«Ammesso pure che noi vogliamo la verità: ma perché non piuttosto la non verità? o l’incertezza? o persino l’ignoranza? Ci si è fatto innanzi il problema del valore della verità – o forse siamo andati noi in cerca di tale problema?». Con queste righe visionarie, scritte nel 1886 in “Al di là del bene e del male”, Nietzsche poneva una questione profonda che avrebbe tenuto in scacco la società occidentale moderna e contemporanea: la volontà di verità. Nelle nostre vite noi ricerchiamo sempre la verità, in ogni contesto e in qualsivoglia circostanza. Se però l’ansia di verità è decisiva in ambito scientifico, non è altrettanto necessaria in campi differenti come ad esempio quello letterario, artistico, cinematografico.
Che ci importa se i personaggi di un libro sono reali, o se la Gioconda rappresenta davvero Lisa Gherardini? Assolutamente nulla. Noi però siamo da sempre portati a pensare che la parola verità debba andare di pari passo con la parola giustizia: se una cosa è vera è giusta, se è falsa è sbagliata. Così accade anche nel mondo del calcio in cui la volontà di verità, incoraggiata dalla tecnologia e dalla scienza contemporanea, si identifica con una volontà di giustizia. Da qui la necessità e quindi l’introduzione del VAR.
Oggi però, mentre tutti rimpiangiamo Maradona e la sua dimensione ultraterrena già in terra, ci chiediamo a chi serva la verità.
E immaginiamo cosa ne sarebbe stato di quell’Argentina-Inghilterra 1986 con la sua compare tecnologia, che tutto vede e tutto sa: con “l’aiuto” del VAR forse l’Argentina non avrebbe vinto il mondiale; Maradona non avrebbe messo a segno nella stessa partita i due gol più iconici del ‘900, e magari a passare sarebbero stati gli Inglesi, visto che al manifestarsi della Mano de Dios la partita era ancora sullo 0-0. Nessun mito di popolo, nessun sacro mischiato col profano, nessuna epica e leggenda. Niente vendetta per le Malvinas né rivincita dei deboli i quali, con un genio anarchico che è solo sudamericano e mediterraneo, fottono i forti davanti al mondo.
A chi sarebbe servita allora la verità? Solo agli Inglesi, Dio li stramaledica, che oggi titolano sul Daily Star: “Where was VAR when we needed it most?” Se il calcio può trascendere il campo, se addirittura diventa epica, arte o poesia, che ce ne facciamo della verità? Certo il VAR nasce anche come tutela degli ultimi nei confronti dell’arroganza e dell’influenza dei potenti (vi ricordate come l’Irlanda venne eliminata alle qualificazioni mondiali dalla Francia?), ma non sarebbe meglio in quel caso accanirci sui conflitti d’interesse in seno alla FIFA e alle Federazioni piuttosto che su un rigore dubbio o su una palla sospetta?
Ma che ne sanno gli Inglesi, poveri di spirito e di sogni.
Che poi questa vuole essere solo una riflessione: non pensate che da domani andremo a spaccare i computer a martellate come faceva il primo Beppe Grillo (sicuramente migliore di quello attuale). Le opinioni però sono mutevoli e non vivono di solo calcolo razionale, ma anche di estetica ed irrazionalità. A quanto siamo disposti a rinunciare per la verità? Barattiamo l’epica per la giustizia, vigliaccamente, e arriviamo fino al punto di interrompere quell’orgasmo quasi divino al gol della nostra squadra, di strozzarci in gola l’urlo liberatorio, l’abbraccio e l’estasi in attesa che una macchina ci dica se e quando poter esultare.
Per avere il controllo abbiamo voltato le spalle al mistero, animali addomesticati che altro non siamo. E allora potremmo trovare duecento ragioni, razionalmente, per giustificare l’introduzione del VAR come conquista necessaria. E avremmo pure ragione, diremmo anche la verità. Ma qui lo ripetiamo, con Nietzsche e Maradona ma contro lo spirito del tempo: chissenefrega della verità! E anzi sapete che c’è, potremmo dirlo addirittura con il primo Grillo: perdonateci di cuore il turpiloquio, ma Vaffanculo, alla verità.
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