Se il calciomercato inizia a marzo.
Tempo d’estate e, sotto l’ombrellone, arrivano finalmente le prime notizie di calciomercato. Peccato che siamo ad aprile e che il circo non abbia mai levato le tende. Sono anni che butta così. Dopo la lunga stagione dei rinnovi riusciti o mancati, del “caso” Skriniar, dei mal di pancia di Zaniolo – leniti con un bel kebab – e di talenti tipo Isco che preferiscono rimanere svincolati piuttosto che accettare qualche soldo in meno. L’occhio di Sauron del calciomercato, che tutto vede come il titano Elio, dio del sole, ha cominciato a scrutare i contratti in scadenza nel 2024: non trovandovi nulla di interessante – poiché gente tipo rapper Leao sembra propensa a rinnovare con il Milan – è andato in ansia da prestazione.
A guisa di quegli schermi piatti installati nelle tabaccherie che sparano numeri del lotto uno dopo l’altro senza soluzione di continuità e, per un profano, alcun senso logico, giornali e giornalai hanno cominciato a fare nomi, mettere in campo cifre e stilare formazioni immaginarie e immaginifiche. Tanto, basta che se ne parli. In questo tourbillon, il bisogno di riempire vuoti concettuali si traduce in racconti di cessioni dolorose ma molto molto remunerative. Completamente inventate, ovvio.
E così scopriamo che l’Atalanta ha già venduto Højlund, senza aver avuto nemmeno il tempo per vedergli spuntare un filo di barba su quella faccia da ragazzino con l’acne. Altri mille mila milioni per i Percassi e soci.
Che Dybala vuole mille mila milioni di risarcimento danni dalla Juve, che lo ha obbligato a firmare per la Roma. Da cui, per inciso, non vede l’ora di sloggiare. Che Osimhen non ha nessun interesse a godersi i festeggiamenti che da Spaccanapoli al Vomero e Fuorigrotta attendevano da trentatré anni perché già la Premier lo tenta e lo concupisce. Così la “Gazzetta” lo dà per venduto al miglior offerente – basta che da De Laurentiis si presentino con milioni centocinquanta – e per colmare la mancanza, seppur virtuale, comincia a elencare uno dopo l’altro una serie di nomi. Tipo lo schermo del lotto di cui sopra.
Ma poiché per politica societaria il Napoli è costretto a sostituire la sua punta nigeriana solo con connazionali di nome Victor sopra il metro e ottantacinque, Giuntoli pare abbia trovato un unico profilo che soddisfi tutte queste caratteristiche: Victor Boniface da Akure, metropoli a 350 km da Lagos e fantastico esempio di come non si dovrebbe costruire una città.
Maturato al gelo polare di Bodø, nella squadra più odiata dal tifo romanista, Boniface ha studiato i colpi dell’ex milanista Jens Petter Hauge, dell’attuale salernitano Erik Botheim e poi del neo giallorosso Ola Selvaag Solbakken. Ma non scorgendovi nulla di buono è passato ai belgi del Royale Union Saint-Gilloise. Con il Bodø è sceso in campo sia a San Siro che all’Olimpico, ma di lui nella memoria dei commentatori italiani è rimasto poco o nulla. Gli stessi che ora lo prezzano da dieci a quaranta milioni, a seconda di quanto forte lo si vuole far passare.
Classe 2000, capello biondo ossigenato – in alcune foto – come il più celebre connazionale, Boniface ha segnato sette gol in ventisette gare nella non irresistibile Jupiler League ma ciò che più spicca nel suo curriculum sono le cinque reti in quattro gare di Champions. Peccato le abbia messe a segno tutte nel primo e secondo turno preliminare, quando ancora giocava in Norvegia, in sfide all’ultimo sangue con i faroesi del Klaksvíkar Ítróttarfelag e con i nordirlandesi del Linfield.
Ciò che lo ha messo al centro della scena, paracadutando a Saint-Gilles – area metropolitana di Bruxelles – gli osservatori di Milan, Lazio e, appunto, Napoli, è stata però una doppietta agli ottavi di Europa League nel 3-3 a Berlino contro gli ex tedeschi orientali dell’Union. Tanto è bastato.
Con quelle due reti ha raggiunto quota cinque anche nelle otto gare di Europa League disputate. A quel punto nessuno si è trattenuto dall’accostarlo ad Haaland. Anche se, guardandoli bene, i suoi numeri dicono altro. Sebbene chi lo ha visto spesso dal vivo lo descriva come meno dotato di Osimhen nello scatto – decisamente meno dotato – tanto da cercare di frequente la bordata da lontano per colmare questa lacuna, e il ct della Nigeria nell’ultima tornata di convocazioni non l’abbia chiamato, Boniface è presentato come un talento già pronto. Capace da domani di prendere la numero nove del Napoli e di lanciarsi a testa bassa con lo scudetto cucito sul petto contro difese schierate.
Magari poi Boniface è fortissimo. A guardarlo sembra dotato di un fisico possente – forse un po’ pesante nella corsa – ma con una velocità di gamba notevole, soprattutto nel dribbling. Come CR7… più o meno, parte da sinistra e si porta al centro, ma più di tutto cerca la giocata, come un doppio passo, un assist no look, o una finalizzazione semplice trasformata in un piccolo gioiellino grazie a un tocco di esterno.
A Boniface auguriamo tutto il meglio, magari a Bologna, altra presunta pretendente, dove troverebbe un ambiente più consono alla crescita di un 2000 e obiettivi meno soffocanti. Tuttavia, ha un che di assurdo che “Il Mattino”, che fu tribuna per Matilde Serao, debba lasciare l’amaro in bocca a tifosi in attesa solo della matematica, strappandogli a scudetto non ancora acquisito il bomber che l’aveva fatti sognare.
Osimhen non darà l’addio al Napoli tanto presto – quantomeno fino a luglio – né Boniface appare pronto per un salto in serie A tra le squadre in lotta per il vertice. Ci auguriamo di sbagliarci, sia per le casse di DeLa che per il futuro del più giovane dei Victor. Ciò che sconcerta è dover già parlare di calciomercato senza poter concludere la frase con “pesce d’aprile”. Che ci aspettino altri cinque mesi almeno di questa manfrina prima della nuova stagione è fisicamente stressante e psicologicamente desolante.