La vita di Saúl Ñíguez è un diario pieno di dolore, rivincite e finali perse. A 22 anni però sembra già pronto per aggiungere pagine nuove e decisive alla sua carriera.
“Non provo dolore, non provo dolore, non provo dolore”. Chissà quante volte Saúl si sarà ripetuto dentro di sé questa frase, mentre si sfilava gli scarpini o mentre era lì fermo a guardare gli altri giocare, perché il suo fisico non glielo consentiva, mentre la sua testa era pronta: era il più pronto di tutti. Saúl Ñíguez Esclápez nasce nel 1994 ad Elche – comune di 230mila abitanti nella Comunità Valenciana – e cresce in una famiglia dove il calcio si respira in ogni sua sfumatura. Il padre Boria infatti è un ex attaccante dell’Elche, mentre i suoi due fratelli giocano sparsi in giro per l’Europa, con fortune alterne. Saúl nel 2006 ha undici anni, un fisico da bambino e degli amici che frequentano ancora le scuole medie. Ma di testa è il più pronto di tutti, sin da subito, e capisce che il suo futuro sarà altrove. In quell’anno infatti viene scelto per giocare nelle giovanili del Real Madrid dove rimane fino al 2008 quando, compiuti i tredici anni, inizia a pronunciare per la prima volta questa frase: “non provo dolore, non provo dolore, non provo dolore”. Tante infatti le difficoltà a Valedebas, la cantera del Real, luogo di bullismo e prevaricazione per il giovane Saúl che veniva spesso derubato delle scarpe o del cibo, senza possibilità alcuna di farsi valere. Addirittura venne accusato e sospeso per infrazioni non sue e, come se non bastasse, diventò inconsapevole protagonista di una finta lettera nella quale si confessava all’allenatore costituendosi. Eppure il giovane Saúl non ci sta, segna in rosso il nome Real Madrid nel suo personale taccuino delle momentanee sconfitte e aggiunge vicino una citazione: “Il dolore non si può evitare, ma la sofferenza è una scelta”. E così ebbe il coraggio di lasciare e passare ai rivali, l’ambiente perfetto per il carattere di Saúl, alla ricerca di un altro tipo di dolore: quello che trova le sue radici nel duro lavoro e nel sacrificio. “Ero solo un ragazzino, non potevo convivere con questi problemi”. Dopo due anni si allena già al fianco della prima squadra, preparandosi allo storico esordio contro il Besiktas, l’8 Marzo 2012, diventando così il giocatore più giovane ad esordire in Europa con la maglia dei colchoneros. Saúl ha soltanto 17 anni e 108 giorni, eppure la sua testa era pronta. Era il più pronto di tutti. Quell’anno conquisterà anche l’Europa League eppure il vero obiettivo è un altro: una coppa europea sì, ma quella dalle grandi orecchie. E’ il Febbraio del 2015 e Saúl sta giocando proprio in Champions League, quando a pochi minuti dall’intervallo si lancia per riconquistare un pallone vagante e impatta contro il corpo tarchiato di Kyriakos Papadopoulos.
Saúl rimane a terra e, tenendosi con una mano il fianco, prova quel dolore fisico che mai l’ha davvero spaventato. Viene subito soccorso ed esce fuori dal rettangolo di gioco sulle sue gambe, non riuscendo però a trattenere il vomito che rende il suo cammino verso spogliatoio un sentiero buio e tortuoso. Si ferma, poi riparte. Vomita, riparte e si ferma di nuovo. Ad attenderlo fortunatamente c’è un’ambulanza che lo trasporterà diretto in ospedale, dove arriva la diagnosi: trauma renale con ematoma. “Ho visto mio padre piangere, allora ho smesso di stare male perché volevo rassicurarlo”. Non provo dolore, non provo dolore, non provo dolore. Saúl si rivolge così al padre:
“Papà sono un toro, posso sopravvivere a questo e a molto altro”
Quello che sembrava un incubo – guardare i compagni allenarsi mentre addirittura si è costretti a temere per la propria salute – dura appena sei settimane, contro ogni umano pronostico. Tifosi, stampa e addetti ai lavori iniziarono a porsi delle domande: com’era stato possibile un recupero del genere, forse l’infortunio non era così grave come descritto? La risposta è ben più semplice: Saúl doveva solo riprendersi dal brutto spavento di quella notte, e dopo sei settimane la sua testa era già pronta per tornare in campo. Era il più pronto di tutti. Eppure il fisico no; si scoprirà infatti che i successivi due anni il madrileno aveva giocato con un catetere interno che lo costringeva ad urinare sangue durante ogni allenamento ed ogni partita ufficiale.
“Ho messo a rischio la mia salute per vestire questi colori, per rimanere ancorato a questo sogno, non potevo perdere il posto”
https://www.youtube.com/watch?v=zP9P8q82Phg
Due anni dopo Saùl torna alla BayArena di Leverkusen nel migliore dei modi…
Passano due anni, anche il dolore fisico è sparito, niente più catetere, ed è allora che Saúl può tornare indietro e prendersi la sua personale rivincita. “Mi sono sentito sollevato. Mi sono liberato di un peso e la paura è scomparsa. E’ stata una emozione segnare lì: sono tornato nel luogo in cui sarei dovuto precipitare.” Il gol è una assoluta perla, che sblocca la gara. Il cerchio si chiude, Saúl è tornato più forte di prima, come protagonista di quella coppa europea che nella sua mente costituisce forma dei suoi desideri, sotto ai quali ha nascosto ogni dolore o lamento. Eppure il taccuino delle momentanee sconfitte ancora grida vendetta, ancora grida Real Madrid. Nella stagione 2013/14 la rivincita è sfumata: Saúl è in prestito al Rayo mentre i colchoneros giocano la finale (poi persa ai tempi supplementari) contro i rivali cittadini. Nel 2015 invece lui c’è, ha una maglia da titolare e diventa protagonista del derby vinto per 4-0 nel quale l’Atletico letteralmente asfalta per novanta minuti gli uomini di Ancelotti, che a fine partita dichiarerà: “Ho vissuto la peggiore giornata da quando alleno il Real”.
Rovesciata a chiudere una perfetta azione di contropiede: tecnica, talento, coraggio e spirito da gregario. C’è tutto Saul in questa piccola rivincita. Quindi, che giocatore è Saúl Ñíguez? E’ un centrocampista che può giocare in ogni posizione, il tanto inflazionato termine di tuttocampista infatti gli calza a pennello, permettendogli di adattarsi anche a diversi moduli di gioco. Nel 4-3-3 predilige il ruolo di mezzala, mentre a quattro può giocare sia da mediano che – come lo utilizza Simeone – da esterno destro (a piede quindi invertito). Giocando da esterno preferisce venire dentro al campo, mai però in maniera invasiva, mai a discapito dei movimenti dei suoi compagni di reparto. Muoversi costantemente con e per la squadra: un perfetto figlio del Cholismo. Dall’alto del suo metro e ottantasette non ha paura di far valere il proprio fisico e può difendere di posizione scontrandosi contro ogni tipo di avversario senza sfigurare, ma ancora meglio rende se il duello è palla al piede. Saúl infatti nonostante la stazza ha grandi doti tecniche ed un ottimo dribbling nello stretto che lo aiuta spesso a cacciarsi fuori da situazioni complicate, nelle quali non può certo contare sullo scatto o sullo spunto in velocità. Eppure la sua grandezza sta tutta qua: freddezza e tempi di gioco. Una delle sue altre caratteristiche migliori (nonché fondamentali per il suo allenatore) è quella di saper accompagnare la squadra durante le ripartenze grazie ad una eccelsa abilità nel difendere la palla per poi farla girare con sapienza, senza mai buttare via il possesso, neanche sotto pressione. Non sembra avere quindi una caratteristica dominante, ma anzi dà spesso l’impressione di aver assimilato ogni tipo di lezione passatagli sotto agli occhi, divenendo così un tuttofare moderno e raro. In un periodo storico in cui i numeri dieci sono spariti e i giocatori offensivi si riassumono nello stereotipo delle ali dal tiro a giro, trovare un numero 8 elegante ma con garra è un piccolo tesoro da coltivare, senza mai sottovalutare la sua più grande qualità: è un ‘94 ma di testa è già pronto. E’ sempre stato il più pronto di tutti. Duttilità e mentalità vincente: nelle due semifinali di Champions giocate fin qui in carriera ha realizzato due gol, contro Bayern Monaco e Real Madrid, partendo rispettivamente da esterno di destra e da mediano.
Un autentico capolavoro pesante come un macigno, decisivo per l’approdo in finale dei Colchoneros
Dopo il fantastico gol contro i bavaresi è arrivato ad un passo dalla coppa, perdendo (di nuovo) contro il Real Madrid di Zidane, ennesimo segno rosso sul taccuino delle sconfitte e dei conti in sospeso. Nel frattempo è uscito sconfitto anche da un’altra finale, questa volta con la maglia della nazionale Under 21, agli europei del 2017, dovendosi arrendere ad una Germania in pieno controllo della gara per tutti i novanta minuti. Altra coppa sfumata ma personale golden boot da aggiungere alla bacheca. Questo ad oggi è Saúl Ñíguez, protagonista di una tripletta contro l’Italia – quasi sembrasse un adulto in mezzo a dei ragazzini – e fresco di rinnovo con l’Atletico Madrid. Nel 2026 avrà 31 anni e chissà quante nuove lezioni avrà imparato. Chissà se davvero, Saúl, un giorno tutto questo dolore ti sarà utile.
Molti calciatori esistono solo nella memoria dei social, e altri hanno visto la loro immagine stravolta da nuove dinamiche contemporanee. Attenzione però a dare le colpe al nuovo mezzo.