È una notte di tempesta quella del 19 Maggio 1995 alla tenuta di Zenzalino, località del ferrarese così chiamata per via dei cinghiali che scorrazzavano nel territorio prima della bonifica dei terreni paludosi. Vento, tuoni, fulmini. Alessandro Rondini, capo squadra del centro di allevamento di Zenzalino, si accorge che una cavalla è in pieno travaglio. Si tratta della fattrice Ialmaz, e le cose buttano male.
«Ialmaz era pronta, ma vedevo che non stava bene, si sdraiava spesso a terra. Non era normale. A mezzanotte spuntò un anteriore del puledro, l’altro no. Chiamai il veterinario, che stava a Rimini, a due ore di auto. Capii che non c’era tempo, avrei dovuto pensarci io. Eseguii ciò che mi veniva dettato con la cornetta del telefono all’orecchio. Feci rientrare la gamba e la ritirai fuori assieme all’altra, permettendo così al muso di venire al mondo. Fu una notte indimenticabile».
Sandro Viani, il proprietario dell’allevamento, decide di chiamare il puledro Varenne in onore della via dell’ambasciata italiana a Parigi. Non nasce con le stigmate del predestinato: se il padre, Waikiki Beach, è uno stallone americano che in un anno sforna cento puledri di media qualità, Ialmaz non è nulla più che una discreta fattrice italiana di ascendenza francese, non ci si aspetta che generi un campione. Fa parte di un lotto di sei fattrici che Viani possiede in comproprietà con il francese Jean Pierre Dubois, ma le visioni dell’allevatore italiano sono determinanti:
«I cavalli francesi hanno più potenza, quelli americani sono più agili di gambe, più sciolti. Nei miei cavalli quindi c’è sempre 1/8 di sangue francese, come nel caso di Varenne».
Ma Viani fa il modesto: «Perché Varenne è nato proprio qui? Potrei dire tante cose: che è il frutto di trent’anni di lavoro, o di una perfetta teoria di incroci. Mentirei. Io credo che Zenzalino sia un allevamento all’avanguardia, ma Varenne è la più grande eccezione della storia. Sarebbe potuto capitare anche in una cascina qui vicino, dove un contadino ha una fattrice che ogni tanto riesce a partorire un puledro». Che però non incanta affatto. Tanto che a Dubois bastano 60 milioni di lire per rilevare l’altra metà dei sei puledri delle fattrici in comproprietà.
All’età di sei mesi li porta tutti in Normandia. Rimpianti per non averlo tenuto però, Viani non ne ha. «Allevo per vendere, non posso permettermi di essere anche un proprietario. Tengo solo le femmine, come future fattrici. Ho un allevamento da mandare avanti, non posso affezionarmi». Eppure avrebbe un’altra occasione. Nell’inverno del 1997 va in Normandia a trovare Dubois assieme a Guzzinati, il driver di tanti campioni nati a Zenzalino. Si fermano davanti a un paddock. Vedono un puledro tutto sporco di fango, la schiena coperta da una copertina stracciata, un’aria molto dimessa.
Il cavallino si gira verso di loro, fissandoli con uno sguardo carico di malinconia. Passa un uomo di scuderia e urla con sarcasmo: «Monsieur Sandrò, monsieur Sandrò, lo compri, viene via per pochi soldi». Viani ricorda a denti stretti che «Io e Guzzinati ci guardammo con un cenno d’intesa come per dire: “Non siamo mica matti”.Vi risparmio il nome di quel cavallo». Ma c’è un problema molto più serio dell’aspetto. Gli viene diagnosticato un micro distaccamento osseo ad una zampa, un grave guaio per un purosangue destinato alle corse.
Dubois lo mette nella lista dei cavalli da mandare al mattatoio.
Viani non l’avrà comprato, ma da buon “padre”, insiste, e convince Dubois a risparmiarlo e a dargli una possibilità. Dopo sei mesi passati ingessato in un box, per lui è tempo di andare nella Maremma di Bolgheri, la culla dei pregiati supertuscan, i vini rossi di taglio bordolese che in quegli anni iniziavano l’assalto alle tavole più esigenti del mondo. Si aprono le porte dell’ippodromo. Il 6 Aprile 1998 ha inizio la sua carriera, al Premio Primavalle di Bologna. È un trottatore, e le gare di trotto sono quelle che in Italia vanno di più, passione condivisa con Francia e Svezia.
Varenne, tradito dal nervosismo, scatta al galoppo e viene squalificato. Il driver, dopo averlo fermato facendo passare avanti gli altri cavalli, decide di completare comunque la corsa, e Varenne fa capire di che pasta è fatto terminando vicino al vincitore dopo un recupero di oltre 40 metri di svantaggio. Un puledro così non passa inosservato, e si scatena la bagarre per accaparrarselo. Dubois vuole 150 milioni. Un competente fantino romano, Giampaolo Minnucci, va a vederlo assieme all’allenatore finlandese Jori Turja. Rimangono impressionati.
Sanno a chi proporlo, si rivolgono a Enzo Giordano, imprenditore napoletano da sempre appassionato di cavalli, anche se tra i molti che l’hanno notato c’è anche il veneto Pietro Bezzecchi, che ha quasi completato l’acquisto. Ma c’è un inghippo: un controllo radiografico svela un ossicino vicino alla cartilagine, in gergo un chip. Sono cose che possono quasi azzerare il valore di un cavallo da corsa, Bezzecchi è prudente e rinuncia al cavallo. Minnucci capisce che è la sua grande occasione, pressa Giordano, che pur non avendolo ancora visto correre lo compra sulla parola.
Il 30 aprile 1998 Giordano a Napoli ha in programma il suo matrimonio, quello però è anche il giorno in cui il suo nuovo acquisto va in scena all’ippodromo romano di Tordivalle. Partenza alle 14.30, un minuto e 15 secondi dopo Varenne taglia il traguardo staccando nettamente il resto del gruppo. «Capii che forse avevo fatto la fortuna della mia vita» ricorda con commozione Giordano. Si conferma stravincendo il Premio Stabile ad Aversa. Poi il Premio Nazionale di Milano, dopo il derby, la corsa più importante per un cavallo.
È la prima vera grande sfida di Varenne, che si trova davanti Viking Kronos, ovvero un campione abituato a vincere con almeno un secondo di stacco. E Viking non sbaglia mentre Varenne, affaticato dai postumi di un’influenza, deve accontentarsi della seconda posizione. Il driver di Kronos, Lutfi Kolgjini, poco prima del traguardo si gira verso Varenne e Minnucci facendo loro segno con la mano di affrettarsi. Un affronto che non sarà dimenticato, né da Varenne, né dal trentenne fantino romano. Dopo la vittoria del Premio Marangoni, arriva l’atteso derby. La corsa più importante in assoluto per i cavalli di tre anni.
«Per il cavallo è una corsa che vale una vita» sentenzia Minnucci.
A San Siro, l’11 Ottobre 1998, l’atmosfera è elettrica. Tutti sanno che sarà una corsa a due, non tra due cavalli semplicemente veloci, ma tra due fuoriclasse. Varenne scatta dopo la prima curva, inseguito da Viking, andatura costante, rapida, nobile, sicura. All’inizio dell’ultimo giro rallenta un attimo, poi prima dell’ultima curva fa un allungo strepitoso, un allungo che Kronos non ha nelle gambe. Varenne s’invola sul rettilineo finale, Kronos scivola al quarto posto. Minnucci non ci vede più, prende rischiosamente le redini con una sola mano e si gira a cercare il rivale Kolgjini, sbeffeggiandolo, rimandando al mittente gli scherni subiti al Nazionale.
È il primo grande trionfo, la nascita di qualcosa di speciale, ma come spesso avviene nei momenti di passaggio, la stampa si focalizza sulla caduta del mito di Viking Kronos più che sull’emersione dell’astro nascente. Al Settembre ’99 Varenne ha dalla sua già 16 vittorie in gran premi vari, spiccano il Triossi e il Continentale. Ma l’appuntamento che tutta l’ippica italiana aspetta con trepidazione è il Gran Premio delle Nazioni, dominato nelle ultime due edizioni da Moni Maker, la regina del trotto mondiale. Parliamo di un cavallo elegantissimo, perfettamente consapevole di essere una spanna sopra gli altri. Limitarsi a giudicare i cinque milioni di premi guadagnati in carriera non renderebbe giustizia alla nobiltà del suo trotto.
Minnucci vorrebbe scappare davanti per poi dettare le regole della corsa. Moni Maker però è una campionessa, e non si fa passare. Agli ultimi 600 metri Varenne prova il tutto per tutto, e si lancia al fianco di Moni per passarla esternamente. Ci riesce. Gli ultimi 250 metri sono pura dimostrazione della classe immensa di Varenne che sicuro, veloce, etereo, va a tagliare il traguardo per primo facendo impazzire San Siro. A differenza che con Kolgjini, c’è una bella stretta di mano tra Minnucci e Wally Hennessey, fantino di Moni Maker. L’Italia del trotto è in visibilio, ora non ci sono più dubbi, è Varenne il cavallo da battere.
È un fenomeno, certo, ma è anche un cavallo fortunato. Dietro al Capitano, ora così chiamato in onore di Franco Baresi, c’è un team competente, amorevole, performante. Dal proprietario Giordano, che lo ama come un figlio, al driver Minnucci con cui c’è totale sintonia, dall’allenatore Turja alle non meno importanti cure della stalliera finlandese Iina Rastas, che per lui ha lasciato la Finlandia e l’università. Iina parla a Varenne sia in finlandese che in italiano, Minnucci giura che
«capiva benissimo entrambe le lingue. Quando gli serviva di capire capiva, quando non gli serviva, non capiva. Quando un cavallo capisce due lingue, lascio a voi discutere sulla sua intelligenza».
Va a Parigi e pochi giorni prima di capodanno vince il Prix di Hémard, la prova generale del celebre Prix d’Amérique del mese seguente. L’Amérique, così chiamato in riconoscenza agli aiuti statunitensi durante la prima guerra mondiale, è la corsa di trotto più famosa e ambita del mondo. 2700 metri, un milione il montepremi, la metà al vincitore e il resto a spartire tra i primi sette. Il rivale è il padrone di casa, il celebre Général du Pommeau. Varenne è nervoso e parte tra gli ultimi, prova a rimontare ma non ci riesce, finisce terzo. Il Generale batte il Capitano. Una battuta d’arresto che però non frena l’entusiasmo di Varenne e del suo team, ora focalizzati sul Lotteria di Agnano.
Non è una corsa qualsiasi per Giordano, che va a quella corsa dall’età di cinque anni. Varenne vince in scioltezza, procurando un malore al suo proprietario, che viene ricoverato in ospedale, lasciandogli il più grande rimpianto della sua carriera, non poter festeggiare con gli amici la vittoria nel gran premio di casa. C’è poi da preparare l’Elitloppet di Stoccolma, ma per festeggiare occorre mettersi alle spalle Victory Tilly. Varenne stecca, e in Svezia finisce quinto. Del resto, da buon italiano ha un vizio comune a buona parte di noi: per dare il meglio ha bisogno di essere messo alle strette.
«È un “cavallo compagnone”, per andare al massimo spesso ha bisogno di essere affiancato, spronato da un altro cavallo. E può essere molto rischioso» ricorda Minnucci.
Però ormai è una star, e fa gola a tutti. Giordano è orgoglioso di averlo ed è fiero sia una storia tutta italiana: «Quando Varenne vinceva, pensavo prima a loro. Non pensavo né al cavallo né a Giampaolo, correvo prima verso i tifosi» ma non sa per quanto tempo potrà tenere a bada potenziali acquirenti. Nel Maggio 2000 la Snai ne acquista il 50%, garantendo la sua italianità fino alla fine della carriera. È un’operazione che si fa anche per il grande pubblico, per creare attorno a lui un marchio e renderlo pop.
Anche Candido Cannavò, direttore della Gazzetta, fiuta il personaggio e scommette sul Capitano, garantendo adeguata copertura alle sue imprese con titoloni in prima pagina.
Fare quadrato attorno una nostra eccellenza oggi pare impossibile, ma quella a cavallo tra i due millenni è un’Italia ottimista, a tratti spavalda, berlusconiana, fieramente ostentatrice. Il calcio italiano è il più ricco e vincente del mondo, la Ferrari trionfa con Schumacher. I più accorti intravedono i segni del decadimento socio/morale nazionale, ma non c’è molto da dire: guerre (eccetto quelle jugoslave, che si fa sempre finta di non vedere), pandemie, crisi finanziarie, sono tutte cose lontanissime, la convinzione generale è che il futuro sarà perfino di gran lunga migliore del presente.
Varenne incarna alla perfezione quello spirito, e festeggia il Giubileo del 2000 tagliando il traguardo davanti al Generale sotto gli applausi scroscianti dei 15.000 di Tordivalle. È l’ultima prova prima del grande appuntamento francese. Il 28 Gennaio 2001 all’ippodromo di Vincennes la banda sfila circondata da majorette. È un tripudio di italianità. Bandiere tricolore ovunque, oltre seimila italiani, coordinati dalla sapiente regia della Snai, attendono il loro Capitano. Stavolta Varenne è favorito, la gloria è là, alla fine di quei 2700 metri.
È dal ’47 che un cavallo italiano non vince l’Amérique. Una logorante attesa che finisce quel giorno.
Il Capitano trionfa, e con lui l’Italia intera. I tricolori sventolano al cielo di Parigi. «Facemmo festa con oltre trecento invitati in due ristoranti parigini. Ma avrei voluto invitare tutti quei seimila italiani» ricorda commosso Giordano. Il giorno seguente la Gazzetta titola a nove colonne “MAGNIFIQUE!”.La Storia si è compiuta. Ma il Capitano non si ferma, rivince il Lotteria e prepara l’unica gara che manca ancora al suo grande slam personale, l’Elitloppet. L’avversario è temibile, Victory Tilly è guidato da Joansson, detto iceman, «un fantino da 20.000 vittorie in carriera, una leggenda. Può passare un anno prima che ti rivolga la parola. Là era di casa, conosceva molto bene la pista e anche Varenne» spiega Minnucci.
Il Capitano parte dietro, poi va sull’esterno. È una gara bellissima, i due staccano tutti. Varenne resta attaccato a Victory, se lo lavora, poi lo passa con una volata mozzafiato sul rettilineo finale. È il marchio definitivo: è il migliore del mondo. I 35.000 svedesi sugli spalti si sciolgono in un applauso a scena aperta. Probabilmente, la vittoria più bella, perché contro il rivale più ostico. Joansson, dopo la corsa, si complimenta con Minnucci. L’ippica mondiale insiste, vuole che voli in America per la Breeders Crown, all’ippodromo di Meadowlands, New Jersey.
Le incognite sono molte, è la prima volta che Varenne prende l’aereo, a New York ci sono oltre 40 gradi e il caldo a lui non piace per niente, e soprattutto c’è una pista da 1006, una misura che in Italia non esiste, che implica una tattica di corsa diversa. Si rischia la figuraccia. Ma la notte prima della corsa piove molto e la temperatura cala di 10 gradi. Gli Italoamericani sono tantissimi, con tricolore al seguito e tanta speranza. Fermano Giordano: «paisà, davvero possiamo battere gli americani?» Durante la sgambatura si capisce che quel giorno Varenne ha voglia di correre. Eccome se ne ha.
Stacca tutti, e Minnucci fa gli ultimi 100 metri girato verso il tabellone per capire se sarà record. Così va, record del mondo tra le orgogliose lacrime di gioia di tanti italoamericani, mai così fieri della loro madrepatria. Una vittoria che per Minnucci segna anche un cambio di mentalità nel mondo ippico «eravamo sempre noi a comprare cavalli in America, ora sono loro che vengono da noi. Da incudine diventiamo martello». Il 27 gennaio c’è da difendere l’Amérique, assieme ai 10.000 italiani precipitati a Parigi. Dopo 3 partenze richiamate la giuria squalifica Minnucci, 24.000 euro di multa e un mese senza corse.
«Ero nervoso. Bisognava andare davanti e restarlo. Però eravamo in parecchi i birichini, se non fai così l’Amérique lo perdi ancor prima di correrlo».
Varenne domina e vince stabilendo, in 1.12.08, un altro record. “Sua maestà il re” urlano dagli spalti durante il giro d’onore. Viene eletto “Cavallo dell’anno” per la seconda volta. Ad Agnano Victory Tilly ci riprova. Niente da fare, Varenne è troppo forte. Si conferma anche all’Elitloppet 2002. Ormai ha vinto tutte le corse importanti per più volte. Come tutti i veri fuoriclasse sanno, meglio ritirarsi quando si è ancora al top. Alla World Cup a San Siro l’addio alle piste italiane con una bella vittoria, prendendosi tutto l’affetto dei suoi tifosi. Poi una lunga trasferta tra Europa e America. In Finlandia, su una pista da 1 km, per poco non aggiorna il suo record del mondo. Sui due km, a Parigi, record in 1.10.08.
È l’ultimo grande exploit. A Montreal, il 28 settembre 2002, si chiude, proprio com’era iniziata, la carriera del più grande trottatore di sempre. Si chiude con una squalifica, il marchio d’artista che completa una parabola immensa. Il più grande trottatore della storia conclude la carriera con 62 corse vinte su 73 disputate, unico nella storia dell’ippica a essere stato “Cavallo dell’anno” in 3 diverse nazioni (Italia, Francia, Stati Uniti), unico ad aver vinto nello stesso anno, il dorato 2001, le tre corse di trotto più importanti al mondo. Oltre 6 milioni di euro di premi, ovviamente, cifra record anche questa.
Queste sono cose quantificabili, come il valore della sua immensa progenie, oltre duemila i suoi figli sparsi per il mondo, si segnalano le campionesse Lana del Rio e Lisa America, oltre agli ottimi Nadir Kronos, Napoleon Bar, Olona Ok. Promette grandi cose il rampante Vernissage Grif, già vincitore in due Lotteria, oltre 600.000 € di premi. Ma queste sono cose calcolabili. Non è calcolabile l’amore che Varenne ha saputo suscitare in tutti gli appassionati di ippica del mondo e nei cuori di tutti gli italiani.
Tutt’oggi nella pace della campagna pavese, tra una sgambata e quattro sceltissimi pasti al giorno spuntini esclusi, molti tifosi fanno visita al Capitano per una carezza e qualche ringraziamento. Varenne ne è lusingato, e si presta sempre volentieri alle foto con i suoi ammiratori. Ha ricevuto tanto dagli umani, ma molto di più ha dato al pubblico. Comunicare emozioni così trascinanti, legando specie diverse, non è cosa per tutti gli esseri viventi. Spesso gli umani non riescono a farlo tra loro. Ci voleva un cavallo a ricordarci che la bellezza non ha forma, aspetto, specie vivente. È universale. Talvolta si manifesta nei modi e nei posti più impensabili. E grazie a Dio, o al caso, ha voluto reincarnarsi sotto forma di cavallo, in una notte di tempesta del 1995.