Gli ennesimi social-sfigati alla ribalta.
Se la pace è innanzitutto assenza di conflitto, per il tifoso di calcio il periodo più sereno dell’anno è senza dubbio la pausa estiva dei campionati – gli unici due mesi in cui gli sia dato di non dipendere dai risultati della sua squadra. La tregua, però, finisce presto. Il primo indizio che anticipa l’umorale ripresa delle ostilità riguarda il fermento del mercato, l’avvio delle partite di coppa; il secondo, invece, i fervori del fantacalcio. Ai margini dell’estate, infatti, già da anni affiora e sobbolle questo sentimento collettivo che da qualche tempo si è trasformato in un’ossessione dai contorni quantomeno esagerati, dove pare ormai di giocarsi non solo del denaro ma persino una quota di virilità.
Questo gioco, che come tutti i giochi degni di tale nome non è mai del tutto innocente, non solo ha dato la possibilità di esaudire una delle aspirazioni più profonde degli italiani, trasformandoli realmente in 60 milioni di potenziali allenatori; ma ha aperto le porte al proliferare di una categoria che si è diffusa su qualunque piattaforma con la velocità e la capacità infestante di una piaga biblica: i profili dei fanta-guru, dei match-analyst tutti intenti a dispensare consigli su come spendere i propri soldi fittizi (alias crediti) all’asta con gli amici.
Nei profili di questi creators (si conceda il termine orrendo) abbondano diagrammi a torta, tabelle, piani cartesiani, nomi e numeri, tutto pur di convincere gli spettatori di possedere una verità rivelata pronta a svoltarne la vita (ma quale vita, ci chiediamo noi), come l’oracolo di una Pizia di provincia. Col palese paradosso che un prezioso segreto enunciato ai quattro venti, da vantaggio che poteva rappresentare per il singolo, diventa aria fritta, un po’ come quei libri in cui il presunto milionario di turno insegna al prossimo ad arricchirsi, come chi spiattella il risultato certo di una combine all’intero paese per sbancare il Punto SNAI.
Sia chiaro, non è il fantacalcio che spaventa, né il relativo fanclub: sono i suoi profeti d’accatto, ridottisi presto ad un’eco di consigli uguali, che urtano i nervi.
Il problema non è chi gioca, per carità: passino le pause pranzo dedicate a fare calcoli destinati a non valere granché, così come le simpatiche messe in scena da pubblicare su Instagram con l’amico travestito da saudita in yacht, si concedano i litigi, le amicizie più o meno rafforzate da questo rito scaramantico che in fondo ha più a che fare con la fortuna che con il talento. Ma almeno non rompeteci i coglioni con questa nuova fauna digitale convinta che bastino un account e un paio di grafici presi da siti specializzati per sentirsi Guardiola.
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Decolonizzate i nostri feed, liberateci da questi profili che pontificano a destra e a manca, dal fu-Twitter a YouTube, sul nuovo talento finlandese portato a Lecce da Corvino o sul minorenne angolano giunto ad Udine e pronto ad “esplodere” (altra parola orribile, come ranking e come quality assist: come si vede, quando si fa strame del linguaggio…).
Liberateci dai toni enfatici con cui si va a caccia di attenzioni, dai video in cui si parla di storytelling come fossero tutti figli illegittimi di un Baricco ubriaco; dal patetismo con cui si descrive la biografia del più modesto mestierante della nostra già modesta serie A, scimmiottando Buffa quando racconta Platini, o la suspense di un podcast di Pablo Trincia (ma tra Rigopiano e la pur sudata laurea presso un’università telematica di un terzino del Catanzaro, perdonateci, è ovvio quanto ne passi).
E ancora, quel che più conta, liberateci da quest’ossessione scientista per il pallone, di cui si è già ampiamente detto: dallo sguardo chirurgico che pretende di ingabbiare un sapere altamente aleatorio, di spifferare a tutti il mistero di uno sport finendo per svilirlo senza poi nemmeno rivelare quello che intimamente è…
Come qualsiasi trend, per definizione, questa massa fungina di esperti che “hanno studiato” e che sanno le statistiche esattamente come un sacerdote sumero aveva la prerogativa della scrittura, non solo fa un po’ ridere, ma ha stufato, con tutta la triste serietà di cui sono capaci e che contrasta goffamente con le loro previsioni spesso non azzeccate. Questo desiderio di analisi riduce la poesia del gioco e anche il divertimento della ricerca, giacché uno ormai si affida agli oracoli che dicono tutti le stesse cose finendo per inficiare un risultato già di suo altamente randomico.
Il calcio, vissuto per quel che è e per quel che non si può sapere prima, ha un gusto diverso: meglio rinunciare a capire e ad indagare, meglio godere del presente. Del resto questo sport è un fenomeno etereo, tanto concreto quanto spirituale, e non si può ridurlo ad un’arzigogolata conta. La grande colpa di Davide agli occhi di Iahvè fu quella del censimento del popolo di Israele. Si tratta di un peccato metafisico: presuppone che si possa sapere ciò che non si deve sapere, cioè la misura della vita. Anche col calcio, una vita in miniatura, non dovremmo incorrere nello stesso errore.