Valentino Rossi non si è ritirato e non si ritirerà mai, semplicemente perché non ci si può ritirare da sé stessi.
L’annuncio del ritiro dalla MotoGP è stato un atto talmente formale, semplice e (quasi) insignificante rispetto alla vita di Valentino Rossi, da essere una non-notizia, anzi di più, un non-fatto. Qui non si sta parlando di un pilota, ma di un uomo che attraverso il rombo del motore ha incarnato uno spirito. E che continuerà a farlo. “Immaterialità!”, come direbbe Carmelo Bene. La sua guida ha bucato ogni linguaggio, il suo genio ha folgorato tutte le persone che l’hanno visto all’opera e d’ora in avanti smetterà solo di rivelarsi in una forma per assumerne altre. Valentino Rossi non si è ritirato e non si ritirerà mai, semplicemente perché non ci si può ritirare da se stessi.
Per parlare dei grandi come Valentino Rossi non ci sarebbe miglior modo che tacere e lasciar fare a loro, ai loro gesti e alla loro memoria. Possiamo dire che ci siamo divertiti, certo. Si sono divertiti in milioni, migliaia di volte. Ci siamo emozionati, abbiamo sentito il fuoco dentro grazie a lui, abbiamo visto accadere cose nemmeno pensabili fino all’attimo prima.
Un popolo, nel tempo sempre più numeroso, ha assistito al suo spettacolo teatrale al limite tra la vita e la morte, al di là del bene e del male. Con il suo talento è riuscito a piegare la natura, a far innamorare e appassionare al motociclismo le mamme, le nonne e le fidanzate, mettendo in discussione lo spirito femminile, la maternità che mai potrebbe desiderare quel pericoloso destino per un figlio.
E’ stato divertimento, sì, e lo sarà. Ma in modo indubbiamente diverso per lui, come ogni artista che si rispetti, perchè di quel divertimento ne ha fatto vita, quotidianità, pensiero e azione, non togliendosi mai però lo stupore, l’incanto della prima volta. In sintonia con Gabriele D’Annunzio, secondo il quale “bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui.”
Passerà alle automobili, alle corse Gran Turismo a quattro ruote, tra Le Mans e Nurburgring, forse anche ai rally, Montecarlo, il Safari, forse la Dakar. In ogni caso, non ci saranno i risultati sportivi che ci sono stati con le moto, chi lo sa, ma proprio perchè ora prosegue a prescindere dai risultati, il motorsport è per lui un campo libero.
Valentino Rossi è pilota o non è, lo ha detto lui stesso con quel “io sarò pilota per sempre”. Una frase semplice ma rivelatrice di profonda conoscenza di sé.
Non sappiamo se si sia mai stato al Tempio di Apollo, ma la grandezza sta proprio qui: essere convintamente sé stesso e con ciò aver reso un’attività fanciullesca, pericolosa, inutile, snobbata dai salotti “buoni”, un’attività straordinariamente dignitosa, riconosciuta e identitaria. Rappresenta quel percorso storico, antropologico e culturale della contemporaneità, che ha portato gli sportivi ad essere considerati per quello che sono, dei veri e propri artisti.
Umano dal genio eterno. Che fosse umano, lo dimostrò forse per la prima volta a Valencia 2006, quando nell’ultimo Gran Premio della stagione il divino Valentino non riuscì a compiere il suo ennesimo miracolo e cadde dalla sella della sua Yamaha gialla. Che sia un umano lo si è potuto confermare nel secondo decennio del 2000, fino ad arrivare al 2021. E lui che umano ha sempre saputo di essere, ha capito che il corpo non può resistere al tempo, allo scorrere delle cose, e ha deciso sì di ritirarsi dalle corse con le moto, consapevole che il sovrumano che c’è in lui resterà in eterno.