Vitelloni, immobili, finto-impegnati. Meravigliosamente italiani.
Riconosciamolo, senza giudizio morale e anzi con una certa soddisfazione antimoderna: più della questione meridionale, dell’influenza vaticana e della gabbia atlantista, il vero freno allo sviluppo di questo paese (sviluppo in molti sensi, economico e culturale ma anzitutto freudiano) è proprio lui: il fantacalcio.
Il fantacalcio è il fascismo parlamentarizzato, è la moglie e le amanti come surrogati eternamente imperfetti della madre, è la Gazzetta quotidiano più letto in edicola; una spinta verso l’immobilismo, incitamento alla chiusura della formazione e della mente, unica eccezione il mercato di gennaio; è il modo perfetto per non dovere né potere fare nuove amicizie, impegnare già da fine agosto un notevole monte ore/anno da passare con gli stessi otto stronzi amici del liceo, alcuni lanciati professionisti (per giustificarsi davanti alla società), altri (la maggior parte) impresentabili e proprio per questo preziosi e rassicuranti, un termine di paragone da tenersi stretto nei pomeriggi più bui.
Fantacalcio incoraggiamento strutturato al vitellonismo, invito a spendere altri pomeriggi a calciare svogliatamente la palletta in corridoio, farsi i tunnel da soli e tirare in porta che poi è la porta di camera dei genitori, eternamente complici e vittime del fantacalcio. Fantacalcio baluardo di infantilismo, bambini stempiati che parlano di fantamilioni con cui comprare i fantacampioni, e al bar non hanno neanche i soldi per le goleador (anzi, quelli alla fine si trovano sempre). Fantacalcio gioco universale di un popolo in ritardo su tutta la linea tranne che su una cosa: la massima puntualità nel mandare il messaggio con la formazione. Lunga vita al fantacalcio, lunghissima vita ai suoi fantallenatori.