Altri Sport
15 Novembre 2017

UFC: come tutto ebbe inizio

Le origini dell'evento di lotta più mediatico del momento.

È iniziato tutto con la più classica delle domande, quella che ci si pone sognanti sin da bambini quando in televisione passa un film di arti marziali o si sceglie di intraprendere uno sport di combattimento: “quale stile di lotta è il migliore al mondo?” La risposta non poteva che pervenire dalla città dei sogni, spesso infranti, di Las Vegas, dove Art Davie, imprenditore e pubblicitario, uno che i sogni li tramuta in spazi commerciali, decide che è giunto il momento di decretare quale arte marziale sia la numero uno. Con caparbietà e una rete di contatti facoltosi nel 1993 da vita alla WOW promotions che si incaricherà di organizzare l’evento War of the worlds, in collaborazione con la Semaphore Entertainment Group (SEG) un audace produttore pay per view. Otto fighter, provenienti dalle discipline più disparate, dalla boxe alla savate, dal karate alla kickboxing, fino al sumo, si contenderanno il titolo all’interno di un ring ottagonale disegnato apposta per l’occasione. Royce Gracie (brazilian Ju jitsu), Patrick Smith e Kevin Rosier (kickboxing), Zane Frazier (karate), Art Jimmerson (boxe), Teila Tuli (sumo), Ken Shamrock (shootfighting) e Gerard Gordeau (savate), questo il primo roster della storia dello UFC, un carrozzone mal assortito senza categoria di peso, senza una regolamentazione ufficiale, guidato solo dalla voglia di sapere qual è il migliore tra tutti gli sport da combattimento. Neanche a dirlo vince Gracie, che con le sue sottomissioni da manuale ovvia alla differenza di peso con gli altri lottatori e diviene così il primo campione dello UFC 1, così ribattezzato per esigenze di marketing.

 

Il lottatore di sumo Teila Tuli contro Gerard Gordeau inel primo incontro UFC della storia il 12 novembre 1993 (Getty Images)
Il lottatore di sumo Teila Tuli contro Gerard Gordeau inel primo incontro UFC della storia il 12 novembre 1993 (Getty Images)

Una meteora? Un evento una tantum destinato a perdersi nei dedali della memoria sportiva delle arti marziali? Sì, ma poi no. Quantomeno non più. Il progetto iniziale era di lanciare una palla di neve in quel vulcano eruttante della pay per view degli anni ’90 per vedere che effetto faceva, ma poi gli ottimi e quasi insperati ascolti hanno rimesso le carte sul tavolo. Poteva un evento che aveva catalizzato più di 86.000 persone rimanere un lampo isolato nella notte? No di certo. E allora via con un secondo, poi un terzo, fino a farne un vero sport. Cresce la popolarità, crescono gli incassi. Nel 1995 la SEG decide di rilevare la Wow dall’affare e ne compra i diritti, con Art Davie che però mantiene un ruolo come organizzatore e manda avanti la baracca senza intoppi, almeno fino al 1997 quando lo sregolato mondo dell’Ultimate Fighting Champioship attira le non lusinghiere attenzioni da parte delle autorità statunitensi. Il senatore repubblicano John McCain, futuro candidato alla presidenza nel 2008, si pone alla testa di una crociata anti violenza che vedrà l’adesione di ben 36 stati su 50, risoluti a bandire quel circo cruento che meglio si adatta nell’immaginario massmediatico ad uno scontro underground tra streetfighter clandestini più che a un evento da trasmettere in tv.
Ma la macchina è partita and the show must go on e allora giù con un maquillage che tra UFC 12 e UFC 21 inserisce delle regole basilari per poter sopravvivere alle attenzioni non certo amorevoli ricevute dalle alte sfere. Si inseriscono le agognate classi di peso, round da 5 minuti, guanti obbligatori, si vietano altresì tecniche eccessivamente brutali e scorrette come testate, calci alla testa con l’avversario a terra, colpi all’inguine e colpi dietro la schiena.  A ciò si accompagna un nuovo parco lottatori che vedrà contendersi il titolo ai futuri mostri sacri dell’ottagono come Chuck Liddell, Randy Couture, Tito Ortiz e Wanderlei “the Axe Murderer” Silva.

Il brasiliano Wanderlei Silva, a destra, colpisce l'americano Rich Franklin a UFC 99 a Colonia, Germania. Photo by Lars Baron/Bongarts/Getty Images
Il brasiliano Wanderlei Silva, a destra, colpisce l’americano Rich Franklin a UFC 99 a Colonia, Germania. Photo by Lars Baron/Bongarts/Getty Images

Tuttavia la lunga battaglia per guadagnarsi il diritto ad esistere porta lo UFC a svolgersi in teatri minori degli Stati Uniti come il Wyoming, l’Alabama e la Lousiana e questo di certo ne inficia la notorietà e per la SEG lo spettro della bancarotta avanza con passo veloce e inesorabile, proprio ora che il terreno è stato preparato per fare il grande salto. È in questo frangente che subentra il futuro deus ex machina dello UFC, Dana White che con il capitale del suo amico di infanzia Lorenzo Fertitta e del fratello di questi acquista dalla SEG nel gennaio 2001 l’intera federazione per 2 milioni di dollari tramite la controllante Zuffa LLC.
White, il ragazzo venuto da Southie, il quartiere più densamente popolato di Boston in mano alla mala irlandese, che si guadagna da vivere facendo il buttafuori e l’istruttore di pugilato, costretto a fuggire dalle richieste del pizzo da parte dei gangster della Irish Mob, così la chiamano da quelle parti, si ritrova a Los Angeles con il biglietto vincente in mano. Diventa presidente dello UFC e con i contatti dei Fertitta nella Nevada State Athletic Commission riesce ad ottenere il riconoscimento ufficiale da parte del Nevada. La Zuffa inizia una roboante campagna pubblicitaria che coinvolge grosse major, location di prim’ordine e la stessa Fox sport.  UFC 40 è senza dubbio lo zenit di quest’epoca con il big match tra Tito Ortiz, ex protégé e assistito di White ai tempi burrascosi di Boston, e Ken Shamrock che si svolge alla MGM Grand Arena e registra oltre 150.000 acquisti per la sola pay per view. La cassa di risonanza mediatica è enorme, rigonfia a tal punto da solleticare l’attenzione di ESPN e USA Today, cosa mai accaduta per eventi di arti marziali miste fino a quel momento.

L’entrata ti Tito Ortiz a UFC 40: all’epoca è il più grande evento mediatico di quel genere
Malgrado il notevole eco mediatico di UFC 40 la federazione non gode ancora di buona salute, con un passivo di circa 34 milioni di dollari, e allora per porre rimedio a questa emorragia l’unica via percorribile è far conoscere questo mondo al grande pubblico, affiancando agli eventi pay per view un reality da mandare in onda sulla televisione tradizionale. The Ultimate Fighter entra nelle case di milioni di americani ed il successo è immediato. Una formula semplice: atleti professionisti ancora sconosciuti al grande pubblico, tutti sotto lo stesso tetto, pronti a contendersi come premio un contratto con lo UFC. La storica finale della prima stagione tra Forest Griffin e Stephan Bonnar tiene incollati allo schermo milioni di americani lanciando la Federazione nel panorama degli eventi sportivi più seguiti negli Stati Uniti. Il sensibile aumento di visibilità permette di raggiungere numeri fino a quel momento insperati: UFC 52 registra oltre 300.000 accessi pay per view, UFC 60 620.000, fino ai 775.000 per la rivincita tra Ortiz e Shamrock. Il treno è partito e niente lo può più arrestare. Con strategie societarie che strizzano l’occhio all’affarismo monopolistico protratto dalla Microsoft, Zuffa acquista la World Extreme Cagefighting, la World Fighting Alliance e la giapponese Pride Fighting Championships facendo confluire tra le sue fila lottatori del calibro di Quinton “rampage” Jackson, Lyoto Machida, Mirko “Cro Cop” Filipovic, creando così una sorta di cartello dell’MMA. Simbolico in questo senso è il volume delle scommesse che nel 2007 supera di gran lunga quelle della Boxe. Un prodromo del declino di popolarità che la nobile arte subirà da qui in avanti.

 

Nel 2011 tocca alla Strikeforce essere assorbita e lo UFC arricchisce ulteriormente il suo roster con campioni del calibro di Alistair Overeem e Gina Carano. Le donne tuttavia ancora non sono parte integrante dello UFC e per il momento rimangono ad appannaggio della Strikeforce. Sarà solo con l’arrivo di Ronda Rousey che Dana White scioglierà le sue riserve e inizierà a mettere sotto contratto lottatrici intuendone finalmente l’enorme potenziale mediatico.  L’avversione di White per il mondo della lotta femminile mal si sposa con le accuse rivoltegli direttamente dalla madre che nella sua biografia non autorizzata lo addita come un violento nella sua vita privata, soprattutto nei confronti delle donne. Il 2011 è anche l’anno dell’accordo con Fox che tramite la sua sussidiaria Fox Sport si assicura i diritti televisivi dello UFC. Major sponsor come Harley-Davidson, Bud Light, Monster Energy, Venum  e Reebok diventano parte integrante del panorama delle Mixed Martial arts. Il predominio di White e dello UFC è così netto che nel 2014 una class action viene mossa nei loro confronti da parte di alcuni fighter i quali accusano la federazione senza mezzi termini di manipolazione del libero mercato, violando apertamente la legge antitrust americana, lo Sherman Act. Nel 2016 la Zuffa LLC cede la UFC alla WME, già detentrice  dell’NFL e dell’NHL, per la cifra record di 4,2 miliardi di dollari, la più grande acquisizione nell’industria dell’entertainment sportivo, con Dana White confermato come presidente dello UFC.

Dana White, microfono in mano, accoglie la campionessa Ronda Rousey sul palco per una conferenza stampa nel 2014. (Photo by Anthony Kwan/Getty Images)
Dana White, microfono in mano, accoglie la campionessa Ronda Rousey sul palco per una conferenza stampa nel 2014. (Photo by Anthony Kwan/Getty Images)

Lo UFC è ormai un fenomeno massmediatico e cross-mediatico, con incursioni preponderanti nel mondo video ludico e in quello cinematografico, dove personaggi come Ronda Rousey e Gina Carano bucano lo schermo con le loro performance convincenti.
Fino all’ultima provocazione di White: l’incontro del secolo, il crossover tra Floyd Mayweather e Conor McGregor, dove il patron dello UFC ha preconizzato erroneamente la titaneggiante vittoria di McGregor. In effetti una vittoria c’è stata ma non dell’underdog McGregor, che comunque si consolerà con la sua borsa da nababbo. La vittoria la ottiene ancora una volta Dana White con l’incontro più visto nella storia della pay per view con oltre 6,5 milioni di accessi come conferma lo stesso White su Twitter.
Parafrasando uno degli storici commentatori dello UFC Joe Rogan, il quale ha affermato che le Mixed Martial Arts si sono evolute più negli ultimi dieci anni che nei passati settecento, sarà sicuramente interessante notare come questo sport evolverà ancora nei prossimi dieci anni.

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