Dagli Ultras Lazio con Padre Pio al derby "sacro" Taranto-Bari.
Autostrada A1, fine Anni Novanta. Poster gigante di Padre Pio sul parabrezza, solo un pullman supera – senza mai essere fermato – i numerosi posti di blocco presenti lungo la strada. Qualche poliziotto particolarmente devoto si fa, al suo passaggio, addirittura il segno della croce. Nei pressi dello stadio il rosso di una paletta intima all’autista di accostare. Salendo sul primo gradino, l’ispettore capo Marinelli si sorprende nel non trovare almeno nelle prime file il consueto gruppo di vecchiette col rosario.
Posto numero uno (dietro l’autista): cinquantenne, barba e capelli bianchi.
Posto numero due: quarantenne, tatuaggi e sigaretta accesa.
Posto numero tre: venticinquenne, capelli rasati e giubbotto militare.
Posto numero quattro: trentenne palestrato, Ray-Ban a goccia e braccia tatuate fino alle nocche delle dita.
Il poliziotto, oltre alla sorpresa, prova una strana sensazione… lui, quei fedeli, li ha già visti tutti. Eppure è da tempo che non mette piede in una chiesa. Anni di servizio allo Stadio Olimpico di Roma gli permettono, in una frazione di secondo, di identificare i quattro falsi pellegrini come ultras della Lazio. Guarda rapidamente gli altri passeggeri: età 20-50 anni, sesso maschile, faccia da ultras. Bologna-Lazio: trasferta ad alto rischio. L’immagine del Santo esposta sul parabrezza è servita a trasformare un pericoloso manipolo di tifosi in un innocuo gruppo parrocchiale.
Difficile sapere quale fosse il reale intento dei laziali, se quello di raggiungere indisturbati la curva nemica e scontrarsi con gli odiati Mods Bologna o semplicemente compiere un’azione goliardica, cosa di cui Fabrizio Piscitelli (Diabolik), indiscusso leader del gruppo, alzandosi dal posto numero 6 cerca per diversi minuti di convincere l’ispettore capo, svelandogli anche l’epilogo previsto: corteo dal pullman allo stadio con l’immagine di Padre Pio in prima fila.
«Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo», ha detto Pier Paolo Pasolini in una famosa intervista pubblicata da “L’Europeo” il 31 dicembre 1970.
«È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci». Quando Pasolini pronuncia queste parole, in Italia stanno nascendo i primi gruppi ultras. Col tempo le cose sono cambiate e, ad assumere i contorni di rappresentazione sacra – più del calcio in sé – è stato il fenomeno del tifo. La cornice è diventata più rituale e, perfino, più sacra del quadro stesso.
Come Catari e Valdesi durante il Medioevo, anche gli ultras si trovano – ormai da qualche anno – a dover affrontare una tenace “attività persecutoria”. Nonostante l’intensificazione di misure restrittive come il DASPO (Divieto di Accedere a manifestazioni SPOrtive), emesse anche sulla base di “peccati veniali” come l’accensione (o anche solo il possesso) di un fumogeno in occasione o in prossimità di una partita, abbiano falcidiato la popolazione delle curve italiane, il tifo ha comunque mantenuto la sua naturadirappresentazione sacra: nessuno stadio, almeno per adesso e almeno per qualche anno, è destinato a diventare un luogo in cui assistere – silenziosi e composti – allo spettacolo.
L’analogia tra religione e tifo, entrambi espressione di fede e di passione, è, probabilmente, riconducibile ad un generalizzato bisogno di condivisione o addirittura alla, sempre più diffusa, paura della solitudine. Ciò che risulta subito evidente è l’analogia di gesti e riti con cui religione e tifo si manifestano. Proprio su questo aspetto si incentra il bellissimo documentario “Santa Maledizione” (prodotto da Artesettima e diretto da Tommaso Paris), che – in esergo – riporta la frase di Pasolini sul calcio come rappresentazione sacra.
Girati a Taranto dal 14 al 16 aprile 2022 (pochi giorni dopo la fine dell’emergenza COVID), i 12 minuti di documentario mostrano, attraverso un emozionante montaggio alternato, tre eventi capaci di attirare migliaia di persone: il Pellegrinaggio dell’Addolorata, la Processione dei Misteri e il derby Taranto-Bari.
Il racconto, visivamente potente, si basa su un’originale intuizione creativa: l’audio delle processioni religiose è montato sulle immagini dell’evento sportivo (ultras in corteo verso lo stadio e tifo durante la partita), l’audio del derby è invece abbinato alle immagini delle due rappresentazioni sacre (vestizione dei crociferi e trasporto della statua della Vergine). Quello che potrebbe risultare un effetto straniante, si traduce invece in una perfetta e armoniosa sovrapponibilità acustica, capace di esaltare la comune estetica di tifo e religione.
La processione dei credenti e il corteo degli ultras, in fondo, si assomigliano: centinaia di persone, unite da fede incrollabile, sfilano compatte fendendo la folla che, però, nel primo caso – calorosa – li accoglie, nel secondo – antagonista – li respinge. La sagoma di un tifoso tarantino che – a braccia aperte – incita la curva si trasforma, nel fotogramma successivo, nella croce ostesa da uno dei Perdoni incappucciati.
I capi ultras sono sempre stati un esempio per le generazioni più giovani. Sono stati, a loro modo, padri di migliaia di ragazzi emotivamente indeboliti da famiglie carenti o addirittura assenti. Sono stati maestri… a volte, forse, cattivi maestri… ma, comunque, maestri di vita.
Chiamato a decorare la chiesa di San Giovanni XXIII, nell’Ospedale di Bergamo, l’artista Andrea Mastrovito realizza nel 2016 un’immensa Crocifissione serigrafata su lastre di vetro, opera complessa ed ambiziosa. In quella sua rappresentazione c’è anche un omaggio (che ha fatto molto discutere): il Gesù Cristo da lui ritratto ha la faccia di Claudio Galimberti, il Bocia, lo storico capo-ultrà dell’Atalanta che, da quasi 30 anni, causa DASPO, non può assistere alle partite della sua squadra del cuore. Martire ultras a cui un’assurda vicenda giudiziaria continua a negare il rito della curva e il contatto coi fedeli.
È notte fonda quando i laziali lasciano la Questura.
I lampeggianti delle volanti scortano per alcuni chilometri il pullman che li riporta a Roma, per poi allontanarsi, spenti, verso i palazzi e le insegne di Bologna all’orizzonte. Il casellante, semiaddormentato, spalanca gli occhi improvvisamente sveglio. Pullman di ultras, cori da stadio, immagine di Padre Pio sul parabrezza.
Patrizio Bati è scrittore e sceneggiatore, autore del romanzo “Noi Felici Pochi” (Mondadori), da cui sarà tratto un film. Scrive per il settimanale “Specchio” (La Stampa) e il quotidiano “Domani”
Oggi il Bar dello Sport si trasferisce nella Capitale, e il tema all'ordine del giorno non può che essere il derby appena giocato. La Roma lo ha vinto due volte: la prima in campo, la seconda sugli spalti.