Da Jeddah, Arabia Saudita, arrivano conferme.
Il 2022 sarà un anno molto lungo, soprattutto per gli italiani in quanto ferraristi. Il Cavallino Rampante è tornato al vertice e la Ferrari è ufficialmente una pretendente al titolo mondiale, ma Max Verstappen rimane il pilota – assieme alla sua Red Bull – da battere. Con una sicurezza: in Arabia Saudita la Formula 1 non dovrebbe correre, per diversi motivi.
L’Italia dei motori, si sa, non è una piazza facile: l’umore è sensibilissimo alle prestazioni delle Rosse in pista, c’è un grande desiderio di vittorie e l’astinenza da titoli mondiali dura da troppo tempo. Il secondo GP di Jeddah poteva abbattere facilmente l’entusiasmo esploso in Bahrain dopo la doppietta e, invece, il risultato finale ha ribadito quanto di buono visto finora: Ferrari c’è e può aspirare alla vittoria del campionato. Come accaduto nell’altro deserto, la gara è stata un duello tra Max Verstappen e Charles Leclerc, con l’olandese che per un soffio è riuscito ad avere la meglio sul coetaneo pilota del Cavallino – dopo una battaglia serratissima fatta anche, e soprattutto, di mind games di prestigio.
Charles dice di essersi divertito, Max inizia già a scaldare l’ambiente parlando dei trucchetti dell’avversario.
Un Leclerc che, dopo essere scattato dalla seconda posizione e aver seguito il pole man Sergio Perez nella prima parte di gara, si è visto di fatto regalare la prima posizione dalla Virtual Safety car uscita in pista per l’incidente della Williams di Latifi appena dopo il pit-stop del messicano. Perez si è così ritrovato quarto alla ripartenza, costretto a cedere la posizione a Carlos Sainz per un contatto al limite della legalità tra i due all’uscita dei box. Da lì fino a fine gara un sostanziale inseguimento Verstappen-Leclerc a suon di giri veloci, concluso con la vittoria dell’olandese che ha sfruttato la sua velocità in rettilineo per avere la meglio sul monegasco.
Due piloti di grande talento, che si conoscono sin dai tempi dei kart; che inoltre non si sono mai amati, com’è giusto, e che già lasciano intravedere le prove di una battaglia all’ultimo metro.
Il vento per i ferraristi, comunque, sembra finalmente essere cambiato rispetto agli ultimi anni, e ci sono tutti i presupposti per una stagione appassionante per la Scuderia. Mercedes rimane la grande assente in questa lotta, sugli scudi George Russell, quinto alla fine, mentre Lewis Hamilton conclude una gara anonima in decima posizione. Il re nero non ha più l’auto da battere, in pista ha combattuto con Magnussen ed è davvero strano sentire le sue dichiarazioni nel dopo gara: dopo anni di allori e profumo di champagne, ora si ritrova spaesato a commentare una gara nelle retrovie e un risultato più grigio della sua monoposto – fa uno strano effetto, dobbiamo essere onesti.
Ad ogni modo lo show di intrattenimento made in Liberty Media Formula 1 della “Nuova Era” è servito e funziona, almeno all’interno della sua bolla netflixiana: le nuove monoposto, oltre ad essere pesanti ma esteticamente meravigliose, sembrano funzionare nell’aspetto tecnico ricercato da FIA e Liberty Media; inoltre facilitano la guida al pilota in scia alla vettura che lo precede, e agevolano duelli e sorpassi assieme a un effetto ancora maggiore del DRS. Lo spettacolo s’infiamma, grazie al talento umano di questi piloti, che ancora conta e fa la differenza.
Ma come già prevedibile e previsto l’anno scorso, la gara in Arabia Saudita ha nuovamente evidenziato le contraddizioni del nuovo corso della Formula 1, che nell’intenzione di esportare una bolla politica – “We Race As One” – rischia di finire sotto le bombe dell’ipocrisia e della guerra vera.
Inutile sottolineare il visibile contrasto tra l’elitario e alienante Circus della Formula 1 e i missili dei ribelli yemeniti Houthi in guerra contro i sauditi, caduti in un deposito petrolifero della Aramco a pochi km dal circuito venerdì durante le prove libere. «Siamo al sicuro», la risposta in coro di Stefano Domenicali e Toto Wolff. A questi problemi, enormemente più complessi degli aspetti tecnici, aggiungiamo l’assurda pericolosità della pista di Jeddah, confermata dall’incidente di Mick Schumacher in qualifica, paradossalmente anacronistica per la Formula 1 moderna.
Senza starci a girare troppo intorno, come detto da Giorgio Piola a motorsport.com,: «la F1 a Jeddah non deve correre». Ma si sa come vanno queste cose, e allora oggi è inutile piangere sul latte versato (e sull’assegnazione concessa). Anche perché il volubile popolo italiano motoristico può consolarsi con una conferma: la Ferrari non è solo tornata per una gara, ma a quanto pare per una lunga, lunghissima, stagione.