Che, paradossalmente, parte dalla solidità difensiva.
La vittoria (0-1) nel big match di domenica 8 gennaio contro l’Atletico Madrid al Wanda Metropolitano ha portato al Barcellona di Xavi il primato in classifica, permettendogli di andare a +3 dal Real di Ancelotti (sconfitto 2 a 1 dal Villarreal il giorno prima). Visto il tabellino, qualcuno ha osato paragonare il gioco del Barça di Xavi proprio a quello di Simeone, probabilmente a ragione: quella dei blaugrana è stata sì una vittoria meritata ma ottenuta soffrendo per larga parte del match. Una qualità, quella della sofferenza collettiva, sconosciuta ai tifosi blaugrana: ma ricercata con forza dal suo allenatore.
Come affermato da Alfredo Relaño, direttore di AS, il Barça ha vinto la partita «in venti minuti, venti ottimi minuti, i primi della partita in cui [ha] spremuto l’Atleti, rimasto bloccato […]. Con il gol l’Atletico si è aperto, ha fatto uno sforzo enorme e prolungato, ma non è riuscito a segnare». Il gol della partita è nato da una grandissima azione individuale di Pedri (tre uomini colchoneros saltati come birilli, per poi consegnare il pallone al collega Gavi, che l’ha subito scaricata all’accorrente Dembelè, infallibile sottoporta).
Una giocata iconica, per un giocatore che – ricordiamolo – ha appena vent’anni (foto Barcellona/Twitter)
Un’azione degna del miglior Andrès Iniesta, il calciatore che più di tutti Pedri ricorda per movenze ed eleganza col pallone tra i piedi. Ma la vera differenza l’ha fatta poi una straordinaria prova di forza del reparto arretrato dei catalani, rivestiti di cholismo: difendere il risultato finale a denti stretti, anche con le maniere forti (vedi la doppia espulsione per Ferran Torres e Savic, improvvisati lottatori di UFC).
Filippo Maria Ricci, sulla Gazzetta dello Sport, ha definito il successo degli uomini di Xavi “una vittoria cholista”, in cui l’ex campione del mondo, per giungere al sudato 1 a 0, è ricorso alle stesse armi del nemico, dimostrando una sorprendente intelligenza tattica e abbandonando (non definitivamente certo, ma almeno parzialmente) il classico ed estremizzato possesso palla, marchio di fabbrica del gioco blaugrana e spagnolo consolidato ormai da decenni.
Dopotutto i grandi allenatori sono anche quelli che si sanno adattare alle diverse (e imprevedibili) dinamiche che una partita offre, alle caratteristiche dell’avversario e a quelle dei propri uomini.
Ed è proprio la difesa (in maniera forse sorprendente, visti i disastri delle scorse stagioni) ad essere il principale punto di forza di questo Barcellona, che sta cercando di tornare ai vertici del calcio nazionale (per ora benissimo) e internazionale (per ora male). I catalani sono addirittura il miglior fortino del calcio europeo, con appena 6 gol subiti in 16 partite di campionato. Anche se le cose a livello internazionale sono andate meno bene (i gol subiti in Champions sono stati quasi il doppio) se non altro in Liga il pacchetto difensivo degli uomini di Xavi si è fatto rispettare eccome. Se i Culers rispetto allo scorso campionato hanno ben 17 punti in più in classifica, una parte importante del merito è proprio dei difensori centrali e, più in generale, della fase difensiva tanto allenata da Xavi.
Dalla ferocia agonistica (ma sempre leale) di Carles Puyol alla grande intelligenza tattica di Javier Mascherano, sino ad arrivare alla moderna interpretazione del ruolo da parte di Gerard Piqué, il Barça dell’ultimo ciclo vincente della propria storia – quello delle tre Champions vinte tra il 2009 e il 2015, con Guardiola prima e Luis Enrique poi – ha sempre avuto campioni assoluti in ogni zona del campo, e i centrali di difesa non sono stati in questo senso un’eccezione.
Quando i tre grandi nomi summenzionati hanno lasciato il club (Puyol nel 2014 e Mascherano nel 2018) o sono calati di rendimento (Piqué da almeno tre anni), la solidità difensiva blaugrana ne ha risentito enormemente, e di riflesso l’intera compattezza tattica della squadra. Anche perché i nomi dei sostituti non sono stati minimamente all’altezza delle aspettative: da Lenglet (ora al Tottenham) ad Umtiti, mettendoci anche i due giovani prodotti del vivaio Eric Garcia e Oscar Mingueza (il primo ancora in rosa, il secondo ceduto al Celta Vigo).
Nelle tre stagioni di “crisi”, dalla 2019/20 alla 2021/22, i catalani hanno subito in media un gol a partita in ognuna delle tre annate (38 su 38).
Questa problematica pare essersi risolta quest’anno, grazie a Xavi e a tre nuovi nomi che stanno offrendo prestazioni di grande livello. Parliamo dell’uruguayano Ronald Araujo (già al Barça da tre anni) e dei due nuovi acquisti del mercato estivo: il francese Jules Kounde e il danese Andreas Christensen. Il primo, tornato da un infortunio che lo aveva tenuto fuori una decina di partite, è stato elogiato nel post-gara contro l’Atletico dallo stesso Xavi, che lo ha definito “un difensore straordinario e un grande leader”.
Araujo è ormai il punto di riferimento principale della retroguardia blaugrana che, per la grinta selvaggia (l’ormai celebre garra charrua che scorre nelle sue vene uruguagie) che trasuda in ogni suo tackle – nel match contro icolchoneros ne ha persino fatto uno con la testa – non può non ricordare ai tifosi lo storico capitano blaugrana dai capelli lunghi e dal fisico pronunciato.
L’incredibile salvataggio sulla linea di Araujo contro l’Atletico (foto Barcellona/Twitter)
Kounde è probabilmente il difensore tatticamente più importante della formazione di Xavi, capace di giocare anche da terzino destro e di mantenere un alto livello performativo (vedi il Mondiale disputato in Qatar con la Francia, dove ha giocato proprio in quella posizione). Kounde è fondamentale per l’equilibrio dell’intero reparto e permette al proprio allenatore di schierarsi con la difesa a 3 in fase di non possesso, e con quella a 4 in fase di possesso, riuscendo a dare enorme solidità alla squadra nonché la possibilità di attaccare con tanti uomini senza rischiare di scoprirsi eccessivamente.
Ma la vera sorpresa del reparto centrali blaugrana è quell’Andreas Christensen per cui in tanti avevano più di un dubbio dopo il suo arrivo a parametro zero dal Chelsea (dove peccava un po’ in continuità). Quando Araujo è mancato, a reggere l’intera difesa è stato proprio il danese, che si è dimostrato un difensore completo, abile sia nel gioco aereo (dove è quasi insuperabile) che negli interventi sul terreno, dove sfrutta la sua eccelsa velocità per anticipare gli attaccanti avversari e coprire le spalle al centrocampo.
“Quello di Christensen è stato l’acquisto più sottovalutato. Ricordo quando la gente diceva che il Real aveva ingaggiato il centrale titolare del Chelsea [Rudiger, ndr] e noi la riserva. Alla fine però Andreas ha avuto un rendimento straordinario.”
Xavi Hernandez
I meriti di questi eccellenti risultati (in campo nazionale) sono da spartire equamente tra tanti attori protagonisti, dal portiere tedesco Ter Stegen (troppo spesso messo in discussione, ma ancora uno dei migliori al mondo nel suo ruolo), ai gioielli del vivaio che già brillano di luce propria Pedri, Gavi e il terzino Alejandro Balde (classe 2003), sino ad Ousmane Dembelè, finalmente libero da infortuni e problemi extra-campo, che gli stanno permettendo di dimostrare tutta la propria efficacia.
Ma senza i veterani, i giovani non crescono. E Xavi ne ha a disposizione due di un certo livello: il capitano Sergio Busquets a centrocampo e il nuovo arrivato in attacco Robert Lewandowski, che sta ampiamente dimostrando come l’età (per lui) sia solo un numero. In conclusione, Xavi ha capito che è sulle grandi difese che si costruiscono le grandi squadre e si vincono i trofei (come quello arrivato pochi giorni fa contro il Real in Supercoppa). Soprattutto, ha capito che un nuovo ciclo al Barcellona doveva passare necessariamente per una rivoluzione insieme tattica e psicologica: se dietro non ti fai male, davanti puoi divertirti. E vincere.