Avremmo voluto raccontarvi la partita più importante del calcio sudamericano, la partita del secolo, la resa dei conti di una delle rivalità più iconiche del calcio mondiale. L’avevano chiamata Superfinal, perché un Superclasico in una finale internazionale non si era mai visto. Tutto il mondo era pronto a celebrare una delle giornate più memorabili dell’ultracentenaria esistenza del calcio, una pietra miliare di importanza capitale nella storia del Gioco. E invece no, River Plate – Boca Juniors non si è giocata e ora è solo e semplicemente la ‘Superfinal que no fue’. Ci eravamo riempiti gli occhi con le immagini che in settimana arrivavano da La Boca, dove una folla oceanica aveva fatto ‘pulsare’ la Bombonera per l’ultimo allenamento degli azul y oro prima della finale.
Oltre 50.000 persone ad assistere a un’ora scarsa di allenamento blando: l’occasione per ricevere un accorato forte abbraccio da parte del popolo Xeneize alla squadra. Una manifestazione di affetto talmente dirompente da lasciare senza fiato anche uno come Gago, che a La Bombonera ci è cresciuto. Eravamo convinti che il Monumental si sarebbe trasformato in un inferno rosso, trasudante passione, dove il River Plate avrebbe potuto usufruire della spinta costante della sua gente: la chiusura perfetta della tradizionale doppia finale di Copa Libertadores, per una gloriosa ultima volta.
E invece l’inferno si è manifestato tra le strade di Nuñez, a poche centinaia di metri dell’Estadio Monumental. La cronaca nera del sabato più triste della storia recente del calcio argentino inizia alle 15 ora locale e sembra ancora l’antipasto perfetto della festa imminente. Il pullman del Boca lascia il ritiro di Puerto Madero accompagnato da migliaia di tifosi Xeneizes che in un tripudio di bandiere gialloblu tributano l’ultimo saluto alla squadra, prima di lasciare che il destino si compia a casa dei rivali. Tuttavia, giunto all’intersezione tra Avenida Libertador e Monroe, l’inspiegabile diventa possibile: il pullman si trova di fronte a una schiera di tifosi del Millo che armati di bottiglie e sassi scagliano tutto l’arsenale in loro possesso sui vetri del veicolo, frantumandoli in mille pezzi. Gli attimi di terrore che seguono sono concitati e confusi: giunto a destinazione il pullman gialloblu sputa cocci di vetro e giocatori storditi.
Gli Xeneizes si fiondano negli spogliatoi dell’impianto e distesi a terra vomitano i lacrimogeni e gli ordigni a base di peperoncino lanciati in prossimità del veicolo da esponenti de Los Borrachos del Tablon (la barra brava della Banda) e dalle forze dell’ordine nel tentativo di sedarli. Nel caos generale, il bollettino medico parla di diversi giocatori del Boca feriti, Pablo Perez addirittura trasferito in ospedale per un occhio tumefatto che dopo accertamenti risulterà aver subito il distacco della cornea. Fuori dallo stadio le immagini scioccanti rimbalzano riprese sui media di tutto il mondo. Gli scontri con la polizia si inaspriscono e degenerano arrivando a sfondare i cordoni di sicurezza e creando il panico nelle zone di decompressione. Gli spari invadono il cielo di Nuñez e, nella confusione, le auto parcheggiate nella zona vengono demolite o rubate.
Nel frattempo, nelle viscere del Monumental entra in scena la figura inadatta di Alejandro Domínguez, presidente della CONMEBOL. Il numero uno della confederazione sudamericana convoca i presidenti dei due club D’Onofrio e Angelici comunicando l’assurda volontà di giocare ugualmente la partita, esponendosi evidentemente alle dure critiche da parte dei senatori Xeneizes Gago, Tevez e Benedetto. Dopo diversi posticipi, finalmente la partita viene rinviata e la CONMEBOL riesce nella singolare impresa di coprirsi di ridicolo, riprogrammando il match per il giorno seguente. Dura e prevedibile la replica del Boca che presenta ricorso nella giornata di domenica e ottiene nuovamente la sospensione per non sussistenza delle condizioni di uguaglianza, data l’evidente disparità tra le condizioni fisiche delle squadre. Inoltre, il presidente Angelici, con una nota ufficiale, chiede alla giustizia sportiva la vittoria al tavolino del Boca per i fatti occorsi.
Ormai poco importa, l’unica certezza di questo weekend di ordinaria follia argentina è che si sia persa la più grande occasione che il calcio sudamericano abbia avuto per tornare alla ribalta. È come se i sassi scagliati contro i vetri del pullman Xeneize abbiano sfondato la vetrina mondiale che questa partita aveva ottenuto. Poteva essere una spinta decisiva per attirare nuovi investitori e foraggiare le casse aride dei club latini. Doveva essere l’occasione giusta per ottenere quella visibilità fondamentale per poter schiudere il bocciolo di storie e tradizioni che rendono questo calcio speciale, differente e pronto per essere amato a tutte le latitudini. Perde il governo di Mauricio Macri (ex presidente del Boca Juniors) e l’amministrazione Larreta, in procinto di ospitare una manifestazione planetaria come il G20, ma incapaci di assicurare la riuscita di un evento sportivo in cui peraltro non era ammessa la tifoseria avversaria.
Fa impallidire la superficialità con cui sono state gestite le forze dell’ordine, l’incompetenza con cui sia stato tracciato il percorso del pullman del Boca, inspiegabilmente finito esattamente nella testuggine della barra brava. Perde soprattutto un popolo, quello argentino, dove in un paese dilaniato da conflitti sociali e stretto nella morsa di una situazione economica fallimentare, il concetto di passione si tramuta troppe volte in violenza. Perde perché quando si vedono madri legare bengala alla vita delle proprie figlie per introdurli nello stadio, la sensazione è che si sia davvero oltrepassato qualsiasi limite di decenza e non può che lasciare una sensazione di indignazione che valica evidentemente i confini dello sport.
Martedì, nella sede della CONMEBOL a Luque in Paraguay, davanti ai rappresentanti di Boca Juniors e River Plate, si prenderà una decisione. Probabilmente la partita si giocherà, troppi i vincoli commerciali stipulati e gli interessi generati, e probabilmente si farà in un Monumental gremito, perdendo forse l’ennesima occasione di trasmettere un segnale forte da parte di una confederazione inerme. Comunque vada, la festa del calcio è stata ormai rovinata, il sogno di tutti noi diventato un terribile incubo.