Calcio
19 Maggio 2022

Si può essere ultras a Lipsia?

Un tifo in provetta, o meglio in lattina.

“Il 22 giugno 1974, al settantottesimo minuto di una partita di calcio, sono diventato comunista”. Così Francesco Piccolo, scrittore e sceneggiatore, scrive nel suo libro Il desiderio di esser come tutti. Un chiaro riferimento alla gara tra Germania Est e Germania Ovest che si disputò ad Amburgo durante il mondiale del 1974. Quella partita, in piena Guerra Fredda, vide trionfare l’allora nazionale della DDR con la rete realizzata da Sparwasser del Magdeburgo, ma al di là del risultato si scontravano allora due Stati diversi tra di loro, divisi dal muro costruito a Berlino edificato nel 1961 dal governo comunista della DDR.


LA GERMANIA DI RISERVA


A distanza di 47 anni tutto è cambiato: il muro non esiste più, l’Urss e il comunismo solo nella stanza di qualche malinconico, e la Germania riunita è diventata la nazione più potente d’Europa. Tuttavia, non è sempre oro quel che luccica. Nonostante i milioni di investimenti l’economia degli stati dell’ex DDR rimane arretrata rispetto a quella dell’ovest: i grandi centri orientali come Lipsia e Potsdam stanno crescendo velocemente, ma le aree più provinciali vivono una sostanziale depressione economica e sociale.

Nel 2009 Wolfgang Tiefensee, allora ministro tedesco incaricato dello sviluppo della ex Germania Est, affermò che la differenza tra le due Germanie si stava finalmente assottigliando e che nel successivo decennio si sarebbero visti i risutati.

Beh, visti i risultati sembra di ascoltare i buoni propositi mai realizzati sul nostro Mezzogiorno. A distanza di 32 anni dalla caduta del Muro di Berlino alcuni indicatori testimoniano la condizione di molte aree dell’ex DDR: dal calo degli abitanti (la popolazione è diminuita di 2,3 milioni dal 1989, dato aggiornato al 2015) alla chiusura di centinaia tra scuole, asili, piscine e biblioteche pubbliche, essendo i costi di gestione ormai sproporzionati rispetto al numero di abitanti.

Per diversi politologi poi, un sintomo è stata anche la crescita esponenziale della destra nazionalista e identitaria di Alternative für Deutschland, che nella Germania orientale ha radici e roccaforti (in Sassonia è arrivata al 27% dei consensi, in Brandeburgo al 23,5%): certo il discorso è più complesso, e le rivendicazioni sociali di AFD si iscrivono in territori abituati a tutele sociali garantite “dall’alto”, tradite dalle gloriose sorti del libero mercato, ma sicuramente l’abbandono di queste aree ha pesantemente influito.

Mappa della Bundesliga realizzata da billsportsmaps.com

L’EX DDR NEL CALCIO


Ovviamente simile condizioni si ripercuotono anche nel calcio. Osservando una mappa della Bundesliga solo due squadre, Union Berlino e Lipsia, vengono dai territori della DDR: ma se la prima è l’espressione del legame tra il club e i suoi tifosi, il Lipsia è l’emblema di come sia cambiato il calcio e con esso anche le logiche del mercato. L’attuale RB Lipsia infatti non ha nulla a vedere con la Lokomotive Lipsia, protagonista della vecchia DDR Oberliga e vincitrice di quattro coppe della Germania est; al contrario è un esperimento nato dalla volontà della Red Bull di investire nel Fußball, non come sponsor ma come soggetto autonomo.

Inutile dilungarci qui nello sviluppo del RasenBallsport Leizpig (“Sport della palla da erba Lipsia”, che deve questo curioso nome al divieto per un’azienda di comparire nella denominazione della squadra, eccezion fatta per partnership legate al territorio come la Bayer a Leverkusen, co-fondatrice del club). Non vogliamo approfondire né le modifiche allo stemma e all’estetica, che già tante proteste avevano scatenato a Salisburgo – altre lattine, altro gioco –, né il fair play finanziario del club, con continue trattative con le squadre della stessa multinazionale come il Salisburgo (non ultimi i trasferimenti di Szoboszlai e Hee-Chan Hwang).

Infine, non ci teniamo oggi neanche ad entrare nei dettagli di come il club abbia aggirato la regola del 50+1, che favorisce l’azionariato diffuso, attirando ulteriori e giustificate antipatie in patria (praticamente creando una società di garanzia limitata, in cui le quote di maggioranza sono divise tra quattordici manager austriaci e la quota minima è di 800 euro – pensate che per diventare soci del Bayern Monaco i prezzi oscillano dai 20 ai 60 euro).

Intendiamo invece concentrarci sui suoi tifosi, e sul rapporto con la società/multinazionale.

L’approdo in Germania infatti per la Red Bull è stato delicato. Consci degli errori commessi in Austria e comprendendo il peso del tifo europeo rispetto a quello americano (la Red Bull nel corso degli anni ha investito anche negli USA), nella ex DDR viene comprato il titolo del piccolo SSv Markranstädt, squadra di un paesino alle porte di Lipsia. Inutile raccontare la reazione dei tifosi, che per suggellare l’acquisizione “forzata” gettarono del diserbante sul terreno di gioco. E allora però una domanda sorge spontanea: come può una multinazionale, che non rappresenta nulla della storia di una città come Lipsia, avere dei tifosi?

Il gruppo ultras Red Aces insieme a Zone 147 durante Paderborn vs RB Leipzig del 30.11.2019

TIFARE A LIPSIA (E DINTORNI)


La Red Bull, partendo dall’inizio, ha fin da subito introdotto la concezione di tifoso-spettatore-consumatore approfittando del Zentralstadion. Un impianto moderno, utilizzato nel 2006 in occasione dei mondiali, con importanti strutture annesse capace di attirare un vasto pubblico. Come la multinazionale ha costruito il club, così ha plasmato l’animo dei suoi tifosi: il Lipsia come premesso è un club giovane, costituito in una regione in cui la Bundesliga e le competizioni europee erano un miraggio. Per questo il pubblico non è strettamente di Lipsia, ma proviene anche e soprattutto da zone vicine (dalla città di Magdeburgo fino alla regione di Brandeburgo).

Questa frammentazione territoriale del tifo non consente una “diretta” rappresentazione identitaria all’interno della curva. D’altronde in una squadra che nasce per aumentare la visibilità del marchio Red Bull sarebbe anche difficile, e ingenuo, immaginare un legame storico e radicato.

Attualmente il gruppo organizzato più grande, e tra i più longevi, è il Bulls Club, fondato il 09/01/2009; ma ne esistono 41 riconosciuti ufficialmente, e con essi anche tanti sottogruppi. Non confondiamo però la concezione di gruppo organizzato con quella di ultras, perché a Lipsia sono due cose ben distinte. Oltre a quelli organizzati e ufficialmente riconosciuti, esiste un sottobosco di gruppi non collegati direttamente al club con politiche particolari. Tra questi ci sono i Rasenballisten, un movimento che unisce più gruppi di tifosi, mira a “sostenere la squadra, ma non la Red Bull” e tuttavia, al tempo stesso, si mantiene distante dalle dinamiche ultras.

Questo si definisce critico nei confronti della società Red Bull, e si propone di creare un’identità di un club al di là dallo sponsor. Al tempo stesso, però, sembra adottare una linea più morbida ad altri gruppi organizzati non riconosciuti: tanti slogan e pochi fatti, con prese di posizioni poco incisive nei confronti della società. C’è poi l’unico gruppo vicino al mondo ultras, i Red Aces. La storia di questo movimento si è conclusa, dopo 9 anni, due estati fa, quando i fondatori hanno deciso di sciogliere gli assi rossi: una dissoluzione avvenuta proprio per il contrasto con la Red Bull.


I Red Aces si sono scontrati ripetutamente con la dirigenza del club, che tra le altre cose non gradiva l’esibizione di striscioni a sfondo politico. Pensiamo ai fatti del 2017 quando il presidente della Red Bull Mateschitz, in un’intervista con il quotidiano austriaco Kleine Zeitung, attaccò i governi tedeschi ed austriaci per le politiche durante la crisi dei rifugiati del 2015. Parole che non furono gradite dai Red Aces i quali, durante una trasferta a Gelsenkirchen contro lo Schalke, esibirono uno striscione con su scritto:

“Il patron del club più autoritario si definisce un pluralista, che scherzo”.

Da quel momento in poi, il rapporto tra gli ultras e la società si è incrinato definitivamente, e questa ha solo aspettato il momento propizio per decimare, se non distruggere, i Red Aces: l’ultimo colpo è stato inflitto nel 2019. Durante la gara contro il Paderborn, gli ultras neroblu protestarono per le potenzialità negative dell’accordo di collaborazione tra le due squadre: la preoccupazione principale era quella che il Paderbon diventasse una succursale della Red Bull.

In quell’occasione i Red Aces accesero fumogeni e torce sugli spalti esibendosi in uno spettacolo pirotecnico, infrangendo il divieto e protestando contro il proprio stesso club. Gesto che ovviamente non fu gradito, così la proprietà del Rb Lipsia colse l’occasione per emettere dei divieti di accesso allo stadio ai singoli membri dei Red Aces. Mateschitz, dopo pochi mesi, ottenne così il risultato di eliminare gli ultras e di incoraggiare la propria idea di tifo organizzato, alieno alla critica e a qualsiasi coinvolgimento sulle decisioni societarie.

lipsia contro presidente immigrati

Ma forse c’è anche un altro fattore che ha inciso nella scomparsa dei Red Aces: il senso di appartenenza. In fondo il tifo che siamo abituati a conoscere è un culto quasi religioso, tramandato di generazione in generazione: il club delle lattine ovviamente non può vantare una simile tradizione, e anche il sostegno alla squadra ne ha risentito (i Red Aces ad esempio erano sì contro la società, ma anche totalmente isolati nel panorama del tifo nazionale e internazionale in quanto considerati “finti” ultras). 

Insomma, tra l’incudine di una proprietà multinazionale e il martello di un ideale di tifo che però li respingeva in quanto corpo estraneo, i Red Aces hanno pagato una contraddizione vissuta fin dalla propria nascita.

La parola fine, quindi, è stata posta solo alla storia dei Red Aces: altri gruppi “ultras”, seppur di minuscole dimensioni (tra i 10 e i 40 membri) stanno nascendo, pronti a prendersi la Red Bull Arena e ad inaugurare un nuovo modello di tifosi. In un calcio che sta cercando di eliminare tutti i fattori di identità e radicatezza, d’altronde, gli ultras made in Red Bull non possono neanche stupirci più di tanto.

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