I Calciatori Selvaggi su Lo Slalom.
Rilanciamo qui la bellissima recensione di Angelo Carotenuto de “I Calciatori Selvaggi”, l’ultimo libro di Marco Ciriello x GOG Edizioni (collana Contrasti). È uscita ieri, in concomitanza con il romanzo, sulla newsletter de ‘Lo Slalom’: una preghiera mattutina e una lettura imprescindibile per chiunque voglia vivere di sport. Buona lettura.
In un mondo dominato da un unico governo sino-arabo, il Mondo Unito dalla Cina (MUdC), tra quindici anni anche il calcio non sarà più lo stesso. Esisterà una SuperLegaSmart, la SLS, con una realtà che i bravi chiamerebbero distopica rispetto a oggi. Una realtà di cui si fa narratore Long Seller, il deejay di Radio Haiti International, nel nuovo libro di Marco Ciriello, I Calciatori Selvaggi, in uscita oggi per Gog Edizioni, dedicato in epigrafe a Libero De Rienzo e Gianni Mura.
Disclaimer per chi si distrae. Marco Ciriello è un amico di Slalom, ma Slalom ritiene in modo presuntuoso che quest’amicizia non sia un velo.
I Selvaggi nel 2037 sono i praticanti del calcio clandestino, quelli che ancora inseguono il pallone come nel 1986 – l’ultimo Mondiale vero, dicono. Saranno chiamati a giocare una partita decisiva per i destini del gioco e dell’umanità contro gli Elisei Assoluti. Il fatto che si giochi in un vulcano, il fatto che il narratore si chiami in quel modo lì, serve a pagare subito un debito di riconoscenza verso L’ Area 18 di Roberto Fontanarrosa, uno dei romanzi più belli sul calcio. Così come tra le pagine si riconosce la passione di Marco per Bolaño e Huxley.
Sono due i registri prevalenti nei suoi libri. La misura nel racconto del dolore, e sono le sue pagine migliori: il dolore che attraversa Un giorno di questi (Rubbettino, 2018 – selezionato per lo Strega) nella ricostruzione del delitto di Giancarlo Siani; il dolore dell’allenatore Marco che ha perso la moglie Carla in Per favore non dite niente (Chiarelettere, 2014), quello de Le Sorelle Misericordia (Spartaco, 2017), storia di Laura Cammarata che alla Rod Laver Arena di Melbourne sta affrontando Serena Williams e all’improvviso si ferma, esce e se ne va. Ha avuto un’apparizione mistica e si dedica alla sorella, su una sedia a rotelle per la Sla.
Il secondo registro di Ciriello è l’eccesso del grottesco, una smisurata valanga di invenzioni, personaggi e parole, come accade – un esempio per tutti – ne I Leggeri di Nairobi (Rubettino, 2020), storia di un ragazzino maratoneta che si chiama Muhammad Ali, vicino a correre sotto le due ore e inseguito da una multinazionale [la NK] – che vuol fare di lui il testimonial di nuove scarpe – oltre che dal governo cinese per vincere a Tokyo. Un romanzo nel quale ci sono Binyavanga Wainaina, Abebe Bikila, un tennista americano andato in Afghanistan dopo l’11 settembre, un lottatore di sumo, una squadra ciclistica keniana, un sosia nero di Hemingway, Zemeckis, Scorsese e Xi Jinping.
Ecco. Dentro questo canale dove vengono frullati Stefano Benni e Paco Ignacio Taibo II, I Calciatori Selvaggi è da stamattina la sua invenzione più felice. Se volete sapere tutto del 4-3-3 dei Selvaggi, loro sono questi.
Atiq Rahimi sta in porta clandestinamente dopo le ore della scuola di informatica-coranesca e “gli sarebbe piaciuto avere, oltre a sognare i riccioli di René Higuita. Atiq era segretamente innamorato dell’antichissimo portiere colombiano, ma era vietato portare i capelli lunghi, era vietato amare, era vietato giocare o replicare gesti che facessero pensare al gioco”.
Juan Carlos Quiroga, terzino destro, uruguagio, fan di Piazzolla, è “un diciassettenne sentimentale e timido, come tutti i terzini del vecchio calcio. Questo non gli impediva di avere il tackle più preciso e duro di tutto il continente, o di marcare all’infinito chiunque, nel caso gli fosse stato chiesto”. A sinistra sta Wole Achebe, nigeriano, “i suoi muscoli sembravano disegnati dallo scultore Robert Venturi, la perfezione del corpo era alterata solo dalla cicatrice sul collo, ma il resto era denso, nero, e scalciava. Praticare il calcio Selvaggio a Lagos era molto più facile che in altri posti, c’erano più libertà tra le grandi discariche e pochissimi controlli”.
In mezzo all’area di rigore – e deve esserci un senso se stanno proprio là – si muovono Robert Burns, uno scozzese, e Cheick Diome, che viene dal Senegal. I Burns avevano un’azienda di famiglia, “facevano coltelli, rasoi, spade, asce, forbici, lame, lamette e nessuno s’era mai lamentato. Il segreto era l’acqua. Questo era tutto quello che diceva John Burns, il padre, il resto erano sorrisi di cortesia e tanto lavoro tra loro”, mentre l’africano si sentiva allievo di Koulibaly, “era un solitario, non aveva amici, fatta eccezione per una zanzara, se questa si poteva considerare amica. Una zanzara nuvola, grassa e intelligente, allegra e canterina. L’aveva chiamata Toyota, perché era capace di tutto, resisteva a tutto, come nella sua immaginazione una vecchia macchina giapponese”.
A centrocampo spicca Sergej Gluchovskij, russo, parla come Iosif Brodskij e alle sue imprudenze si sente chiedere dalla fidanzata Lara Antipova: «Sergej, amore caro, ma che cazzo stai facendo?». Risponde: «Sto lavorando su me stesso». Al suo fianco Umberto Bembo, italiano, veneziano, una città che ormai è semi-allagata, “pare che ci fossero anche degli uomini rana nati dall’incrocio tra i fanghi di Porto Marghera e alcuni esponenti della Lega”. È finito a giocare tra i Selvaggi quasi per caso anche John Roth, newyorkese, fondatore e direttore de ‘La rivista invisibile’, “l’unica fuori dall’informazione governativa, e per questo poco richiesta. Ma Roth si ostinava a distribuirla, come a cercare grandi storie, ne aveva un archivio meraviglioso in testa, ovviamente. E quando si era auto-inviato alla ricerca delle partite selvagge c’erano voluti mesi di ricerche e incontri prima di vederne una, e appassionarsi”.
In attacco – claro – vengono tutti dalle amate Americhe centromeridionali. Osvaldo Piglia, argentino, è un pianista mancato, “magrissimo, malato, appunto, ma anche il più elegante ballerino di dribbling dell’Argentina. Piglia oltre l’asma aveva un’altra malattia molto più grave e per niente contagiosa: leggeva”. Centravanti Joao Galera, pescatore, brasiliano, “il Selvaggio più Selvaggio delle aree di rigore immaginate sulla sabbia, per lui la porta non si restringeva mai, e quando gli chiedevano: «Ma come fai a segnare tanto?». Rispondeva: «Ho sempre fame». La sua esultanza era la mano a disegnare un cerchio sul ventre piatto”.
Col numero 11 – i Selvaggi certamente perdoneranno la semplificazione numerica – gioca Dalya Mastretta, fantasista, messicana, rigorista, una fan di Clint Eastwood e di Nicola di Bari. Una tipa, dice Ciriello, che con con il piede sinistro accarezza la palla al ritmo di una ninna nanna, “tanto che alcuni calciatori tornando a casa avevano accarezzato i figli per la prima volta con ancora nelle orecchie il tum tum tum tum dei palleggi della ragazza”.
Quando la ammettono in squadra, gli altri si dicono che è donna, non durerà, poi lei fa tre gol, dribbla e ridribbla e se ne va: «Non so se torno, vi facevo più forti». Se tra quindici anni Ciriello ci ha preso, non glielo dite. Si monta la testa. È già convinto di aver profetizzato mentre scriveva I Selvaggi che qualcuno voleva rubare il cuore di Maradona per portarlo in uno stadio. Il guaio è che tiene pure ragione. [si compra qui]
Ringraziamo Angelo Carotenuto per le belle parole, e Lo Slalom per facilitarci molto spesso il lavoro