Un finale non degno di un'epopea sportiva senza precedenti.
Un re nella polvere. Nove mesi fa la tribù del calcio celebrava Claudio Ranieri come una sorta di sciamano. Il “miracolo” che aveva compiuto guidando una ventina di non eccelsi calciatori alla conquista della Premier League lasciò attoniti ed ammirati estimatori (pochi) e scettici (quasi tutti in Inghilterra e fuori). In meno di un anno il patrimonio di credibilità del Leicester è stato misteriosamente dilapidato. Ranieri è stato messo alla porta. Rinnegato dal suo presidente, un thailandese che comprando la società credeva di aver fatto un affare a buon prezzo; disprezzato dai suoi giocatori, modesti travet da Championship; abbandonato dai pochi più dotati venduti a peso d’oro, cosa rimaneva a Ranieri fin dopo le prime sconfitte subite non certo per colpa sua?
Il rimpianto di non essersene andato dopo la vittoria inaspettata. Ma il vecchio signore che ha attraversato tutti i gironi dell’inferno calcistico non è sensibile ai soldi come molti altri. La dignità ha imparato a coltivarla al Testaccio e su campi polverosi circondati da gradinate ingrate. Sublimi vagheggiamenti al Vigor Lamezia e al Campania Puteolana. La gloria appena sfiorata al Napoli, al Valencia, al Chelsea, alla Juventus, alla Roma, all’Inter. Caduto, ma sempre con onore. Si è rialzato quando nessuno gli tendeva la mano, tranne che per comprare i suoi servigi per disperazione o, talvolta, speranza da parte di dirigenti galantuomini (pochi). Le vittorie più belle? Lontano dal gran mondo, laddove il football è una religione. Dal Cagliari in Serie C al Leicester “non pervenuto”, fino a quando gli inglesi non spalancarono i loro occhi increduli su un fenomeno senza precedenti nella storia del calcio isolano e rarissimo in quello continentale.
La vita agra di Ranieri, segnata da sorrisi amari, è un pellegrinaggio lungo quanto un sogno. Ed i sogni finiscono sempre quando iniziano. Lo sa l’Esonerato. Non ne fa un dramma. Non ha dovuto aspettare molto per sapere che la sua avventura sarebbe terminata prima di quando i soliti esperti pronosticavano. Questo calcio non è il suo, dopotutto. Il calcio è fatto di attese. Inutile farsi illusioni. Chi non ha pazienza è destinato a soccombere. Il genio può dare l’impressione dell’invincibilità, ma resta un’impressione. Il Maestro Zdenek Zeman lo sperimenta da sempre: a settant’anni ha ancora voglia di insegnare il calcio e domare un circo impazzito con la sua ironia: “E’ solo una partita di calcio“, dice ai suoi ragazzi prima di scendere in campo. Ranieri non sappiamo che cosa dice, ma ai milionari del Leicester, aspiranti fino ad un anno fa a resistere all’usura del tempo, o ad offrire non esaltanti testimonianze – come quel tale Vardy, campione a sua insaputa perché l’allenatore italiano gli ha insegnato come si fa il centravanti – certamente non ha offerto illusioni da spendere al mercato della gloria effimera, come ha creduto Kanté aggregatosi alla corte di Conte.
Ha offerto a tutti la sua signorile discrezione, la sua cultura calcistica, il suo volto segnato dal lungo cammino per mezza Europa e l’allegria che sapeva comunicare fino a contagiare ragazzi che vincevano contro tutti (o quasi) come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non era abbastanza, evidentemente. L’essere arrivato agli Ottavi di Champions League, con una formazione depauperata e divisa (non sapremo mai i motivi dei malumori scoppiati nello spogliatoio): neppure questo era abbastanza per la dirigenza e per gli stessi calciatori. Cinque sconfitte pesano. Ma si può rimediare. E per chi ha vinto un campionato che resterà nella storia – Ancelotti e Mancini hanno ottenuto lo stesso risultato, ma con squadre blasonate difronte alle quali il Leicester semplicemente non esisteva – dovrebbe essere prevista una clausola di salvaguardia se il successivo torneo dovesse andare male: farglielo terminare.
I thailandesi hanno fretta, come tutti nel mondo impazzito del football che parla cinese ed arabo nella borse di Wall Street e della City. Gli sponsor scappano. I diritti televisivi sono in pericolo. I campioni rischiano di essere dimenticati. La gente si allontana. Che cada il re e, se del caso, gli si mozzi la testa: il principio è questo, ma anche la fine. Ha dimenticato come si allena, come si costruisce uno schema, quali accorgimenti adottare? Macché!
King Claudio ha perduto la sua corte senza neppure la soddisfazione di vedere come sarebbe andata a finire. Manca un bel po’ alla fine del campionato: ci si può salvare ancora. Forse. Se accadrà diranno che sarà stato merito del nuovo allenatore (Mancini?). Se non accadrà la colpa ricadrà soltanto sul re decaduto. Il calcio è una festa crudele. Non imbellettiamolo più di quanto meriti. Ci si esalta la sera della battaglia vinta, ci si deprime nel giorno della sconfitta. Ma Ranieri che c’entra? Già, che c’entra? Comandava una piccola armata, gli dèi non l’hanno assistito; gli umani gli hanno tolto i guerrieri migliori e non li hanno rimpiazzati neppure con i soliti mercenari a fine carriera. L’arena attende comunque l’apparizione del prossimo sciamano. Il Leicester continuerà a sognare nei prossimi anni, ma quel profumo italiano che l’ha inebriato svanirà più in fretta di quanto ci ha messo per stordire tifosi increduli e pazienti. I soldi della King Power di Bangkok non possono dormire, diceva il cinico Gekko; se dormono si perdono.
“When football was football and footballers were men“. Come i calciatori del Regno Unito nel primo conflitto mondiale abbandonarono i campi da gioco per arruolarsi nell'esercito di Sua Maestà.