Un'utopia che in alcune piazze potrebbe diventare presto realtà.
Esiste un modo alternativo di pensare lo stadio? Di più e nello specifico: esiste un modo altro di pensare i nuovi stadi – sulla cui narrazione si costruiscono ogni giorno altari ricchi di ossa ma poveri di grasso? È una domanda che ci siamo posti spesso, soprattutto in merito ai recenti tristi eventi del mondo ultras nostrano: dalla cacciata di quelli juventini dallo Stadium (ne parleremo presto in un articolo dedicato al tema) alla lista nera dei tifosi milanisti e interisti – non necessariamente ultras – in quel di San Siro (ne abbiamo parlato qui). Ci riferiamo ad un modus operandi che ha illustri antecedenti in terra inglese prima – questione Thatcher, per intenderci (leggi qui) – e spagnola poi – soprattutto nei confronti di Barcellona e Real Madrid (ne abbiamo parlato qui).
Chi lo ha detto, insomma, che i nuovi stadi siano la panacea di ogni male, se non quel mondo dello sport che da sempre tende una mano di latta al tifoso, salvo (con l’altra) sfilargli tutti i risparmi, facendo leva su due falsi miti: a) che i nuovi stadi siano più sicuri (andrebbe detto che sono più distopici); b) che i risultati di un grande club passano dall’avere uno stadio di proprietà.
Certo, il tifoso ragioniere, come lo abbiamo ribattezzato, guarda al progresso, al futuro, alle casse del club, alla spendibilità dei talenti più giovani acquistati grazie allo scouting. Ma i tifosi veri, quelli che si lacerano le mani e stirano le corde vocali ogni domenica, quelli che pure in settimana perdono tempo ad organizzare una trasferta, una raccolta per i più deboli della città o del paese, e così via, questi tifosi insomma, gli unici che meritano di essere definiti tali, che razza di fine fanno? . . .
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