Editoriali
14 Ottobre 2025

Lettori forti, destini forti

Contrasti si appresta ad entrare nel suo decimo anno.

In tanti hanno provato a spiegare perché, con il passare degli anni, sembra che il tempo scorra sempre più veloce. Chi ha tirato in ballo l’invecchiamento cerebrale e il metabolismo, chi la monotonia della routine, chi ancora la relatività temporale applicata alle diverse età della vita. Qui, in fondo, ci interessa poco di tutte le interpretazioni para-scientifiche le quali, oltre a non sciogliere la questione, sottraggono anche mistero e quindi fascino all’esistenza – togliete l’immaginazione a un uomo e lo priverete di tutto, scriveva qualcuno.

Ma allora, tutto ciò per dire cosa? Beh, che tra qualche mese entreremo ufficialmente nel decimo anno di vita di Contrasti, eppure non diremmo mai che questo tempo è (solo) volato.

Sembra sì ieri quando, grazie a un’intuizione di Sebastiano Caputo, direttore del fu Intellettuale Dissidente e con cui da circa un anno abbiamo diviso le nostre strade, decidemmo di fondare “la prima rivista sportiva per gentiluomini”. Eppure, sembra anche una vita fa. Una vita e nel contempo un giorno da quando immaginavamo che forma dare a questa rivista, e ancor prima che forma non darle. Ne è uscito così, nell’era dell’usa e getta, dell’asfissia critica e delle volubilità algoritmico-umorali, un giornale irreplicabile: novecentesco ma avanguardista, anacronistico ma ultramoderno, militante ma senza causa, schierato ma impolitico. Impossibile e dunque certo.

Se un’essenza però si può dare a questa rivista, che rischia da fuori di sembrare molto più monolitica di quanto in realtà non sia, è quella di essere sempre rimasta fedele al suo spirito – che è poi racchiuso nel suo nome. Di aver perso anche qualche treno per questo, che tuttavia dove ci avrebbe portato? E a che prezzo? Contrasti non è mai stato un mezzo per arrivare altrove bensì uno spazio per creare dibattito; con l’utopia di ribaltare tutto e la speranza, nel frattempo, di aver lasciato qualcosa e formato qualcuno. Per questo, nella contestabilità delle sue posizioni, è sempre stato integralmente libero. Perché non aveva nulla da perdere – e neanche da ‘guadagnare’.

Ci hanno detto qualsiasi cosa negli anni, tanto di portare avanti agende meta-politiche di destra (ultimamente anche di sinistra) quanto di essere a libro paga di Mediaset o altri. Tutte cazzate. Ma d’altronde, in una società che calcola ogni cosa e non crede più in nulla, come si poteva pensare che a coltivare uno spirito disinteressato fosse una rivista sportiva e digitale? Adesso, dopo quasi un decennio, è però il momento di tirare le somme. Perché se è vero che c’è una fase in cui un progetto potrebbe esplodere, ce ne è pure una in cui potrebbe implodere; un’altra ancora infine, dopo queste, in cui si superano le oscillazioni, e si vede chi ha posto le fondamenta per durare.



Alla vigilia del decimo anno di vita ci siamo davvero resi conto, e forse per la prima volta, quanto questa rivista abbia seminato. Quanto sia conosciuta, letta, sussurrata e condivisa, tanto nei corridoi delle grandi redazioni quanto tra un pubblico formato, per il quale lo sport non è liquidabile ai soli fatti di campo. E quanto abbia lasciato in una narrazione sportiva italiana che, in piccola parte, ha contribuito ad anticipare e mutare – molte posizioni e ‘posture’, che anni fa tenevamo in solitaria, sono oggi centrali nel dibattito. Ora però la scelta è inevitabile: continuare ad essere un incubatore di idee e contenuti o fare un salto in più, diventando attori protagonisti del racconto sportivo nazionale.

È questa la consapevolezza che ci ha spinto a un investimento, intellettuale e non solo, per certi versi anche contro-intuitivo, che dovrà porre le basi per un necessario salto di qualità. Dietro le quinte stiamo lavorando a diversi progetti (da video-podcast a veri e propri documentari), per i quali si sono lentamente create condizioni favorevoli – ciò non significa che questi progetti si realizzeranno ma che, dopo anni, sono maturati rapporti, esperienze, competenze in grado di impostarli al meglio e con assoluta credibilità. Stiamo anche organizzando una grande festa per il decennale, con un format già registrato, a cui chiaramente sarete tutti invitati.

Speriamo di avere presto delle notizie, ma nel frattempo è anche l’ordinario che cambierà passo. Finalmente, ed è questo il nostro maggiore orgoglio, riusciremo a retribuire i nostri migliori autori, coloro che scriveranno per la sezione riservata agli abbonati Contrasti ULTRA; un riconoscimento professionale ma ancor prima umano, quasi obbligato per chi, negli ultimi anni, ha investito tempo, studio, soldi, energie per far crescere questo progetto.

Ciò sarà possibile solo ed esclusivamente grazie a voi, che ci avete dato fiducia abbonandovi mensilmente o annualmente. La scommessa è anche quella di ribaltare la logica tradizionale, per cui la retribuzione agli autori non sarà un semplice costo ma un investimento attraverso il quale alzare sempre più il livello dei contenuti, aumentando così il bacino di lettori e abbonati e offrendo loro qualcosa che, in Italia, non possano trovare altrove. Per il resto, tutto ciò che deriverà dalle sottoscrizioni sarà stanziato per la crescita.

A proposito, anche quest’anno abbiamo preparato un volume cartaceo per lanciare la campagna abbonamenti, ma puntando decisamente più in alto. Se nel 2024/2025 era stato dedicato al tifo italiano, quest’anno lo sarà alle curve europee. Un libro ben più corposo, diviso in cinque sezioni (Inghilterra, Francia, Germania, Spagna, Est Europa), che ci introdurrà ai diversi stili di tifo e a singoli approfondimenti. Ogni capitolo sarà aperto da una panoramica che ci presenterà il tifo di quella Nazione, tra mutamenti e particolarità, e poi composto da 4-5 long-form dedicati a una realtà specifica di quel Paese.

Il tifo non è più quello di una volta, ma è l’ultimo fuoco che continua ad ardere nel deserto del calcio contemporaneo

Delle introduzioni si occuperanno: Roberto Gotta, tra le maggiori autorità in materia, per quanto riguarda l’Inghilterra; Simone Meloni, firma di punta di Sportpeople, per quanto riguarda la Germania; Théo Damiens per la Francia, giornalista di Parigi che ci presenterà il tifo dei cugini e, nelle sezioni monografiche, si occuperà anche di un approfondimento sul PSG, con intervista esclusiva allo storico capo ultras dei Lutece Falco; Mattia Zaccaro Garau, autore anche del Manifesto, per la Spagna; e il nostro Lorenzo Serafinelli per l’Est Europa, dove ha vissuto per anni battendo gli stadi di ogni serie e disciplina, in una sezione che sarà conclusa dal ‘tifo al di là della Cortina’ (Russia) scritto da Alberto Fabbri.

Una pubblicazione ambiziosa nella quale abbiamo convogliato tante energie, che verrà spedita – proprio come l’anno scorso – gratuitamente a tutti i nostri abbonati annuali. Chi si abbonerà entro il 15 novembre 2025, con formula annuale o sponsor, riceverà quindi direttamente a casa il volume – e così tutti coloro che già sono abbonati annuali – oltre a poter leggere tutti i nuovi e vecchi contenuti (approfondimenti, podcast, rubriche) di Contrasti ULTRA. Perchè, come accade per gli autori, il rapporto con i sostenitori rappresenta per noi non solo una risorsa economica ma un vincolo da cercare di stringere (e valorizzare) il più possibile.

L’obiettivo è avere non consumatori digitali bensì lettori reali, forti, in carne ed ossa, che abbiano un legame col progetto e ci aiutino a farlo crescere. Dal 4 dicembre in poi, invece, il libro sarà presentato alla Fiera della Piccola e Media Editoria a Roma, e si potrà acquistare regolarmente sul sito di Eclettica Edizioni. Chi volesse comprare unicamente il volume potrà trovarlo tanto online quanto agli eventi di presentazione che faremo in giro per l’Italia.

Per quanto riguarda il sito, invece, questo diventerà sempre più riservato agli abbonati, e gradualmente ruoterà attorno a tre categorie: CRITICA / TIFO / CULTURA.

Pochi argomenti ma svolti bene, laddove il principale riferimento sarà il vecchio Guerin Sportivo – seppur più da ‘gradinata’. Perché in fondo questa rivista, potrà far scandalo confessarlo nell’epoca dei ritornelli egualitari, non è né vuole essere per tutti; sì punta alla nicchia ma deve essere in grado di soddisfarla e ampliarla, quella nicchia. In un periodo in cui la peggiore delle censure è l’autocensura, e l’indipendenza intellettuale non si trova sui giornali perché è sparita dalle nostre teste, a noi spetterà il compito di valorizzare quella critica sportiva che oggi, troppo spesso, è ridotta alla mitomania e alla volgarità dell’opinionismo social.

Occorre allora compiere un passo ulteriore rispetto agli ultimi anni: non più semplicemente dire ciò che non si poteva dire, ma tornare a pensare ciò che non si poteva pensare. Dovremo sostenere tesi impopolari, radicali nel senso etimologico del termine: non che siano estreme ma che vadano alla radice delle questioni – e spesso le radici sono crude, indigeste, a-morali, inizialmente inaccettabili per poi, piano piano, farsi spazio nel dibattito pubblico e lasciare il segno. Dovremo essere altrove, dove gli altri non si aspettano di trovarci. Pure perché crediamo, magari sbagliando, di poter essere più liberi, più vivi, e limitatamente a ciò di cui andremo a parlare – da questo passerà l’eventuale ‘successo’ – anche più preparati.


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In questi anni Contrasti ha anticipato tante battaglie, e sempre più dovrà farlo: da quelle di campo, per cui ci siamo opposti alla ‘fine della storia’ nel pallone riscoprendo il valore breriano delle tradizioni nazionali, contro la narrazione un po’ nerd e un po’ maniaca (di controllo) dei neo-allenatori demiurghi, a quelle sugli spalti, laddove, come siamo stati i primi a denunciare alcune derive delle curve, siamo stati anche i più strenui difensori del mondo ultras come argine alla commercializzazione del calcio – un’opzione di intrattenimento tra le altre destinata a competere con Netflix, Prime, Play Station etc, come sostenuto da diversi potenti del pallone, da Liverpool a Milano passando per Madrid.

E poi le varie battaglie contro l’eccessiva politicizzazione dello sport, marketing più che politica, contro le federazioni nazionali e internazionali, prive di visione e coraggio, contro il nuovo calcio all you can eat, che avrebbe tolto sapore al prodotto creando un esercito di tossicodipendenti sostenuto solo da fantacalcio e schedine; e ancora per la riscoperta delle serie minori, per il calcio come fenomeno identitario (ma non nostalgico), per lo stadio come iper-luogo senza cedere all’infido ritornello dei nuovi impianti come panacea (per fortuna dopo di noi qualcuno ha iniziato a parlarne, anche sui grandi giornali); le lotte contro il VAR (la storia ci darà ragione) o per il primato della tecnica sulla tattica.

Perché l’eccessiva tatticizzazione altro non è che un’ideologia debole di un mondo stanco, non più in grado di produrre cultura, identità, estetica, pathos e quindi costretto a concentrarsi sui fatti di campo, a diventare scienza quando non può più essere epica.

Tanto altro ci aspetta, soprattutto in questi anni, nei quali la spettacolarizzazione, allo sport, “non solo l’ha scalfito ma l’ha lacerato, filato, bruttato per sempre” – parafrasando ciò che, secondo Pasolini, il consumismo aveva fatto alla società italiana. Storicamente siamo sconfitti, è inutile negarlo: lo sport per come lo conoscevamo (e amavamo) ce lo hanno già tolto, soprattutto ad alti livelli, insieme a molto altro. Eppure possiamo ancora difendere i pochi spazi rimasti e sperare, con il tempo, di agire per il domani, per quando questa bolla sarà finalmente scoppiata.

Per farlo dobbiamo fregarcene delle parole d’ordine di un mondo ormai debole, in crisi, dei suoi piccoli e meschini tabù, delle sue leggi irreversibili, della ‘competitività’, che giustifica ogni obbrobrio del cd calcio moderno perché non ci si può fermare, si deve andare avanti – e allora via con le nuove competizioni, le partite in USA, Arabia ed Australia, i fondi americani che getiscono società storiche come start-up, i fallimenti, gli indebitamenti, i biglietti alle stelle, le trasferte vietate. Manca visione, la capacità di pensare altrimenti, e se certo non saremo noi quelli che cambieranno lo sport possiamo essere coloro che lanceranno suggestioni, ipotesi, teorie che servano magari da spunto per altri.

Il problema non è il giornalismo, che invece ne rappresenta solo uno degli effetti; il problema è il contesto nel quale il giornalismo si muove, tra una concentrazione di potere ed interessi sempre più opprimente, per cui la produzione editoriale è un ambito (in perdita) con cui i grandi gruppi fanno posizionamento politico-commerciale, e il livello dei suoi stessi rappresentanti, i nuovi giornalisti, magari formati ai migliori master del settore ma incapaci e impossibilitati a sviluppare un pensiero laterale, oltre che un’esperienza sul campo – spesso le due cose vanno di pari passo.

Contrasti editoriale
O almeno da questa stampa, sedicente libera ma mai così omologata nella storia d’Italia

Ecco perché qui non dobbiamo fare giornalismo ma ridare ossigeno a un pensiero smembrato, sfibrato, asfittico; tornare ad immaginare altri mondi e a gettarne le basi, a pubblicare contenuti originali, approfonditi, scomodi. Ribelliamoci al fatalismo secondo il quale non legge più nessuno, ed è sufficiente un reel sui social per poter dire la propria su un argomento: uno non vale uno. Se poi leggono sempre meno persone, quelle che lo fanno pretendono ancor di più contenuti all’altezza che aggiungano qualcosa, e che non siano fatti da uomini che scrivono come algoritmi e da algoritmi che scrivono come uomini.

Questa rivista, una sfida al buon senso che ha sempre vissuto contro l’evidenza, per i suoi dieci anni dovrà cambiare rimanendo se stessa, evolversi senza snaturarsi. Una rivista che è una contraddizione in termini e proprio per questo funziona, perché animata da valori umani che vanno al di là del giornalismo, da amicizie profonde che, nate da un rapporto ‘lavorativo’ e da una stima reciproca, ora definiscono le nostre vite e noi come persone. Non oso immaginare, personalmente, dove, come e chi sarei se non ci fosse mai stato Contrasti. Probabilmente avrei qualche soldo più in tasca e qualche ora di sonno più in corpo, ma a livello umano, anche una vita in meno.

È come se fossimo cresciuti insieme, in questi anni, e pure chi si è allontanato da Contrasti – e magari oggi ha ruoli importanti (e totalizzanti) nel mondo delle professioni, editoriali e non – capita sempre che torni a casa.

È questo ritorno a casa, in una modernità la cui cifra è lo sradicamento, quella che Heidegger chiamava Heimatlosigkeit – ovvero il far sì che nessuno sia più al sicuro da nessuna parte –, il segreto di Contrasti; perché la minaccia arriva ovunque, anche in quello sport che una volta era casa per milioni di italiani (e che per tanti lo è ancora). Non si tratta di essere conservatori, né di contrastare il nuovo, bensì di indagare l’essenza stessa dello sport, che con lo spettacolo non c’entra assolutamente nulla e dalla società dello spettacolo viene svuotato e deformato.

In questo senso noi abbiamo scelto la strada più impervia, quella dell’indipendenza e della comunità di lettori, ma anche quella che mette più muscoli nelle gambe e offre scorci migliori. Siamo sul mercato (editoriale) e quanto cresceremo dipenderà da quanto riusciremo ad offrire, pure in un Paese che è poco abituato – a differenza ad esempio del mondo anglosassone – a pagare per un certo genere di contenuti. Ci dovremo sudare tutti i traguardi ma sappiate che ogni abbonamento, in tal senso, è un piccolo passo in più, una spinta ulteriore. Un contributo fondamentale per un lungo cammino.

Dobbiamo studiare, crescere, ma senza la fretta di arrivare. Nessuna alta velocità bensì un treno regionale, novecentesco, che avanza sicuro attraversando e ammirando le province, i paesi, le coste, l’entroterra italiano. Lì sta ancora la vita, nei campanili, nel radicamento (un concetto filosofico, che dischiude l’accesso al sacro), nelle tradizioni, nelle identità, nella cura; nella convinzione che ci sia ancora tanto per cui valga la pena. Con il vostro sostegno, e con il nostro impegno, possiamo costruire qualcosa che resti. Consapevoli che se loro hanno gli orologi, come diceva un vecchio amico, noi abbiamo il tempo.

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