Papelitos
26 Luglio 2025

50€ per 5 amichevoli? Ma mi faccia il piacere!

Per cosa mai dovrebbero pagare i tifosi del Napoli?

Dobbiamo essere onesti: alla lettura del comunicato ufficiale della SSC Napoli siamo rimasti senza parole, per usare un eufemismo. Cinque amichevoli, 9,99 euro cadauna. Totale: 50 euro per seguire in tv partitelle senza nulla in palio, con formazioni sperimentali e calciatori atleticamente svuotati dai carichi di lavoro imposti da Conte e il suo staff.

Basterebbe già questo per rendersi conto della follia offerta dalla società azzurra in accordo con DAZN, Sky Primaria e OneFootball. Non che sia una novità, va detto. Aurelio De Laurentiis, da massimo esperto dello spettacolo e dell’entertainment qual è, ha da sempre posto un veto (sbloccabile sotto forma di pagamento) per visionare il suo Napoli. Pure quello in stato embrionale, ancora con le gambe imballate e che – come nel caso della prima amichevole della stagione 2025/26 – finisce col perdere anche contro un club di Serie C come l’Arezzo.

La domanda sorge dunque spontanea: per cosa dovremmo pagare?

Perché un tifoso azzurro dovrebbe spendere quella cifra – totalmente fuori mercato, tra l’altro? Per visionare De Bruyne ingolfato, Lukaku che a stento riesce a scattare oppure Noa Lang rintuzzato dalla difesa amaranto? Ma non solo. Perché un cliente DAZN (che mensilmente paga non meno di 35 euro per usufruire dei contenuti offerti dalla piattaforma di streaming) si ritrova costretto all’ennesimo esborso economico? Stesso discorso per i clienti Sky, con i match amichevoli offerti in pay-per-view anche a chi già abitualmente paga un abbonamento.

Chiaro, la strategia del Napoli – lecita dal punto di vista economico, un po’ triste dal punto di vista generale – rientra in un discorso decisamente più ampio; per tanti ormai sdoganato, ma per molti (giustamente) ancora inaccettabile. Tra abbonamenti alle pay TV, biglietti per lo stadio, merchandising ufficiale e ora anche i costi per le amichevoli, seguire la propria squadra è diventato un vero e proprio salasso. C’è allora una mutazione del concetto stesso di tifoso, in una logica che mira all’esclusione/esclusività laddove la passione del tifoso diventa un asset da valorizzare e una risorsa da spremere.


E così, mentre l’abbonamento alle piattaforme di streaming anche quest’anno subirà l’ennesimo, illogico (vista la qualità), rincaro, anche le amichevoli, che dovrebbero rappresentare un momento di apertura, iniziano ad escludere. Sono le partite che riaccendono la passione dopo la lunga pausa estiva, che permettono di conoscere i volti nuovi, di analizzare le prime scelte tattiche dell’allenatore, di sognare per un’altra stagione. Come nel caso del Napoli, di ripartire dall’entusiasmo di quel 22 maggio. Di quella notte. Da McTominay, Lukaku e il quarto Scudetto. Dall’euforia di De Bruyne, da un mercato che – finalmente – sta regalando a Conte i calciatori chiesti un anno fa.

Impedire l’accesso a questo momento, o limitarlo con barriere economiche, rischia di allontanare ancora di più il calcio dalla sua dimensione popolare.

Nessuno contesta il fatto che una società di calcio debba monetizzare. Il calcio è ormai business e i diritti televisivi sono (tra gli altri) il motore di questa impresa mastodontica. Tuttavia, è lecito domandarsi se non si potesse optare per una formula diversa. Non totalmente gratuita (anche se diverse società offrono questo tipo di contenuti senza vincoli attraverso i propri canali ufficiali), ma che potesse comunque venire incontro ai tifosi. Magari proponendo un pacchetto completo per seguire tutte le amichevoli a un prezzo congruo.

Una soluzione che avrebbe comunque garantito entrate economiche e al tempo stesso avrebbe dimostrato attenzione verso la tifoseria. Ma soprattutto, avrebbe incentivato – con i fatti, e non con le parole – la lotta alla pirateria. Perché se per cinque amichevoli contro squadre pure di seconda e terza categoria (Arezzo, Catanzaro, Stade Brestois 29, Girona FC e Olympiakos) vengono chiesti 50€, il tutto per assistere a 450 minuti di errori, prove tecniche e qualche (timida) giocata, che messaggio si lancia agli appassionati?

Infine, e questo è un punto cruciale, nella polarizzazione contemporanea sembra che tutto possa essere solo bianco o nero – diciamo rosso o blu, parafrasando Conte. E così, se De Laurentiis si è dimostrato un lucidissimo imprenditore prestato al calcio, a tratti anche visionario, sembra che ciò che tocchi sia destinato a diventare oro, che la sua figura si debba ammantare di un’aura quasi messianica e che ogni sua mossa debba rispettare i criteri di infallibilità e perfezione. Non è così.

Perché certo De Laurentiis ha dimostrato che il suo è un modello vincente e sostenibile, ma ciò non significa che tutto diventi sacrosanto e non criticabile. La verità è che il patron del Napoli sta approfittando dei suoi risultati per portare avanti un modello wannabe americano in cui l’importante è vendere, fa niente cosa. Questa predisposizione commerciale può essere dirompente ed efficace nello sclerotizzato calcio italiano ma, se portata all’estremo, rischia di intaccare una connessione sentimentale che è sempre stata alla base del nostro calcio. Dove inizi l’estremo, poi, è poi materia di discussione. Sicuramente, 5 amichevoli estive al prezzo di 50€ sono già al di là di quella linea.

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