Calcio
05 Dicembre 2024

L'inganno della Kings League

Sbarca in Italia l'ennesima competizione di cui nessuno aveva bisogno.

La rivoluzione del calcio arriva in Italia. Questo l’annuncio, dai toni altisonanti e futuristici, con cui la Kings League si è presentata al Belpaese, lo scorso 18 novembre a Torino. Un evento di inaugurazione da tappeto rosso, con tanti volti illustri del pallone presenti, a cominciare – com’è logico che sia – da un raggiante Gerard Piqué, il vero burattinaio del progetto.

Il leitmotiv è sempre lo stesso: un campionato di calcio a sette dinamico e dalle regole innovative, che mescola sport e intrattenimento in un cocktail apparentemente avanguardistico e vincente. Un format – di cui avevamo già sciorinato le caratteristiche principali – che è una sorta di versione wrestling del calcio e che, dopo aver già ampiamente sbancato in Spagna, ora vuole espandersi voracemente. Un format che, al di là della retorica antesignana e della pomposità dei proclami, è molto eloquente riguardo alla piega che sta prendendo l’universo calcio, sempre più ridotto ad un’enorme gallina dalle uova d’oro da cui attingere.



Il presupposto alle radici della Kings League è semplice: il calcio, così com’è attualmente, è noioso. I tempi di gioco sono spesso lenti, le regole rigide e statiche, la qualità dello spettacolo insufficiente per un pubblico che al contrario sarà sempre più esigente ed affamato. Un pubblico – in primis le nuove generazioni che popolano la rete – la cui attenzione instabile e capricciosa va alimentata continuamente. Un pubblico che deve essere assecondato con un’offerta diversa e adattabile, che Piqué e soci credono di aver pescato con la Kings League.

Un pubblico che deve consumare un prodotto, apparecchiato per essere il più appetibile possibile, in primis mediante un regolamento che copia alcune regole da altre discipline – dall’hockey gli shootout, dal tennis il VAR a chiamata, dalla pallanuoto il calcio d’inizio – e le mescola con altri mondi come quello delle carte da gioco dei dadi. Il risultato è un guazzabuglio giullaresco, un Frankenstein vestito da pagliaccio, caricatura dello stesso sport che anela a rivoluzionare.

Anche il connubio tra agonismo e intrattenimento – mantra su cui si fonda il format – non è del tutto nuovo. Altre leghe di diversi sport, come l’NBA o l’NFL, hanno da sempre spinto sull’importanza dello show, sia ai margini che nel corso dell’evento. Nel caso della Kings League, lo spettacolo è fomentato soprattutto da chi intrattiene per mestiere, vale a dire gli streamer e gli influencer che ricoprono i ruoli di presidenti delle squadre. Content creatorsda milioni di followers, come Blur, Grenbaud, Faina o – pensate un po’ – Fedez, che portano in ventre una community solida, costruita faticosamente negli anni.

kings league italia
I volti presidenziali della Kings League (YouTube / Kings League Italia)

Una base di fan fedele e partecipativa, che costituisce il nucleo centrale del pubblico della Kings League: crearlo ex novo sarebbe stato troppo lungo e laborioso, meglio sfruttare realtà già esistenti e consolidate. Mettendo alla presidenza questi personaggi, si introduce anche il fattore tifo, fomentato da provocazioni, esultanze e schermaglie varie finalizzate a ingrassare quel circo mediatico extra-campo già tristemente noto a chi mastica calcio. Scaramucce a cui può partecipare attivamente lo spettatore, attraverso un effetto reality show che lo coinvolge direttamente anche . . .

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