Henry, Marquez e Cahill. Nei due anni successivi il colosso ha dato il via a progetti in Brasile e in Ghana. Quello africano è l’unico caso di mancato successo, con la squadra che è stata acquisita dal Feyenoord.

La tristezza delle squadre prodotte in batteria
La tristezza delle squadre prodotte in batteria

Nel 2009 l’approdo in Germania, dove l’azienda ha rilevato il piccolo SSv Markranstädt, squadra di un paesino alle porte di Lipsia. Il progetto, che ad oggi è quello ad aver avuto più successo, è anche l’unico ad essere stato avviato dal basso. Sono bastati solo sette anni al RB Leipzig per raggiungere la Bundesliga, partendo dalla quinta divisione tedesca. Una scalata tutt’altro che semplice, con numerosi ostacoli che la dirigenza ha dovuto superare. Una volta completato l’acquisto, i proprietari austriaci hanno dovuto modificare sia il nome che lo stemma. Le regole della Bundesliga sono ferree, un’azienda può comparire nel nome della squadra solo in casi di una partnership datata. Come per esempio la Bayer a Leverkusen, che è co-fondatrice del club. Impossibilitati ad utilizzare RedBull Leipzig, hanno dato alla squadra il nome di RB Leipzig. Dove RB starebbe per Rasen Ball (sport della palla su erba). Proprio quelle RB, che coincidenza, iniziali della Red Bull. Stesso discorso per lo stemma, dove è stata modificata l’estetica dei tori ed eliminato il cerchio giallo.

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L’ultima regola aggirata è stata quella riguardante gli azionisti. Ogni squadra in Germania deve essere posseduta per il 50% più uno da azionisti popolari. La RedBull ha creato una società di garanzia limitata, dove le quote di maggioranza sono divise tra quattordici manager austriaci e il costo della singola quota è di 800 euro. Una cifra sproposita considerando i prezzi del Bayern Monaco, 0-24 anni 25 euro; 25-64 anni 50 euro; over 65 anni 25 euro. Un ottimo stratagemma per tenere tutto tra le proprie mani ed evitare possibili e scomode intromissioni esterne.  Queste furbizie hanno portato il Lipsia ad essere la squadra più odiata di Germania, con tutte le tifoserie tedesche riunite nel comitato “No al RB Leipzig”. Numerosi i gesti di protesta registrati negli ultimi tempi, quello che fatto più scalpore è stato il lancio di una testa di toro mozzata, da parte dei sostenitori della Dinamo Dresda.

 

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Forse i tifosi della Dinamo Dresda hanno un pò esagerato…

Eppure la città di Lipsia, nella storia tedesca, rappresenta un glorioso esempio di identità. Furono circa 70.000 le persone che scesero in strada per manifestare a favore della riunificazione del paese. Manifestazione considerata da molti come il contributo fondamentale per la caduta del muro di Berlino, che sarebbe avvenuta solamente un mese dopo. Il colosso austriaco, con un fatturato di cinque miliardi, ogni anno investe circa mezzo miliardo in tutte le possibili discipline sportive. L’iniziativa di entrare nel mondo del pallone, è un’ulteriore ingranaggio del processo che sta alterando i valori del calcio. La scelta della Red Bull è prima di tutto un’astuta strategia di marketing, che favorisce l’avvicinamento dei tifosi al marchio, tramite il loro sport preferito. Il meccanismo di inserimento nel calcio è veloce, invasivo e senza alcun rispetto nei confronti dei valori identitari delle squadre. Un processo che, con le dovute comparazioni, potrebbe ricordare quello del colonialismo eseguito da molti paesi in Africa. Per quanto i soldi e gli investimenti onerosi fanno la differenza in qualsiasi squadra, e quello della Red Bull non è di certo il primo caso di ingenti somme di denaro impegnate nel calcio, è il modo in cui viene effettuato questo innesto a destare scalpore. Colpevole di dare vita a club senza alcuna identità, portando i tifosi a tifare per un marchio. D’altronde il Dio denaro non conosce sentimenti. 

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La Red Bull Arena

Come questo sport si stia ormai trasformando in un vero e proprio prodotto commerciale, è riscontrabile da anni e in diversi aspetti. Dalle ingenti somme guadagnate dai procuratori – chiedere a Raiola quanto ha fruttato al suo portafoglio la cessione di Pogba – agli orari dei big match di Premier League decisi in base alle comodità del pubblico asiatico, fino alla scelta di disputare il mondiale in Qatar. Di poco tempo fa è la notizia dell’offerta presentata dalla Burger King allo Zenit San Pietroburgo, sette milioni di euro per modificare la denominazione della squadra in Zenit Burger King. Offerta fortunatamente rispedita al mittente dalla dirigenza russa. Chissà per quanto ancora, viene da pensare, potremo goderci un derby in finale di Champions come quello dell’ultima stagione, tra Real e Atletico Madrid. Probabilmente i nostri figli saranno costretti a guardare partite come Red Bull contro Burger King.

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